sabato 26 ottobre 2024

I RAGAZZI DEL MASSACRO

 



Giorgio Scerbanenco
I RAGAZZI DEL MASSACRO
Garzanti
2014, brossurato
240 pagine, 8.90 euro


Con “I ragazzi del massacro”, datato 1968, le indagine di Duca Lamberti giungono alla terza puntata, dopo “Venere privata” e “Traditori di tutti”, entrambi pubblicati nel 1966. In tutto, i romanzi sarebbero stati quattro. L’ultimo, uscito nel 1969, “I milanesi ammazzano al sabato” avrebbe interrotto la serie per la morte dell’autore, Giorgio Scerbanenco, nato da Kiev da padre ucraino e madre italiana (1911-1969). Di lui e del suo talento ci siamo già occupati in questo stesso spazio: potete leggere le recensioni ai primi due romanzi citati poco sopra, cliccando sui titoli evidenziati dal colore.
Non starò dunque a ripetere quando Scerbanenco sia uno scrittore straordinario, né quanto risulti interessante la sua stessa biografia, né come ci sia da rimpiangerne la prematura scomparsa (che tuttavia non gli ha impedito di essere un autore prolifico nei generi più disparati). 
“I ragazzi del massacro” ha comunque delle peculiarità che lo rendono particolarmente interessante arricchendo gli elementi, come l’ambientazione milanese e il corredo di comprimari ricorrenti (Livia Ussaro, il commissario Carrua, l’agente Mascaranti, la sorella Lorenza). A proposito di questi, Scerbanenco continua a dimostrarsi impietoso verso il suo personaggio: al dramma di Livia rimasta sfigurata proprio per colpa di Duca che l’ha esposta (lei consenziente) a un grave rischio, sia aggiunge la grave malattia della nipotina Sara. C’è, insomma, l’intento di collegare fra loro i romanzi di Duca Lamberti in una sorta di continuity e di sottoporre il protagonista a ripetuti stress emotivi, cominciati con la radiazione dall’albo dei medici per una eutanasia che gli costa tre anni di reclusione. Per Lamberti la vita non è certo una passeggiata, anche se l’amico Carrua lo fa entrare il polizia, dopo averlo visto all’opea come collaboratore esterno nei primi due casi. Questa volta il caso riguarda una violenza di gruppo e l’efferata uccisione di una giovane insegnate di una scuola serale, Matilde Crescenzaghi, da parte dei suoi stessi allievi, ragazzi tra gli undici e i vent’anni, che hanno agito in branco ma che, interrogati singolarmente, si dichiarano tutti estranei, semplici spettatori alla violenza degli altri. Eppure c’è chi li ha aizzati, chi ha introdotto nell’aula dell’alcool e della droga. Uno dei ragazzi, o qualcuno venuto da fuori? Duca Lamberti indaga scavando nella personalità di ognuno, scoprendo percorsi diversi anche se tutti segnati dal riformatorio, dal disagio famigliare, dallo squallore della vita nel sottobosco malavitoso e dalle frequentazioni equivoche. C’è anche chi ha tentato di fare qualcosa per recuperarli, ma ci sono anche famiglie che hanno abbandonato i figli al loro destino. Scerbanenco affronta tematiche come l’emarginazione, l’omosessualità, la prostituzione, la tossicodipendenza, la violenza minorile, il carcere e lo fa senza timore di sporcarsi le mani, con i consueti metodi spicci ma anche con la disponibilità a comprendere sentimenti ed emozioni, dimostrando una umanità e un talento da psicologo paragonabili a quelli di Maigret. Troppo ardito paragonare Scerbanenco a Simenon? Chissà. 
Dal romanzo "I ragazzi del massacro", il regista Fernando Di Leo trasse nel 1969 un film dal titolo omonimo, con Pier Paolo Capponi nel ruolo di Duca Lamberti.

sabato 19 ottobre 2024

AMORE E GINNASTICA E ALTRI RACCONTI

 

 
Edmondo De Amicis
AMORE E GINNASTICA E ALTRI RACCONTI
Rizzoli
1986, brossurato
250 pagine, 8000 lire

