domenica 27 giugno 2021

INFERNO E PARADISO

 

 
 
 
Bart D. Ehrman
INFERNO E PARADISO
Carocci
brossurato, 2020
290 pagine, 23 euro


Per cultura e tradizione siamo abituati a ragionare dell'aldilà, almeno chi ci crede, in termini di inferno e paradiso (magari anche di purgatorio). Cioè in quelli di un premio e di una punizione eterni, per colpe limitate nel tempo, dopo un giudizio (per carità, giusto e indiscutibile) davanti al tribunale divino. Santi, teologi e poeti si sono sbizzarriti nel prevedere le più terribili pene (stranamente, corporali) per le anime (invece spirituali) che vengano dannate, anche se sono molto più vaghe le previsioni, almeno in campo cristiano (a noi non spettano le vergini promesse ad altri), rispetto alla beatitudine paradisiaca. Ci si potrebbe però chiedere se il concetto della punizione eterna post mortem, o quello della resurrezione dei corpi dopo il Giudizio Universale, o quello del purgatorio per i credenti meno meritevoli (sarebbe ingiusto infatti un premio uguale per tutti, se ci sono quelli più freddi), facciano parte da sempre delle convinzioni dell'umanità, se si siano imposti a partire da un certo momento, se si tratti di dogmi immutabili o se abbiano subito evoluzioni. Bart D. Ehrman, che insegna presso l'Università della North Carolina ed è un esperto di studi biblici (di lui ci siano occupati anche di recedente, quando ho recensito un suo saggio sull'Antico Testamento), traccia una sorprendente "storia dell'Aldilà" (come recita il sottotitolo). La sorpresa nasce dal fatto che, contrariamente a quanto si può immaginare, "nella Bibbia ebraica non è possibile identificare le nozioni di inferno e paradiso, non troviamo alcun giudizio né punizione per i peccatori, né alcuna ricompensa per i giusti". Cito fra virgolette una frase di Alan Segal, studioso dell'ebraismo, a sua volta citato da Ehrman. Per gli antichi ebrei il regno dei morti era un regno di vaghe ombre, una zona del crepuscolo non dissimile da quella visitata da Ulisse nell'Odissea di Omero. Fino al libro di Daniele (uno dei più tardi) non si parla di resurrezione dei morti alla fine dei tempi. Ma la prospettiva è quella della eventuale "distruzione" dei malvagi, annientati da Dio, non puniti con una pena eterna. L'idea di un premio post mortem deriva dalla concezione dualistica dell'uomo (corpo e anima) tipico della filosofia di Platone, le cui idee erano giunte in Palestina in seguito all'ellenizzazione successiva alla conquista di Alessandro Magno. Le stesse idee che avevano ispirato a Virgilio, una diversa visione, rispetto ad Omero, vari secoli dopo l'Odissea, dell'aldilà visitato da Enea.
Anche le idee del Gesù storico (lasciando perdere quello leggendario, a cui vengono attribuite affermazioni sicuramente frutto di rielaborazioni fatte nei secoli successivi) non corrispondono alla visione di un aldilà di stampo, diciamo così, dantesco. Gesù era un profeta apocalittico (come altri predicatori suoi contemporanei) e prevedeva una fine del mondo molto vicina, con la quale sarebbero state distrutte le forze del male a cui si attribuivano il disordine e le ingiustizie del mondo, e si sarebbe instaurato un regno del bene. Con l'avvento di questo regno, i malvagi sarebbero stati distrutti, cessando di esistere. "Era questa certamente la visione del Gesù storico e dei suoi primi seguaci", scrive Ehrman, "essi non credevano che al momento della morte l'anima di un uomo andasse all'inferno o in paradiso. Al contrario, credevano che alla fine dei tempi - che sarebbe stata imminente - Dio avrebbe giudicato questo mondo, distrutto le forse del male e risuscitato i corpi, alcuni destinati a entrare in quell'utopia che è il regno di Dio qui sulla terra, altri a perire senza possibilità alcuna di ritorno". Neppure la predicazione di Paolo coincide con i dogmi stabiliti in seguito dalla Chiesa, dato che anche l'apostolo in un primo momento si trovò ad annunciare l'imminente fine del mondo e poi, visto che non arrivava, nella necessità di tranquillizzare i propri seguaci, attraverso le Lettere, sul destino di coloro che morivano prima che la fine fosse giunta, aggiustando il tiro e dovendo a ogni piè sospinto risolvere i legittimi dubbi che continuamente si sollevavano, soprattutto sulla questione della resurrezione della carne, destinata ad attraversare i secoli e a dividere i teologi (segno che la faccenda non era molto chiara nelle Scritture). Anche nell'Apocalisse non si parla di punizione eterna ma di sconfitta (e distruzione) dei malvagi, che vengono annientati una volta per tutte. Tutta l'impalcatura delle credenze riguardanti inferno, purgatorio e paradiso è stata costruita a tavolino, nei secoli successivi, dai padri della Chiesa. Fra essi, ci sono stati a lungo pareri discordanti, di tutti Ehrman dà conto e ragione (così come si citano i miti e le credenze di altre religioni, i cui influssi hanno orientato certe riflessioni cristiane). Si esaminano in dettaglio scritti come gli atti di Tecla, il Vangelo di Tommaso, la Passione di Perpetua e Felicita così come tante castabasi (discesa negli inferi) raccontate ancor prima di Dante (che non inventò certo per primo il tema del viaggio nel'Aldilà). Più che i dubbi crescevano, più la teologia cercava soluzioni, a volte anche astruse, tenendo conto anche del cambiamento dei tempi (diverse le concezioni al tempo dei martiri e delle persecuzioni, da quelle successive con il cristianesimo trionfante). Ci consoliamo con Origene di Alessandria (II secolo) che riteneva gli uomini destinati comunque tutti alla salvezza, dopo un periodo più o meno lungo di purificazione.

