sabato 31 dicembre 2022

TACCUINI

 



Albert Camus
TACCUINI
Bompiani
Brossurato, 2018
576 pagine, 16 euro
 
Albert Camus: scrittore, filosofo, saggista, drammaturgo, regista teatrale, giornalista e alla fine (nel 1957) Premio Nobel per la Letteratura. “Per la sua importante produzione letteraria, che con serietà chiarificante illumina i problemi della coscienza umana nel nostro tempo”, scrivono gli svedesi motivando il prestigioso riconoscimento. Due almeno i suoi romanzi da leggere prima di morire: “Lo straniero” (1942) e “La peste” (1947), entrambi ambientati nell’Algeria francese, dove Camus nacque nel 1913 (e a cui rimase sempre legato). La sua vita attraversò gli anni dei totalitarismi, del secondo conflitto mondiale e della Guerra Fredda, fu antifascista e aderì per un certo periodo al partito comunista, salvo poi uscirne soprattutto per reazione al dispotismo sovietico: “questa sinistra di cui ho fatto parte, mio malgrado e suo malgrado”, scrive nei Taccuini. C’è chi sospetta che il KGB sia stato coinvolto nell’incidente stradale in cui rimase ucciso nel 1960. Colpito giovanissimo dalla tubercolosi, riuscì comunque a laurearsi in filosofia nel 1936 con una tesi su Plotino e Sant’Agostino, ma per tutta la vita dovette trascorrere periodi di cura. Venticinque anni di questa vita sono accompagnati dalle sue annotazioni su quelli che vennero poi pubblicati postumi con il titolo di “Taccuini”. Si tratta di nove quaderni scolastici che Camus compilò senza interruzione dal maggio 1935 fino alla morte. Mentre era ancora in vita, lo scrittore aveva fatto dattilografare e in parte rivisto i primi sette quaderni. Un’edizione postuma dei primi sei, divisa in due tomi, venne curata da Roger Quillot. I quaderni 7, 8, e 9 sono stati pubblicati soltanto nel 1989. Non si tratta di diari: solo alcune pagine raccontano dei suoi viaggi in Francia, in Italia, in Grecia. Per il resto, si tratta di strumenti di lavoro. Camus annotava idee per nuovi romanzi, racconti, commedie, drammi. Poi citava frasi dai libri che leggeva (quante letture!), o si appuntava brani che sarebbero poi finiti in qualche sua opera. Coglieva sfumature nei paesaggi, commentava accadimenti nell’umanità che gli si aggirava attorno, elucubrava contorsioni filosofiche sul senso della vita, della morte, dell'amore, sull'arte e sulla scrittura. Raramente registrava avvenimenti storici (della guerra, per esempio, parla pochissimo). Si teneva lontano, con dichiarato intento, dalle confessioni sulla sua vita privata. Faceva propositi, tra i quali quelli di non entrare in polemica con i detrattori (“bisogna scrivere, non discutere”). Insomma, uno Zibaldone senza alcun filo conduttore se non lo scorrere del tempo. Certo, l’intero universo di Camus è nei suoi Taccuini, ma la scrittura zibaldonesca non favorisce la lettura: difficilmente la si può portare avanti a oltranza. Personalmente, ho letto tutto nel corso di un paio di anni, in ordine cronologico ma procedendo a pochi appunti ogni giorno. Ho estrapolato dai nove quaderni una serie di aforismi (di cui sono, come si sa, appassionato). Li ho copiati qui di seguito, nel caso a qualcuno interessino. Non pretendono di riassumere il senso dei Taccuini nella loro interezza, ma sicuramente illuminano su alcuni temi cari a Camus.
Quaderno 1 – maggio 1935 – settembre 1937
Quaderno 2 – settembre 1937 – aprile 1939
Quaderno 3 – aprile 1939 – febbraio 1942
Quaderno 4 – febbraio 1942 – settembre 1945
Quaderno 5 – settembre 1945 – aprile 1948
Quaderno 6 – aprile 1948 – marzo 1951
Quaderno 7 – marzo 1951 – luglio 1954
Quaderno 8 – agosto 1954 – luglio 1958
Quaderno 9 – luglio 1958 – dicembre 1959