E’ un peccato che il successo entusiasmante, plurigenerazionale e internazionale di “Cuore” (o meglio, del “libro Cuore”, come è stato, chissà perché, sempre chiamato), pubblicato nel 1886, abbia lasciato in ombra le altre opere di Edmondo De Amicis (1846-1908). Ligure (di Oneglia, in provincia di Imperia), di ideali socialisti (di quel socialismo patriottico e votato all’impegno civile post risorgimentale), combattente nella Terza Guerra d’Indipendenza, fu autore di reportage di viaggi, giornalista brillante, acuto testimone della sua epoca, prosatore gradevole e divertente, scrittore efficace e pertanto di valore. Non fu mai, per quel che ne se dice, uno a cui il successo diede alla testa. In vecchiaia, si raccontava così: “Io non sono che un giornalista, uno che annota la vita d’ogni giorno, e sceglie in essa quel che più d’esemplare vi accade. Certe volte mi piace divertire i miei lettori, ma per consolarli. Non ho altra ambizione”. Spesso, limitandosi a “Cuore”, si è criticato il suo indulgere sulla sfortuna, le malattie, la povertà, le disgrazie che affliggono i protagonisti dei suoi racconti per accattivarsi l'emotività dei lettori (“il povero gobbino”, il bambino “con il braccio morto”, quello che si trascina per tutto il libro sulle stampelle o l’altro con il labbro leporino). Si sono fatti studi che dimostrano però come davvero, in quegli anni, gli infortuni e la miseria fossero la quotidianità, ma resta il fatto che De Amicis si servì delle pagine strappalacrime del suo libro più noto per denunciare drammi e ingiustizie sociali, per parlare di emigrazione, di sanità, dei problemi delle classi più umili e più deboli. Ma non sempre De Amicis si serve dello stesso registro, e lo dimostrano i quattro testi scelti da Giorgio de Rienzo per questa deliziosa antologia, che contiene un romanzo breve, “Amore e ginnastica”, un racconto lungo, “La maestrina degli operai”, e due “ritratti”, divertenti al punto da risultare esilaranti, uno dedicato a un libraio vessato dai ragazzini suoi clienti lungo la strada verso la scuola e l’altro a un pedante professore con il quale non c’è modo di parlare senza venire corretti su ogni frase che si pronunci. Quella di “Amore e ginnastica” è una storia deliziosa e a tratti maliziosa, come da De Amicis non ci si aspetterebbe. Racconta la trasformazione operata dall’innamoramento del rigido segretario Celzani (ex seminarista, soprannominato per questo “don Celzani”) nei confronti della maestra Pedani, insegnante di ginnastica e inquilina del suo stesso casamento. Casamento abitato da una nutrita schiera di pettegoli, tutti ben caratterizzati, che malignano e sghignazzano sulle stramberie che l’inappuntabile Celzani comincia a fare, da autentico imbranato, per dichiarare il suo amore alla maestrina, che non sembra degnarlo della minima considerazione, se non quella del “buongiorno” e “buonasera”. Il moralismo e il perbenismo della società sabauda vengono argutamente presi in giro. Non dirò quale sia il finale dei maneggi del “don”, ma non si resta delusi. Una certa malizia nel descrivere il turbamento della maestra Varetti si può notare anche ne “La maestrina degli operai”, che racconta le inquietudini di una giovane insegnante assegnata suo malgrado a una scuola serale frequentata da studenti lavoratori di vario genere e di varie età, ma certo non ragazzini rispettosi come quelli a cui aveva insegnato fino a quel momento. La Varetti si sente addosso gli sguardi di uomini scafati che la spogliano con gli occhi, al punto che lei giunge a far lezione abbottonata dal collo alle caviglie. Uno degli operai, il Muroni, dapprima gradasso, giunge poi a farle provare un qualche brivido perché il suo comportamento si trasforma progressivamente in un corteggiamento che sembra sincero. Qui, però, non c’è il tono da commedia di “Amore e ginnastica”, predomina l’attenzione alle relazioni fra le classi sociali. Un entrambi i racconti le donne sono protagoniste, e già si intravede l’emancipazione femminile di cui il De Amicis si fa propugnatore, nei modi e nei limiti dell’epoca in cui visse. Di "Amore e ginnastica" esiste una versione cinematografica diretta nel 1973 da Luigi Filippo d'Amico, con Senta Berger e Lino Capolicchio.