sabato 26 giugno 2021

LEONARDO L'OMBRA DELLA CONGIURA

 

 


 

Giuseppe De Nardo
Antonio Lucchi
LEONARDO
L'OMBRA DELLA CONGIURA
Sergio Bonelli Editore
cartonato, 2019
146 pagine, 24 euro


Credo che Giuseppe De Nardo sia uno dei più bravi sceneggiatori italiani e penso di non aver mai letto qualcosa di suo che mi abbia deluso, dovunque sia stato pubblicato (sull'Intrepido come su Dylan Dog). Nel 2014, De Nardo realizzò una delle "Storie" bonelliane offrendo uno scorcio della vita di Michelangelo Merisi, intitolata "Uccidete Caravaggio!". Un piccolo capolavoro, anche quella, il cui apprezzamento da parte del pubblico è sicuramente alla base del bis concesso con questo volume, "L'ombra della congiura", dedicato invece a Leonardo da Vinci. Come già nel caso precedente, c'è una trama avventurosa di pura fiction che si intreccia in maniera indissolubile con la vera biografia del protagonista, in entrambi i casi personaggio storico. Leonardo, per di più, viene seguito nel corso della sia intera esistenza, partendo da Firenze, nel 1478, al tempo della Congiura dei Pazzi, per poi spostarci a Milano negli ultimi anni secolo, e quindi in Francia, ad Amboise, dove il Da Vinci morì. De Nardo riporta poi il lettore a Milano, per risolvere un mistero rimasto in sospeso, la cui soluzione è nell'affresco dell'Ultima Cena. Già, perché c'è un giallo, intrecciato con i fatti storici di cui Leonardo fu protagonista, riguardante l'uccisione di un suo amico, sfuggito alla vendetta dei Medici dopo l'uccisione di Giuliano, ma raggiunto e colpito in Lombardia molti anni dopo. Colpito da chi? Abile sezionatore di cadaveri, Leonardo trova gli indizi necessari sul corpo della vittima, Jacopo Delle Corde, per incastrare l'assassino. I disegni di Antonio Lucchi sono graffianti, pittorici, evocativi, lontani dalla classica narrazione bonelliana "da edicola" (ambito in cui ha pure mostrato il suo talento) ma efficacissimi per la destinazione libraria. In appendice, un saggio su Leonardo dell'ottimo Gianmaria Contro.

sabato 12 giugno 2021

DANTE

 
 

 
 
