domenica 31 luglio 2016

LA SECONDA VITA DI MAJORANA


LA SECONDA VITA DI MAJORANA
di Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini
Chiarelettere
2016, brossurato
200 pagine, 16.90 euro

"Finalmente risolto uno dei più misteriosi gialli italiani - uno scoop internazionale", recita la scritta sulla fascetta. Che la misteriosa scomparsa del fisico Ettore Majorana, uno dei geniali "ragazzi di via Palisperna" radunati attorno a Enrico Fermi negli anni Trenta, sia uno dei più affascinanti casi di sparizione nel nulla su cui si sia indagato dal 1938 in poi, non ci sono dubbi. Che il giallo però possa essere del tutto risolto dopo la pubblicazione di questo elettrizzante libro, però, è difficile poter concordare. Vedremo perché dopo aver riassunto per sommi capi la vicenda. Ettore Majorana, catanese classe 1906, è un ragazzo prodigio in grado di intuizioni matematiche fuori del comune e con capacità di calcolo e di analisi in grado di competere con le menti più eccelse della fisica teorica. Enrico Fermi lo chiama a lavorare con lui, il rapporto fra i due però è conflittuale. Majorana ha un carattere introverso, è solitario e riservato, pare sfortunato in amore. Per di più il periodo di Via Panisperna prelude alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, di cui forse Ettore intuisce l'apocalittica portata. Fatto sta che dopo aver lasciato alcune lettere sibilline in cui fa capire di aver maturato una decisione drastica, sparisce nel nulla. Ha però ritirato tutti i suoi risparmi e si è portato dietro il passaporto. Anche per ordine di Mussolini, il giovane scienzato viene cercato dovunque ma le ricerche sono vane. C'è chi teme un suicidio (si sarebbe affogato in mare gettandosi da una nave di linea in navigazione fra Palermo e Napoli - viaggio per cui aveva comprato un biglietto), chi lo ritiene rifugiato in un convento, chi giura di averlo riconosciuto in un barbone che vive alla macchia. Finché, nel 2008, un settantenne di Latina, Enrico Fasano, presenta alla magistratura (dopo aver contattato la trasmissione "Chi l'ha visto?") una foto scattata in Venezuela negli anni Cinquanta (là dove lui era emigrato in cerca di lavoro, essendo in quel periodo quel Paese ricco e pieno di opportunità). La foto lo mostra, lui poco più che ventenne, con un cinquantenne che sembra proprio essere Ettore Majorana, ma che diceva di chiamarsi Bini. Almeno, tutte le perizie effettuate dagli inquirenti danno esito positivo: Bini, stando agli esperti, è Majorana. Fasano ricorda Bini come un amico molto riservato di cui però sapeva poco, proprio in ragione del fatto che non raccontava quasi nulla di sé. Di lui perse le tracce durante un colpo stato avvenuto in Venezuela nel 1958, che lo obbligò a ritornare in Italia. Che fine abbia fatto Bini, non si sa. Fasanbo cita però degli amici comuni, un certo Nardin, un certo Carlo, un certo Ciro. Uno di loro, Carlo, gli avrebbe appunto detto che Bini non era il vero nome dell'uomo, che in realtà si chiamava Majorana ed era uno scienziato. Non solo: Fasano è in grado di esibire una cartolina scritta da un fratello di Majorana a un amico americano, che Bini aveva con sé e che per caso è rimasta nelle sue mani. Purtroppo Fasano è morto nel 2011, ma i tre autori dell'inchiesta alla base del libro hanno potuto ricostruire molti altri particolari parlando con la sua famiglia, depositaria di confidenze e ricordi non finiti nei verbali della magistratura. Borello, Gironi e Sceresini sono partiti per il Venezuela (uno dei paesi del mondo in cui è più difficile indagare, per le difficoltà economiche attuali e l'imperversare di banditi pronti a uccidere chiunque in qualsiasi luogo). "La seconda vita di Majorana" ricostruisce passo per passo la loro inchiesta, e la lettura è avvincente. Il racconto di Fasano trova di decine di conferma, anche solo per "sentito dire". Tutti ci aspettiamo, a un certo punto, una prova regina: che però non c'è. Anzi, se abbondano gli indizi mancano le tracce. Per ogni tassello che va al suoi posto ci sono cento "non ricordo", "non risulta", "niente è agli atti". E' vero che ci sono mille motivi che giustificano la mancanza di riscontri concreti, fatto sta che tutto resta approssimato. L'indagine sembra condurre, a un certo punto, a una sorta di laboratorio segreto del governo venezuelano, dove probabilmente Majorana aveva qualche incarico scientifico: sembra però la trama di un film di spionaggio. Gli elementi ci sono, ma le conclusioni no. I dubbi più clamorosi, secondo me, sono sollevati dagli anni che, a quanto pare, il fisico trascorse a Buenos Aires: varie testimonianze affermano che il catanese vivesse in Argentina con il suo vero nome e frequentasse la comunità italiana. Chi dice di averlo incontrato (senza poter esibire prove) sostiene che la sua fuga fosse dovuta ai dissapori con Fermi. Solo i sommovimenti politici dopo il crollo del peronismo lo avrebbero convinto a spostarsi, con l'amico Carlo, nel vicino e (in quel momento) ospitale Venezuela. Ecco: capisco la difficoltà di trovare tracce di un fantomatico Bini (nome falso) in territorio venezuelano, ma possibile che non resti traccia nei luoghi dei lunghi anni argentini, trascorsi presentandosi proprio come Ettore Majorana? E sarà mai possibile, che uno che scompare ed è risercato dovunque, non si celasse sotto una falsa identità? Anche in questo caso gli autori dell'indagine fanno ipotesi sul perché di certe testimonianze non si trovino conferme, ma ecco, se fossi io a indagare, più che sul Venezuela mi concentrerei su Buenos Aires. Per concludere: Borello e compagni mi hanno convinto sul fatto che Bini fosse Majorana e che dunque il fisico fosse vivo attorno al 1955 in Sud America, mentre resta nel mistero quale fosse il suo lavoro (onesto, o invischiato con i servizi segreti di potenze straniere?). C'è spazio un altri libri. E per cento film, fumetti e romanzi.