venerdì 11 ottobre 2024

LA FOSSA DEI LUPI

 

Ben Pastor
LA FOSSA DEI LUPI
Mondadori
2024, brossurato
420 pagine, 20 euro

Il sottotitolo di questo romanzo, “Come proseguono I Promessi Sposi”, rischia di trarre in inganno. Perché, in realtà, Ben Pastor (scrittrice italo-americana, specializzata in gialli storici), con confeziona un vero e proprio sequel del capolavoro manzoniano, ma ne usa i principali personaggi e l’ambientazione per congegnare una vicenda molto intrigante e ben calata nella realtà storica, incentrata sulle indagini di un luogotenente di giustizia milanese sull’omicidio di Francesco Bernardino Visconti, Conte del Sagrato, detto l’Innominato – che l’autrice decide invece di nominare con dovizia di generalità, sulla base delle più accreditate ipotesi elaborate dagli esegeti del Manzoni. Così come un nome viene dato anche alla Monaca di Monza, Marianna de Leyva e non già Gertrude (consacrata come Suor Virginia Maria), e al di lei amante, identificato in Giampaolo Osio dagli storici (e nascosto da don Lisander sotto le spoglie di un anonimo Egidio). Il Manzoni, sempre combattuto fra verità e verosimiglianza, trasportò nel suo romanzo la torbida vicenda della Monaca, rendendola peraltro assai meno torbida di come fu in realtà, spostandola venticinque anni di più avanti. Ben Pastor accetta la datazione manzoniana, ma si tratta dell’unica libertà che si è concessa, mentre per il resto l’ambientazione del 1631, un anno dopo la peste, è piuttosto credibile e anzi, la documentazione alla base della ricostruzione degli scenari e dei personaggi sembra molto rigorosa. Tutto appare più vero e credibile che ne “I promessi sposi”, romanzo peraltro tutt’altro che scollegato dalla realtà, ma pervaso da una inevitabile patina di cattolica  ritrosia nel descrivere la sfera sessuale, da una eccessiva dose di buoni sentimenti tesi a esaltare i valori religiosi e il ruolo della fede nella Provvidenza nelle cose del mondo. Dico questo essendo comunque convinto che il capolavoro manzoniano sia effettivamente un capolavoro assolutamente da leggere con il massimo entusiasmo (ne abbiamo parlato anche in questo spazio), così come “La fossa dei lupi” è soltanto un ottimo giallo storico che non ambisce certo a divenire testo scolastico. Però Renzo, Lucia, Agnese, don Abbondio così come li descrive l’autrice diventano personaggi più reali. Nessuna delle figure de “I promessi sposi” è, comunque, protagonista del romanzo  di Ben Pastor, che mette al centro della narrazione Diego Antonio Sarrìa de Olivares, una sorta di poliziotto dell’epoca, che ha il proposito di farsi missionario gesuita e andare a cercare il martirio nelle Americhe (chi ha visto il film “Manto Nero” sa di che cosa stiamo parlando). Però, l’incontro con la giovane e nobile vedova Polissena de’ Stampi, figura magistrale di donna che dispone di se stessa a dispetto del moralismo dell’epoca, gli fa scoprire l’amore e il richiamo del sesso e i progetti del luogotenente di giustizia finiscono per cambiare. Nella Milano del 1631 descritta da Ben Pastor ci sono del resto le prostitute su cui il Manzoni non si sofferma, c’è la milizia armata del Cardinale Borromeo, descritto come tutt’altro che in odore di santità (al pari di Agnese, che non fa bella figura), ci sono i funzionari della dominazione spagnola con cui, tutto sommato, l’autrice è invece indulgente. E’ bello ritrovare qua e là nelle pagine anche i personaggi minori de “I Promessi Sposi”, come i bravi dell’Innominato o Tonio, l’amico di Renzo. Benché “La fossa dei lupi” si basi sulle indagini per scoprire chi ha ucciso l’Innominato, alla fine il nome del colpevole non è così interessante come tutte le vicende che servono per giungere alla soluzione, che intrigano il lettore al punto che si vorrebbe durassero di più. La soluzione del caso, comunque, arriva ed è convincente.