 
Alessandro Barbero
DANTE
Laterza
2020, cartonato
364 pagine, 20 euro

Al termine delle oltre 350 pagine (note comprese) del volume, mi è tornato in mente il racconto di Achille Campanile in cui il grande umorista cerca di immaginarsi il sommario di un libro sulla vita di Numa Pompilio, personaggio (chissà se storico) di cui non si nulla. Scrive Campanile: "A proposito di non avere nulla da dire, ho letto che un tale ha scritto un volume di 300 pagine intitolato La Vita di Numa Pompilio. Tu sai che della vita di Numa Pompilio, ad eccezione dell'episodio della ninfa Egeria, non si sa nulla. Ora come avrà fatto quel tale a scriver 300 pagine sulla vita di Numa Pompilio? Probabilmente il sommario dell'opera sarà questo: Capitolo I. Il mistero della nascita di Numa Pompilio. Capitolo II. La completa oscurità circa i primi anni di vita di quel re romano. Capitolo III. Dimostrazione dell'assoluta mancanza di notizie circa le scuole frequentate da Numa Pompilio fanciullo. Capitolo IV. Come e perché non possediamo lumi circa la giovinezza di Numa Pompilio. Capitolo V. Il persistente mistero sull'età matura di costui. Capitolo VI. Difetto di qualsiasi informazione nei riguardi di Numa Pompilio vecchio, eccetera."
Ecco, più o meno Alessandro Barbero impiega 350 pagine per dirci che di Dante non è che proprio non si sappia nulla, ma si sa poco. Poco della sua vita a Firenze prima dell'esilio, poco dei suoi soggiorni successivi. E siccome il saggio si limita proprio alla vita di Dante, pochissimo indugiando sulla sua opera letteraria, ecco che alla fine sembra appunto di leggere la vita di Numa Pompilio. Gran parte del testo è un elenco di atti notarili in cui, per questioni di beghe giudiziarie, prestiti di denaro o passaggi di proprietà, compare il nome di un parente di Dante (quello di lui, compare in pochi). Poi si fanno ipotesi su come conciliare opinioni diverse dei vari studiosi sul tempo trascorso dal Poeta a Verona piuttosto che a Lucca, anche alla luce delle contraddittorie informazioni che Dante stesso dà nella Divina Commedia, concludendo che non ci si capisce nulla e che pertanto non sappiamo datare i soggiorni nel Sommo presso un Signore o presso un altro, né che cosa esattamente abbia fatto per sdebitarsi (lavori di cancelleria e di rappresentanza, ma boh). Il tutto è complicato dal fatto che Dante sembra aver soggiornato presso Signori di cui, nella Divina Commedia, dice peste e corna, o presso altri che, di opposte fazioni politiche, avrebbero dovuto cacciarlo a calci nel sedere. Fazioni politiche, peraltro, difficilissime da decifrare, al punto che, personalmente, per limiti tutti miei, non ho capito neppure bene, fino in fondo, che cosa avrebbe fatto Dante per meritarsi non solo l'esilio, ma addirittura la condanna a morte. Nulla Barbero dice di come, dove, quando fu composto il Poema, anche perché non lo sappiamo, ma neppure sulle modalità di pubblicazione e di distribuzione, o sul mistero della mancanza di autografi (non abbiamo neppure quelli). Perciò, interessante il quadro d'insieme della società dell'epoca (di transizione), ma quanto alla vita di Dante, cosa che sembra impossibile trattandosi del padre della lingua italiana, si brancola nel buio. Nella penombra, quanto meno, lasciando il buio a Numa Pompilio.

mercoledì 2 giugno 2021

FÉLICIE

 

 