mercoledì 27 luglio 2016

PIER LAMBICCHI E L'ARCIVERNICE



PIER LAMBICCHI  E L'ARCIVERNICE 
di Giovanni Manca
Mondadori
cartonato, 1970

Nel 1930, collaborando con il "Corriere dei Piccoli" dopo altre esperienze come vignettista (per esempio, sul "Guerin Meschino"), Giovanni Manca crea il personaggio di Pier Cloruro de' Lambicchi.  Si tratta di uno scienziato un po' folle ma non del tutto pazzo, che armeggiando nel suo laboratorio inventa una formula chimica "che non capiva neppure lui". Si tratta di una sostanza, prontamente ribattezzata "arcivernice", che spalmata su una qualunque immagine dipinta o riprodotta a mezzo stampa (ma anche sui tatuaggi dei marinai, per esempio), riesce a farla diventare vera. Le potenzialità umoristiche erano moltissime, e Manca seppe sfruttarle una dopo l'altra in una serie interminabile di sketch in cui di volta in volta prendono vita antichi guerrieri, personaggi famosi, animali veri e mitologici, e perfino i disegnetti fatti col gesso sul muro da un bambino. Le vignette sono pulite e godibilissime, colorate a tinte pastello, le storie brillanti e ancor oggi molto moderne. Un unico difetto: lette una per settimana, potevano essere esilaranti; lette tutte di fila raccolte in volume finiscono per essere un po' ripetitive. Ma la forza della trova e la grande abilità nello sfruttarla rimangono indiscusse. 
Scrive Piero Chiara nella sua nota introduttiva: "La fantasia di Giovanni Manca ha spaziato per anni lungo il patrimonio culturale che la semplificazione scolastica ha ridotto in poche formule, richiamando in vita personaggi e fatti storici attraverso il filtro della deformazione caricaturale e favolistica. Le sue creature, e in particolare Pier Lambicchi con la cameriera Sofonisba e il nipote Pierino, agiscono con gran disinvoltura dentro un mondo surreale nel quale è facile trasferirsi, non solo in virtù delle capacità poetiche dell'artista, ma proprio per la chiarezza e la plausibilità del suo disegno, che sembra uscire non dalla matita ma dalla mente, la quale proietta sulla carta delle immagini cose precise ed essenziali da sembrare dei fotogrammi, ripresi in quell'al di là dell'immaginazione dove Giovanni Manca elabora i suoi miti". La saga di Pier Lambicchi si conclude con l'arcivernice che fa diventare di carne e ossa la gallina dalle uova d'oro raffigurata in un libro di fiabe, così che il nostro finisce di avere problemi economici. Ma poiché viene chiamata in vita anche la personificazione della Gloria e Sofonisba, gelosa, la caccia a colpi di scopa, Manca chiude la serie con questa didascalia: "Pier Lambicchi, professore, inventore e grande scienziato, fu dimenticato perché la sua serva bisbetica e ignorante, un giorno aveva scacciato di casa la gloria a colpi di scopa!".


