L'autore è un orientalista, docente di Assirologia all'Università di Pisa, epigrafista e archeologo, e dunque conosce molto bene la realtà dell'Antico Medio Oriente e le lingue che vi si parlavano, a partire dall'ebraico e dall'aramaico, fino ad arrivare al greco. Conosce bene anche i testi biblici e i Vangeli, come dimostra nel saggio di cui stiamo parlando, in cui usa, volutamente, le grafie più giuste per i nomi dei personaggi (appunto Jeshûa al posto di Gesù, per dirne uno). Il sottotitolo del libro avverte: "Appunti interrotti sui Vangeli canonici", e fra poco spiegherò perché "interrotti". Il proposito dell'autore era di rileggere i Vangeli con l'occhio disincantato del laico "che non si fa deviare da pregiudizi fideistici". Ma anche, spiegare ai meno esperti delle fisime mediorientali tutto il substrato di tradizioni semite costrette a fare i conti con quelle indoeuropee. Perché il cristianesimo è su questo compromesso che si basa, pare. Dunque, l'ipotesi di lavoro era questa: esaminare ogni racconto evangelico, per lo più contraddittorio nelle diverse versioni date dai quattro evangelisti, cercando di dedurre come potessero essere andati storicamente e logicamente i fatti narrati, escludendo i miracoli. Si comincia con l'Annunciazione, spiegata in modo affascinante, e si procede in un crescendo di rivelazioni. Personalmente trovo plausibilissima, per esempio, l'ipotesi che l'episodio di Gesù dodicenne fra i dottori sia avvenuto quando Giuseppe e Maria sono andati a riprendere il ragazzo affidato, per la sua educazione, al parente Zaccaria, sacerdote del Tempio. La lettura è davvero accattivante, dotta e informata senza essere ostica e specialistica. Sennonché, arrivati al commento delle Beatitudini, e cioè a pagina 154, Saporetti interrompe bruscamente il suo libro così promettente. E cambia di colpo registro. "Mi è successa una disgrazia", spiega, "e questa disgrazia ha coinciso con la fine del mio tentativo. Non scriverò più niente sui Vangeli". All'autore è morta la moglie. Al che, distrutto, ha cominciato a interrogarsi sulla possibilità di una vita oltre la morte, sulla possibilità di un contatto. "All'idea dell'annichilimento totale di una persona adorata mi sono ribellato, e sono ricorso anch'io all'oppio dei popoli, alla speranza che, in qualche modo, la vita perduta in realtà non fosse perduta, ma da qualche parte vivesse". Pur senza abbracciare la fede cristiana, Saporetti comincia a disquisire sull'argomento, facendo le più varie (e anche ragionevoli) ipotesi. Però, il tema originale viene abbandonato. E questo squalifica il libro, che poteva essere pubblicato senza l'aggiunta finale; oppure le riflessioni sulla vita e sulla morte potevano essere ampliate e pubblicate a parte. Un libro interrotto, insomma. Come un giallo in cui l'autore non ci rivela chi è l'assassino.
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