lunedì 29 gennaio 2018

IL MISTERO DEL SACRO GRAAL



Graham Hancock
IL MISTERO DEL SACRO GRAAL
Piemme
Tredicesima edizione 1996
cartonato - 590  pagine -  lire 45000

Il vero mistero di questo libro è il titolo italiano (non quello originale, "The Sign and the Seal", che é corretto): cioè, del Sacro Graal proprio non si parla. Ovvero, se ne accenna di sfuggita alludendo alla possibilità che sia identificabile con l'Arca dell'Alleanza. Ed è proprio quest'ultima l'oggetto pressoché esclusivo degli interessi dell'autore, e solo di quella in pratica si parla in questo affascinante saggio del 1992. Ora, la cosiddetta "fantarcheologia" di solito viene guardata con ironia se non sbeffeggiata, e a ragione, dagli studiosi che si basano su metodi scientifici. Non si può tuttavia negare come, in certi casi, la divulgazione presso il grande pubblico dei temi legati agli enigmi della storia delle antiche civiltà sia condotta con perizia didascalica da alcuni autori che dimostrano anche di conoscere abbastanza bene la materia che maneggiano, anche se lo fanno in modo non ortodosso.    Solitamente, le ricostruzioni di certi saggisti che si cimentano nelle indagini sui grandi misteri della storia sono accettabili finché si tracciano i contorni del problema, poi diventano insostenibili al momento di fornire una spiegazione o tirare le somme. Graham Hancock fa la cronistoria di una caccia durata diversi anni seguendo le tracce dell'Arca perduta, fino a una soluzione data per certa, con l'indicazione esatta del luogo dove si trova adesso, anche se poi, materialmente, lui non l'ha vista. L'autore sa accattivarsi l'interesse del lettore e offre continuamente prove di credibilità citando fonti precise e documentando fino alla minuzia ogni sua affermazione; inoltre dimostra una notevole cultura e conoscenza di testi; personaggi, luoghi. Non si ha l'impressione di trovarsi di fronte a un ciarlatano, anzi, si vorrebbe che molti scritti di storici o divulgatori paludati e acclamati portassero così tanti riscontri quanto lui e visitassero i luoghi di cui parlano conducendo le loro indagini.  Tanto sforzo documentativo non infogna il testo nella cloaca della pedanteria o della noia, al contrario lo stile è brillante come quello di una inchiesta giornalistica e seguire lo svolgimento delle argomentazioni capitolo dopo capitolo è divertente come partecipare a una caccia al tesoro. Il lettore, dopo oltre 500 pagine di suggestiva ricostruzione un percorso, può perfino arrivare a credere che le ipotesi di Hancock siano da prendere un considerazione. Ci si chiede anzi perché gli storici e gli archeologi  non si affrettino a dargli conferma oppure a smentirlo. In fondo dovrebbe essere facile andare là dove viene indicato e vedere se l'Arca c'è o non c'è, visto che Hanckock non ha potuto vederla solo perché si è trovato di fronte all'insormontabile veto di Gebra Mikail, il monaco etiopico che ne é il custode. Quel che ad Hancock è stato vietato perché privato cittadino, sarà pure consentito a uno stuolo di scienziati muniti di tutte le necessarie autorizzazioni. La tesi dell'autore è che l'Arca sia stata portata via da Tempio di Gerusalemme in un periodo in cui, dopo il regno di Salomone, i re del popolo di Israele non furono altrettanto saggi e illuminati, e uno in particolare incoraggiò addirittura il culto degli idoli. I sacerdoti la nascosero altrove, per la precisione in Egitto, sull'isola Elefantina posta nel Nilo, dove effettivamente ci sono i resti di un tempio ebraico. Nel frattempo in Israele le cose peggiorarono e ci furono invasioni e deportazioni ripetute, i secoli passarono e l'Arca non fu più riportata. Anzi, fu trasferita in Etiopia, dove esisteva (ed esiste tutt'oggi) una comunità ebraica locale, detta dei falasha. E nella città di Axum, in un monastero chiuso al mondo e dimenticato da tutti, ancora oggi si conserva l'oggetto più misterioso della storia.  Dove Hancock è meno credibile, anche se il suo racconto non è privo di suggestione, è quando parla di quello che potrebbe essere effettivamente l'Arca, e dell'origine dei suoi poteri. La Bibbia è piena di testimonianze di come l'Arca potesse portare la morte se maneggiata incautamente, ed emettere fuoco  radiazioni mortali a danno di chi, anche con buone intenzioni, gli si avvicinasse senza precauzioni. Hancock fa risalire questi poteri alla tecnologia atlantidea, e collega la figura di Mosé, "salvato dalle acque", a quella degli scienziati di Atlantide scampati all'inabissamento della loro terra. Insomma, si va a cadere nel terreno della fantarcheologia, quella secondo la quale le stesse piramidi non possono essere frutto delle conoscenze scientifiche degli antichi egiziani e che ci devono essere state influenze da parte di una scienza più avanzata. E questo è appunto l'argento di successivi libri di Hancock, come "Impronte degli dei".

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