Georges Simenon
FÉLICIE
Adelphi
2001, brossura
140 pagine, 9.50 euro


“E allora lui la rivedeva, sottile, con i suoi vestiti chiassosi, i grandi occhi color nontiscordardimé, il naso impertinente, e il cappello poi, quel terrificante cappellino rosso piazzato in cima alla testa con una lunga penna verde cangiante infilzata come una freccia”: così, all’inizio del romanzo, Simenon fa il ritratto di Félicie, la ragazza coprotaginista, con Maigret, del ventiquattresimo poliziesco della serie dedicata al commissario parigino, scritto nel 1942 e pubblicato nel 1944. Commissario alquanto burbero ma che, a dire il vero, questa volta sembra intenerirsi, quasi sedotto dal carattere impossibile e dagli atteggiamenti imprevedibili di una giovane donna impertinente, da cui sembra difficilissimo riuscire a cavare qualunque informazione sull’omicidio del vecchio a cui fa da cameriera, Jules Lepie, detto “Gambadilegno”. Omicidio su cui sa indubbiamente molto più di quel che dice, ma come farglielo dire? Uno dei titoli con cui è strato tradotto in italiano il titolo originale francese “Félicie est là” è “La ragazza di Maigret”, molto efficace nel far dubitare se il commissario non sia sul punto di perdere la testa per la fanciulla, dato che, contro ogni previsione, sceglie di condurre le indagini restandole appiccicato addosso, in un paesino di campagna, invece che gestirle da Parigi. E che dire del suo rimandare il ritorno dalla moglie, comprare una aragosta per cenare con lei, pretendere di trascorrere la notte in casa sua e spiarla di notte mentre dorme, addirittura farle trovare la colazione pronta. “Io la detesto”, dice Fèlicie più volte a Maigret, salvo poi tenerlo sottobraccio e chiederle di proteggerla. “Io invece la adoro”, risponde il commissario che, dopo essersi più volte indispettito per dei brutti tiri che lei gli ha giocato, ha finito per esserne irretito. Fino a certo punto, perché poi si scopre che Maigret ha avuto ragione nel restarle accanto nottetempo, e che nonostante tutti i tentativi di sviare le indagini ha capito perfettamente cosa si nasconde nel cuore della ragazza. Già: chi protegge Fèlicie? Perché non vuol dire ciò che sa, anche quando evidente che l’omicidio di Lepie l’ha trascinata suo malgrado in un gioco più grande di lei? Fèlicie vive in un mondo tutto suo, si aggrappa a storie che nascono nel suo cervello per farle compagnia, sogna in grande e vive in piccolo… e anche noi, come Maigret, finiamo per adorarla.

martedì 1 giugno 2021

MAIGRET E I TESTIMONI RECALCITRANTI

 
 

 
Georges Simenon
MAIGRET E I TESTIMONI RECALCITRANTI
Adelphi
2006, brossura
160 pagine, 10 euro


Ipnotico e intrigante come tutte le inchieste di Maigret, questo cinquantatreesimo romanzo dedicato al burbero commissario del Quai des Orfèvres, sede della polizia parigina. Venne pubblicato per la prima volta nel 1959, ma fu ma scritto in Svizzera nel 1958. Ci sono, però, alcune particolarità che lo distinguono dagli altri. Innanzitutto mettono malinconia i riferimenti al pensionamento del poliziotto, che sa di essere al termine della sua carriera (gli mancano due anni al congedo), comincia a sentirsi vecchio e vede attorno a sé tutti i segni dei tempi che cambiano. Uno di questi è un giovane giudice istruttore, Angelot, che lo marca stretto, quasi lo asfissia, per imporgli nuove regole e nuove procedure che contrastano il “metodo Maigret”. Il commissario capisce di non avere più la libertà di un tempo, di non poter condurre gli interrogatori a modo suo, di dover rinunciare ai colpi di teatro tesi a incastrare i colpevoli. Gli si chiede un rigido formalismo, con la sudditanza dell’investigatore nei confronti del magistrato. Tuttavia, Maigret riesce comunque a dare dei punti ad Angelot. Straordinaria resta l’abilità di Simenon di descrivere ambienti, personaggi, atmosfere: in questo caso è davvero inquietante la casa della famiglia Lachaume, i cui membri vivono in un clima fatiscente dopo anni in cui il Biscottificio che porta il loro nome (un tempo sulla cresta dell’onda in società e nel mondo degli affari) è andato via via decadendo, fino a giungere sull’orlo del fallimento, nonostante gli sforzi per non far trasparire la catastrofe. Il titolare dell’azienda, Léonard, viene ucciso nottetempo con un colpo di pistola ma nessuno dei suoi famigliari, che pure dormivano in casa con lui, sembra aver sentito nulla, neppure lo sparo. Sostengono la tesi di un ladro introdottosi nella loro proprietà, che avrebbe ucciso dopo essere stato scoperto. Maigret non la beve: del resto, l’estrema reticenza dei congiunti della vittima non può non destare sospetti. Ci sono un paio di bei personaggi femminili, in questa storia, che tiene incollati dalla prima all’ultima pagina.