lunedì 25 luglio 2016

IL CODICE DA VINCI




IL CODICE DA VINCI
di Dan Brown
Mondadori
Edizione Speciale Illustrata
2005
Traduzione di Riccardo Valla
cartonato - 460 pagine

Nei ringraziamenti finaliDan Brown menziona per primo il suo editor, Jason Kaufman, il quale avrebbe “sinceramente capito il vero significato di questo libro”.  C’è dunque da chiedersi quale sia, questo significato. Secondo me, la “chiave di volta”, se ce n’è una ed è quella che serve per capire, è da rintracciarsi nel penultimo capitolo del romanzo, allorché Marie Chauvel spiega a Robert Langdon come la vera storia del Graal (quella ipotizzata dal racconto che si avvia a conclusione, e cioè legata alla metafora del “calice” femminile, in fondo l’ “urna molle e segreta” cantata anche dal Pascoli nel “Gelsomino notturno”) sia stata raccontata per secoli “dall’arte, dalla musica, dai libri, sempre di più, giorno dopo giorno”. E poiché anche Robert sta lavorando a un saggio sul femminino sacro, la donna lo esorta: “Lo pubblichi, signor Langdon. Canti la canzone alla dea. Il mondo ha bisogno di moderni trovatori”. Ecco, quindi, che cos’è “Il codice da Vinci”: una canzone alla dea. 
Stupisce, perciò, il livore degli ambienti clericali più integralisti riguardo a un romanzo tutto sommato abbastanza moderato, nel senso che volendo stupire con effetti speciali si potevano inventare versioni alternative della vita di Gesù assai più clamorose e spettacolari. Nulla, nelle ipotesi sostenute dai personaggi, contrasta contro la fede in Dio, né si mette in dubbio la grandezza di Cristo, e perfino i cattivi del racconto, alla fine, non sono riconducibili al Vaticano. Anzi, il “colpevole”, Leigh Teabing, è un nemico giurato della Chiesa di Roma. Personalmente, non sono affatto turbato dall’idea che Gesù possa aver avuto dei fratelli e una moglie (io non mi pronuncio sulla faccenda, ma so di biblisti che ne sono convinti). Non capisco in che modo l’idea di un “figlio di Dio” che si fa uomo possa essere messa in crisi dal fatto che l’accettazione dell’umanità sia portata fino al punto di sposare una donna, o generare una prole, come se questo possa rappresentare un male. Dunque, non vedo nella teoria di un ipotetico matrimonio di nostro Signore nulla che possa far dubitare della sua divinità o mettere in discussione i suoi insegnamenti. Quindi, la congettura è di per sé innocua o, a voler essere proprio drastici, non particolarmente dannosa. Mi chiedo perché non disturbino di più i romanzi e i film sull’Anticristo e sugli esorcisti. Dan Brown, in fondo, parla di amore e di eterno femminino. A me, per assurdo, non interessa particolarmente quel che Brown pensa realmente a proposito del Graal: non è uno scienziato. A me interessa, come lettore di un suo romanzo, quel che partorisce la sua fantasia. Ai mei occhi, fa testo solo il suo racconto, e fa testo solo in quanto fabula.
Infatti, la questione è di lana caprina perché stiamo parlando non delle tesi più o meno eretiche di un teologo, o del saggio di uno storico o comunque di un testo accademico. Forse i detrattori non hanno ben capito che si tratta di un romanzo. Cioè, di fiction. A parlare, e talvolta a citare passi di presunti documenti, sono dei personaggi di fantasia che, come tali, possono inventarsi quello che vogliono. Non mi è parso di scorgere, nelle pagine di Dan Brown, alcuna pretesa di farsi portavoce di qualche presunta verità: l’intento è soltanto quello del romanziere che cerca di accattivarsi la curiosità del lettore, di avvincerlo, di meravigliarlo e stupirlo come il prestigiatore che fa uscire un coniglio dal cilindro. Chi volesse approfondire, insomma, dovrebbe farlo altrove, e non vedo come si possa imputare a un autore ciò che i protagonisti di un suo racconto vanno sproloquiando. Altrimenti, sarebbe come se si rimproverassero a Cervantes i discorsi astrusi di Don Chisciotte  o se qualche scienziato rinfacciasse ad Asimov i balzi nell’iperspazio o le Tre Leggi della robotica. E immagino che la fantasia non manchi neppure in molte biografie dei santi dei tempi che furono, come quelli dove si racconta di Santa Brigida che cambiava l’acqua in birra.