Perché sono un artista e non un filosofo? E’ che io penso in base alle parole e non alle idee.
La civiltà non consiste in un livello più o meno alto di raffinatezza, ma in una coscienza comune a tutto un popolo. Credere che la civiltà sia opera di un’élite significa identificarla con la cultura, che tutt’altra cosa.
Incapacità di essere solo, incapacità di non esserlo.
La tentazione più pericolosa: non assomigliare a nulla.
Il bisogno di aver ragione: segno di spirito volgare.
Ci si determina man mano che si vive. Conoscersi alla perfezione equivale a morire.
Un uomo intelligente su un certo piano può essere imbecille su altri.
Ogni volta che ascolto un discorso politico o leggo le parole di costoro che ci dirigono, constato da anni con spavento che non c’è niente in loro che abbia un suono umano. Sono sempre le stesse frasi che ripetono le stesse menzogne.
Dovessi scrivere io un trattato di morale, avrebbe cento pagine, novantanove delle quali assolutamente bianche. Sull’ultima, poi, scriverei: “Conosco un solo dovere, ed è quello di amare.”
La vita è difficile da vivere.
L’innocente è colui che non spiega.
La mia sola missione è vivere.
La tentazione comune a tutte le intelligenze: il cinismo.
C’è chi è fatto per amare e c’è chi è fatto per vivere.
La donna del piano di sopra si è uccisa gettandosi in cortile. Prima di morire ha detto: “Finalmente!”
Bisogna essere in due quando si scrive.
Un giorno che il popolo lo applaudiva: “Che abbia detto qualche sciocchezza?” si domandò Focione.
Forse la vita sessuale è stata data all’uomo per distoglierlo dalla sua vera vita. E’ il suo oppio.
Nessun popolo può vivere fuori della bellezza. Può al massimo sopravvivere per qualche tempo.
Non esiste libertà per l’uomo fin quando non ha superato il timore della morte.
Neanche Dio, se esistesse, potrebbe modificare il passato
Libertà è poter dare ragione all’avversario.
Ho vissuto per tutta la giovinezza con l’idea della mia innocenza, cioè con nessuna idea.
Preferisco gli uomini impegnati alle letterature impegnate. Sembra che oggi scrivere una poesia sulla primavera equivalga a servire il capitalismo.
Mi conosco troppo per credere alla virtù assolutamente pura.
Soppressione della pena di morte. Motivo: l’assassino ha delle scuse nelle passioni della natura. La legge no.
Mi si rimprovera perché i miei libri non danno rilievo all’aspetto politico. Traduzione: vorrebbero che mettessi in scena dei partiti. Ma io metto in scena soltanto individui che si oppongono alla macchina dello stato.
Secondo gli egiziani, dopo la morte il giusto deve poter dire: “Non ho fatto soffrire nessuno”. Se no, c’è il castigo.
Bisogna incontrare l’amore prima di aver incontrato a morale. Altrimenti, lo strazio.
Ho cercato con tutte le forse, conoscendo le mie debolezze, d’essere un uomo morale. La morale uccide.
Non si dice neppure la quarta parte di ciò che si sa. Altrimenti, tutto crollerebbe. Quel poco che si dice, ed ecco che già urlano.
Se c’è un’anima, è un errore credere che ci sia stata data già creata. Si crea qui, nel corso della vita. E vivere non è che questo parto lungo e faticoso. Quando l’anima è pronta, creata da noi e dal dolore, ecco la morte.
Secondo i cinesi, gli imperi che sono ormai prossimi alla fine, hanno leggi molto numerose.
Quelli che scrivono in modo oscuro hanno una bella fortuna: avranno dei commentatori. Gli altri avranno soltanto dei lettori, il che, sembra, è spregevole.
E’ solo rinviando le conclusioni, anche quando gli sembrano evidenti, che un pensatore progredisce.
Io non seduco, io cedo.
Quelli che preferiscono i propri principi alla propria felicità si rifiutano di essere felici al di fuori delle condizioni che essi stessi hanno stabilito per esserlo.
La disgrazia più grande non è non essere amati, ma non amare.
Mi sento in diritto di morire tranquillo, potendo dire: “Ero debole, e tuttavia ho fatto ciò che ho potuto.”
I martiri devono scegliere tra farsi dimenticare e farsi adoperare.
Con alcune persone manteniamo rapporti di verità. Con altre, rapporti di menzogna. Questi ultimi non sono meno duraturi.
Sembrava che si amasse la libertà; si scopre che ci si limitava a odiare il padrone.
Non sono così buono da perdonare le offese, ma le dimentico sempre.
Bomba termonucleare. Gli uomini giungono finalmente a eguagliare Dio, ma nella crudeltà.
L’arte è un’esagerazione calcolata.
Leggi spesso che sono ateo, sento parlare del mio ateismo. Ma queste parole non mi dicono niente, non hanno senso per me. Io non credo in Dio e non sono ateo.
Dopo trenta conversazioni in Italia, comincio a farmi un’idea della vera situazione di questo paese. Non opinioni, ma fazioni.
Quelli che hanno davvero qualcosa da dire non ne parlano mai.
Non rifiutarsi di riconoscere ciò che è vero, neanche quando il vero si rivela l’opposto del desiderabile.
Il mio mestiere è di fare libri e di combattere quando la libertà dei miei e del mio popolo è minacciata. Tutto qui.
La democrazia non è la legge della maggioranza, ma la protezione della minoranza.