Per di più, i personaggi del Codice da Vinci si limitano a riportare tesi già note, finendo per fornire, sì, interpretazioni suggestive di fatti e opere d’arte ma senza nessuna pretesa di documentare alcunché.Alla base del libro c’è, infatti. un saggio di Richard Leigh, Michael Baigent ed Henry Lincoln, The Holy Blood e The Holy Grail (1982), noto in Italia come Il santo Graal (ovviamente, me lo sono procurato)Non a caso, l’anagramma di Teabing è proprio Baigent, e il nome del cattivo, Leigh, richiama il cognome di un altro degli autori. Dunque, se c’è qualcuno con cui prendersela sono proprio gli autori del volume da cui Brown ha preso ispirazione. Ma, del resto, le leggende su Maria Maddalena non le hanno inventate neppure loro. Dunque, davvero non si capiscono gli anatemi. Eppure, il best seller di Dan Brown ha scatenato tutta una infervorata letteratura a smentita, come se si trattasse di un saggio scientifico e non si è avuta una analoga mobilitazione contro Il santo Graal. Mah.

Ai miei occhi, la cosa più incredibile del romanzo è il fatto che la maggior parte degli eventi si svolga nel corso di una notte. Un po’ come accade a Principe Miskin all’inizio dell’Idiota di Dostojevsky, insomma, che in un giorno riesce a fare tante di quelle cose da riempire una settimana. Suona un po’ strano anche il fatto che il vecchio Sauniere, curatore del Louvre, riesca in mezz’ora, prima di morire, ad architettare un così complicato gioco enigmistico perché la nipote, l’esperta in linguaggio cifrati Sophie Neveu. A parte ciò, pur nei limiti di una scrittura senza pretese e non trascendentale, il romanzo è avvincente e affascinante. Cosa non trascurabile, propone un giallo ben architettato, con un colpevole imprevedibile (un alleato di Langdon e Sophie che sembra braccato al pari loro da un misterioso “Maestro” – che pare inviato contro di loro dal Vaticano, mentre così non è), un killer inquietante (un gigantesco monaco albino, Silas), e un potenziale cattivo, su cui cadono inizialmente tutti i sospetti, che poi si rivela innocente (il poliziotto “papista” Fache, della polizia di Parigi). Il protagonista, Langdon, è poi un tipo interessante e si merita un ritorno sulle scene (dopo essere giunto alla sua seconda apparizione proprio con questo romanzo).
Ma sarebbe ingiusto, oltre che sbagliato, parlare del Codice da Vinci soltanto come di un thriller. E’ evidente che, dato l’argomento si cui si indaga,  ci sia di più. Personalmente ho trovato poetica e accattivante la lettura (pur di stampo romanzesco) della figura di Cristo che viene proposta: quasi dispiace che non corrisponda del tutto a quella del catechismo. Ma non solo. Tutta la storia dell’umanità, molti miti, una infinità di simboli, centinaia di opere d’arte e decine di personaggi storici finiscono per essere interpretati alla luce del “femminino sacro”, che rimanda alle società matriarcali della preistoria e alla “magia” del sesso (l’orgasmo come ponte di accesso verso la divinità) e della vita (atto creatore della donna). Il Graal dunque non sarebbe una coppa, che del resto è un simbolo femminile, ma sarebbero Maria Maddalena e la sua discendenza. A lei, Dan Brown ha cantato la sua canzone da moderno trovatore. Il che mi pare bello. 