 Io non amo l’umanità in generale. Mi sento soprattutto solidale con lei, e non è la stessa cosa. E poi amo alcuni uomini, vivi o morti, con una tale ammirazione che sono sempre desideroso, o ansioso, di preservare o proteggere in tutti gli altri ciò che, per caso o per un giorno che non so prevedere, li ha resi o li renderà simili ai primi.

venerdì 30 dicembre 2022

LA FINE DI ROMA

 
 

 
 
Corrado Augias
LA FINE DI ROMA
Einaudi
cartonato, 2022
306 pagine, 20 euro


“Trionfo del Cristianesimo, morte dell’Impero”, spiega il sottotitolo del saggio, di taglio gradevolmente divulgativo, di Corrado Augias, che già in precedenza aveva indagato, con approccio quasi giornalistico, sulla figura storica di Gesù. Gesù di cui qui non ci si occupa, partendo invece dalla predicazione di San Paolo, ritenuto il vero “inventore” del Cristianesimo, quello che gettò le basi, con la sua predicazione e le sue Lettere, alla teologia cristiana (che non nacque già scritta e messa a punto, ma sedimentò nei secoli nel corso – e ancora sta sedimentando). Che la fine di Roma, intesa come crollo dell’Impero Romano d’Occidente (476), possa essere messa in relazione con il trionfo del Cristianesimo è la tesi dello storico inglese Edward Gibbon (1737-1794), autore del celebre saggio “Decadenza e caduta dell’Impero Romano” (quello che ispirò “Fondazione” di Isaac Asimov). Tesi che Augias ridimensiona, in accordo con le analisi di autori successivi. Tuttavia, “La fine di Roma” racconta soprattutto del rapporto contraddittorio fra gli imperatori e i cristiani, il cui numero andava crescendo sempre di più, e che si trasformarono, alla fine, da perseguitati a persecutori (paradigmatica da questo punto di vista l’uccisione della filosofa Ipazia ad Alessandria d’Egitto). 
Il saggista racconta, anche con tecnica aneddotica, le vicissitudini dell’alternarsi degli imperatori, soffermandosi soprattutto su quelle più interessanti, quali Adriano, Marco Aurelio, Costantino o Giuliano “l’Apostata”, ma si dedica anche i teologi cristiani che andavano elaborando i dogmi di fede tramandati fino a noi, come Sant’Agostino, Tertulliano, San Girolamo e Sant’Ambrogio. Colpisce come la visione del sesso e la concezione della donna tra i primi pensatori cristiani e durante i primi concili abbia avuto, secondo Augias (che dedica all’argomento due capitoli), un certo peso nell’evoluzione delle dinamiche storiche. Colpisce anche il fanatismo di chi, fra i cristiani, cercava il martirio, al pari della crudeltà con cui li si martirizzava (anche se non sempre per volontà diretta dei Cesari). Spesso e volentieri il saggista descrive monumenti ancora oggi vistabili a Roma collegati con i fatti oggetto dei suoi racconti, e questo rende il testo molto accattivante e paragonabile a un documentario (anche grazie al supporto di una ricca documentazione fotografica). Manca tuttavia, nel susseguirsi di aneddoti, una analisi stringente sulla caduta dell’Impero, i cui motivi vengono genericamente indicati con l’eccessiva estensione del territorio da amministrare, tale da rendere impossibile il funzionamento della burocrazia e della catena di comando soprattutto nelle regioni poste ai confini più lontani. Manca anche una descrizione puntuale delle invasioni barbariche, per le quali, forse, servirà un altro libro.

giovedì 29 dicembre 2022

APOCALISSE

 

 
Alfredo Castelli
Corrado Roi
APOCALISSE
Sergio Bonelli Editore
2019, cartonato
114 pagine, 20 euro


Davanti a un libro così, la prima domanda che sorge spontanea è: ma come è potuto saltargli in mente, ad Alfredo Castelli e Corrado Roi, di cimentarsi in una versione a fumetti addirittura dell’Apocalisse? Se si trattava di una sfida, indubbiamente è stata vinta. In precedenza, non sono mai riuscito a leggerlo fino alla fine, l’ultimo libro della Bibbia. Come spiega Castelli nella sua postfazione: “I testi dell’Apocalisse sono contorti, prolissi, ripetitivi, tanto che la maggior parte degli esegeti sostiene che il loro estensore e Giovanni evangelista, capace di una scrittura più elegante, non fossero la stessa persona”. Invece, la versione castelliana si segue con interesse e passione dalla prima all’ultima pagina, aiutati anche dalla chiara introduzione. Ovviamente, leggere il testo originale è un’altra cosa. Tuttavia la semplificazione inevitabile rende comprensibile (per quel che è possibile) tutto il dipanarsi delle visioni di San Giovanni o di chi per lui, scritte all’inizio del II secolo dopo Cristo per essere divulgate presso le “sette chiese” (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea). Ci si fa, insomma, un’idea del contenuto, il racconto della fine del mondo, inquadrandolo nel contesto di una ricca letteratura definita apocalittica iniziata già dai tempi del profeta Daniele (in sostituzione appunto della letteratura profetica). Fra i tanti testi, solo l’Apocalisse di Giovanni è stata accolta nel 419 (Concilio di Cartagine), non senza discussioni, nel canone della Bibbia – ma ce ne sono altre (come ci sono altri Vangeli che sono rimasti, a torto o a ragione, esclusi). Si sono tentate infinite interpretazioni per ognuno dei simboli proposti dal testo, identificando per esempio la Grande Prostituta con la città di Roma o incarnando il numero della Bestia, il 666, in Nerone (solo per citare alcune ipotesi), qualcuna convincente, molte no. Castelli propone, grazie alle immaginifiche tavole di Corrado Roi (a cui va un plauso ammirato), non soltanto una visualizzazione del testo giovanneo, ridotto all’essenza con molto rispetto, ma anche lo chiosa mostrando lo stesso Giovanni mentre lo scrive, e inserendo tre intermezzi in cui altrettanti commentatori illustri, che in epoche diverse effettivamente si sono interessati all’Apocalisse, dialogano appunto a proposito di essa. Si tratta di Isaac Newton, Aleister Crowley e Jorge Luis Borges. Il finale è a sorpresa. Citando (ma argomentando molto bene) una delle più recenti interpretazioni del numero 666, Castelli propone che il simbolo numerico corrisponda a uno alfabetico, quello delle tre W. Il che significa che i tempi sono vicini. Il libro è uscito nel 2019, e sappiamo tutti che cosa è accaduto e sta accadendo a partire dal 2020, nel mondo e anche in Rete. Ohibò. Si sappia che in ogni caso, secondo Giovanni, coloro che si salveranno saranno soltanto 144.000.

martedì 27 dicembre 2022

GUERRA!