L’edizione illustrata della Mondatori che io ho letto,  arricchisce ogni passaggio del romanzo con puntali riferimenti iconografici, così efficaci che mi chiedo come possano aver compreso i lettori del romanzo le tante spiegazioni fornite nel testo senza il supporto delle immagini, non presenti nelle altre edizioni.

GUIDA AI MIGLIORI (E PEGGIORI) FUMETTI HORROR MADE IN ITALY



GUIDA AI MIGLIORI (E PEGGIORI) FUMETTI HORROR MADE IN ITALY
di Daniele Francardi
Edizioni EUS
2015, brossurato
170 pagine, 15.90 euro

Anch'io, come l'esperto di letteratura horror Stefano Fantelli che firma la brillante prefazione, ho avuto la fortuna di leggere, negli anni, quasi tutti i fumetti di cui parla questo libro. Cioè, i tanti, tantissimi comics dell'orrore realizzati in Italia dagli anni Sessanta fino al 2015 (la seconda edizione del volumetto, dopo una prima tiratura del 2012 andata esaurita, è aggiornata appunto a questa data). Fumetti firmati da grandi autori, fumetti scarabocchiati da incapaci, ma fumetti che hanno fatto rabbrividire, e quindi divertito, generazioni di lettori. Daniele Francardi (Roma, 1981) nonostante la giovane età dimostra di aver recuperato e consultato intere collezioni di testate uscite ben prima della sua nascita e di essere un vero cultore della materia (non a caso ha diretto festival di cinema horror e collane di libri di paura). Tuttavia, il suo approccio alla materia non si può definire accademico. Purtroppo (almeno per le aspettative del sottoscritto), la schedatura alfabetica delle pubblicazioni è piuttosto povera e i commenti dell'autore sono poco più che appunti essenziali (il più delle volte rimandano a gusti personali, anche se non di rado questi risultano condivisibili), non sufficienti a inquadrare le opere nel contesto, e non si stabiliscono gerarchie qualitative. Anche a livello di grafica, il volume lascia a desiderare: l'aspetto complessivo è decisamente misero approssimativo. Sembra più un'autoproduzione a livello fanzinistico che un saggio degno di questo nome. Diciamo che si tratta di un vademecum tascabile che serve a orizzontarsi in un mare magnum, ma certamente sarà altrove che si dovranno approfondire gli argomenti e soddisfare le curiosità. A proposito di curiosità, sorprende che la copertina abbia rilegato il volume alla rovescia (almeno nella copia in mia possesso), cioè alla giapponese. Immagino invece che l'aspetto "maltrattato" della cover sia un effetto voluto. Peccato per le illustrazioni che sono raggruppate fuori testo e non inserite a commento delle singole voci. A proposito di voci, c'è anche Zagor (così come ci sono i personaggi Bonelli che hanno o hanno avuto a che fare con tematiche horror).