 

 


Guido Nolitta
Gallieno Ferri
GUERRA!
Sergio Bonelli Editore
2022, cartonato
210 pagine, 28 euro


La collana di volumi cartonati di grande formato che ogni anno la Bonelli dedica alla ristampa di un classico zagoriano, destinandolo alla distribuzione libraria, nel 2022 ha proposto “Guerra!”, un must di Nolitta & Ferri pubblicata per la prima volta tra il gennaio e l’aprile del 1967. Si tratta di un racconto memorabile che, al pari del precedente (“I cacciatori di uomini”) e del successivo (“La casa del terrore”), segna l’inizio della maturità dello Spirito con la Scure, dopo alcuni anni di rodaggio. Vi compare un corpo paramilitare, “I Lupi Neri”, destinato a incidersi in modo indelebile nei ricordi dei lettori. Il suo comandante, il bieco capitano Kraus, è uno dei più efficaci cattivi della serie: un fanatico che sembra incarnare le più violente ideologie razziste, progettando pulizie etniche e campi di concentramento ai danni degli indiani di Darkwood. Non si può non ammirare Guido Nolitta per la caratterizzazione di questo personaggio, tratteggiato con eccezionale efficacia sia pure nella semplicità della costruzione del racconto, e lo stesso si può dire degli altri protagonisti del racconto, da Alan Webb al caporale Kowalsky. Così spiega Sergio Bonelli in una intervista: “L’invenzione dei ‘Lupi Neri’ fu un riuscito espediente di sceneggiatura: ho pensato che inventando un corpo speciale ci fosse il pretesto per giustificare la maggior cattiveria di quella banda. Mi sarebbe dispiaciuto se Zagor si fosse sempre scontrato con soldati dell’esercito regolare, mentre facendolo combattere contro gruppi in divisa schierati addirittura contro la nazione americana avevo l’alibi per farlo essere un po’ più cattivo”. Nel finale vediamo una mitragliatrice Gatling, un’arma da fuoco micidiale costituita da una serie di canne rotanti, inventata da Richard Jordan Gatling nel 1861 (ne parla diffusamente Luca Barbieri nella sua informata introduzione dedicata proprio a questo argomento): dunque, una trentina di anni dopo l’epoca in cui (grossomodo) si collocano le storie di Zagor. Si tratta perciò di un anacronismo. Del resto, anche il fatto che Nolitta abbia dotato l’eroe di Darkwood di una pistola a ripetizione (e che quasi tutti usino armi automatiche nelle sue storie) è una incongruenza temporale. All’epoca in cui fu creato lo Spirito con la Scure, i lettori non richiedevano una particolare attenzione alla realtà storica. Ciò che importava era la qualità del racconto, erano le emozioni suscitate. “Guerra!” è anche l’avventura in cui compare per la prima volta il personaggio di Molti Occhi. Si tratta di un errabondo stregone mohicano chiamato così perché porta gli occhiali, uno dei tanti oggetti della tecnologia dei bianchi da lui apprezzati, insieme al barometro o ai ferri chirurgici. Benché consapevole del fatto che Zagor sia soltanto un uomo, vedremo Molti Occhi aiutarlo in numerose occasioni a consolidare il mito di personaggio protetto dalle divinità, organizzando con lui alcune delle sue più spettacolari “apparizioni” davanti capi e guerrieri della foresta.
 
 

sabato 10 dicembre 2022

TIRAMOLLA



Roberto Renzi
Giorgio Rebuffi
Umberto Manfrin
 
TIRAMOLLA
 
Sbam!Libri
Brossurato, 2022
156 pagine, 15 euro


“Mi capitò di leggere, sul Corriere della Sera, un pezzo in cui si parlava di una nuova sostanza appena scoperta negli Stati Uniti che aveva la possibilità di allungarsi e cambiare forma senza perdere la sua consistenza. La sostanza era il silicone. Proposi quindi all’editore un nuovo personaggio che avrebbe esordito con le insolite fattezze di un essere composto di quella strana gomma appena inventata in America”. Così racconta Roberto Renzi in una intervista, a proposito della creazione di Tiramolla nel 1952, di cui lui fu il primo sceneggiatore, mentre la storia di esordio venne affidata a Giorgio Rebuffi. Il volume della meritoria “Sbam!” esce per celebrare il settantesimo compleanno di un personaggio memorabile, che ha divertito innumerevoli lettori per oltre quarant’anni di pubblicazioni (l’ultima avventura è del 1993). Il “figlio del caucciù e della colla”, come Tiramolla stesso si definisce alla sua prima apparizione, nasce sul n° 8 di “Cucciolo” (agosto 1952), un mensile della Casa editrice Alpe, fondata da Giuseppe Caregaro, creatore dodici anni prima proprio del personaggio che dava il nome alla testata, Cucciolo appunto, inizialmente raffigurato come un cagnolino e poi successivamente umanizzato, al pari del fedele amico Beppe. Inevitabile vedere in Cucciolo e Beppe un preciso riferimento alla coppia di Topolino e Pippo (tant’è vero che nelle loro avventure compaiono tre pestiferi nipotini chiamati con i nomi di Tip, Top e Tap). Si trattava comunque di personaggi di successo, inseriti in un microcosmo popolato da amici e nemici ricorrenti, realizzati da disegnatori di talento (oltre a Rebuffi è doveroso ricordare almeno Egidio Gherlizza, Tiberio Colantuoni, Alberico Motta e Onofrio Bramante), per non parlare degli sceneggiatori. Ma torniamo al numero di “Cucciolo” su cui nasce Tiramolla, comparendo come insolito e inaspettato co-protagonista. Il personaggio nasce dal modo maldestro con cui Beppe conduce un esperimento chimico sperando di scoprire l’identità di un misterioso ladro penetrato nel laboratorio di uno scienziato, il professor Nemus. Causando involontariamente un’esplosione, Beppe mescola chissà quali sostanze e provoca la nascita di un incredibile ometto dal corpo di gomma, che può allungarsi, gonfiarsi, cambiare forma a piacimento (un po’ come Reed Richards dei Fantastici Quattro, ma un po’ di anni prima). Tiramolla (che si dimostra subito adulto, capace di intendere e di volere, conscio di se stesso e dei propri poteri e dotato di una bombetta) colpisce subito la fantasia dei lettori, tanto da guadagnarsi fin dal 1953 una testata tutta sua, durata fino al 1988. L’aspetto e la caratterizzazione si assestano grazie soprattutto al disegnatore Umberto Manfrin, giunto ben presto a sostituire Rebuffi impegnato con il Lupo Pugacioff, realizzatore di centinaia di storie, molte di Renzi, altrettante di propria ideazione. All’eroe di gomma viene affiancato l’imperturbabile maggiordomo Saetta, viene data una casa, un nuovo copricapo (un cilindro), una serie di nemici. Le storie vengono ristampate numerose volte, a grande richiesta. Finché, ormai morto Caregaro, la Alpe deve affrontare una grave crisi di vendite (comune a tutte le pubblicazioni del target) e anche Tiramolla deve chiudere. Ci saranno due vani tentativi di riportarlo in vita rinnovato nella grafica (la tuba diventa un cappellino da basket), a opera della Vallardi (1990-1992) e della Comic Art (1993). Il volume della “Sbam!”, ottimamente curato da Antonio Marangi, propone non soltanto una selezione di alcune storie significative dei vari periodi, ma anche una serie di interventi critici e di omaggi grafici al personaggio da parte di vari disegnatori

giovedì 8 dicembre 2022

LA LEGGENDA DI YELLOW BIRD

 

 


Giorgio Giusfredi
Carlos Gomez
LA LEGGENDA DI YELLOW BIRD
Sergio Bonelli Editore
cartonato, 2022
52 pagine, 9.90 euro
 
 
Sembre belli i cartonati "alla francese" di Tex. "Alla francese" ma distribuiti in edicola a un prezzo davvero abbordabile (in Francia, i volumi così li vendono in libreria). "La leggenda di Yellow Birds" stupisce soprattutto per i disegni di Carlos Gomez, maestro argentino per anni illustratore della saga di Dago, scritta da Robin Wood. Gomez ha già all'attivo un paio di storie di Tex, ma con questo albo supera se stesso e ci conseggna un capolavoro grafico, gioia per gli occhi e per la mente. Western puro, ambientato in scenari innevati, con Tex e Carson impegnati, restando a lungo separati, a portare in salvo un drappello di soldati braccati dagli Cheyennes di Coyote Bianco, dopo che i soldati blu erano usciti dal loro Forte per dare la caccia a un disertore. Nel vortice degli scontri si inserisce anche una donna pellerossa, abilissima guerriera, i cui intenti restano un mistero fino alla fine, così come sorprende il ruolo di un nonno indiano che accompagna il nipotino verso un appuntamento che verrà rivelato nelle tavole conclusive. La sceneggiatura di Giorgio Giusfredi è moderna e coinvolgente e segna un ulteriore passo dell'autore toscano verso la piena maturità professionale.