domenica 24 luglio 2016

TRA I CASTAGNI DELL'APPENNINO



TRA I CASTAGNI DELL'APPENNINO
di Marco Aime e Francesco Guccini
UTET
2014, brossurato
160 pagine, 14 euro

Si tratta di un libro intervista che ripercorre la carriera di Francesco Guccini, modenese classe 1940, ma legato in modo molto stretto al paese di Pàvana, sulle montagne pistoiesi, di dove era originario suo padre (la madre invece era di Modena). Proprio a Pàvana si svolge l'intervista di Marco Aime (Torino, 1956), docente di Antropologia Culturale presso l'Università di Genova. Aime raggiunge il borgo in treno, da Bologna, lungo la storica linea Porrettana, e poi riparte scendendo sul versante opposto, fino a Pistoia. Luoghi che conosco molto bene anche io, essendo nato a mia volta da quelle parti (a San Marcello Pistoiese, per la precisione). Come la maggior parte delle interviste raccolte "in diretta" attraverso una registrazione, ci troviamo di fronte a una piacevole conversazione che ha però il difetto di non poter rappresentare un saggio esaustivo: si passano in rassegna dei ricordi senza citazioni puntuali, si raccontano aneddoti, si salta di palo in frasca. Per di più l'intervistatore ha il difetto, tipico di certi appassionati che se sanno più dell'artista stesso, di porre domande lunghissime in cui si fa sfoggio di erudizione, a cui l'intervistato non importa neppure che risponda perché tutto è già stato detto nel quesito. Guccini ascolta evidentemente colpito da tanta fluviale eloquenza e accenna: "sì, certo", o si limita a postillare. Ma non è sempre così, ovviamente e, come dicevo, la conversazione risulta piacevole (piacevolissima, immagino, per cui conosca a menadito l'opera di Guccini - almeno quella musicale, perché ai libri si accenna solo di sfuggita), Molto belle le parti che riguardano l'Appennino e la vita di paese o del tempo che fu. Interessanti gli approfondimenti sugli anni dei Cantautori, e sugli ispiratori di Guccini (Bob Dylan, gli chansonnier francesi). L'artista nota come prima di lui (e degli autori come lui) la canzone italiana fosse ancorata ai temi romantici, poi a un certo punto arrivarono i testi "impegnati". Il cantatore sostiene comunque, credo non a torto, di non avere quasi mai composto liriche "politiche", ma di aver raccontato esperienze di vita, senza sventolare bandiere di partito. Anzi, a un certo punto viene rievocato il "processo proletario" intentato a De Gregori nel 1976, quando nel corso di un concerto al Palalido di Milano il cantautore romano venne contestato e accusato di prendere soldi per cantate. Assurdità di quegli anni, che spinsero Roberto Vecchioni a scrivere "Vaudeville" e lo stesso Guccini a comporre "L'avvelenata". Tra gli aneddoti, uno riguarda un militante di destra che, incontrando il contatore per le strade di Bologna, gli confessò di apprezzare le sue canzoni nonostante la diversità di idee politiche (questo, d'altro canto, mi pare il minimo se si è di buon senso). Fra le cose da sottolineare è come Guccini non ritenga "Dio è morto" una bella canzone (mentre lo sono, secondo lui, "Amerigo",. "Samantha", "Canzone per Anna"), preferisca Bologna a Modena, e ritenga la musica meno importante del testo (ecco, io su questo non sono d'accordo). Ho incontrato personalmente una volta sola Francesco Guccini, in un ristorante, ed è stato gentile nel contraccambiare il mio saluto: mi parve che conoscesse Zagor. Spero di incontrarlo di nuovo.

sabato 23 luglio 2016

EVEREST ALBA DI SANGUE


EVEREST ALBA DI SANGUE
di Dan Simmons
Fabbri Editori
2013, cartonato
480 pagine, 18 euro

Due premesse prima di parlarne. La prima è che davvero, come scrive Stephen King (il cui giudizio è riportato come slogan in copertina), "Dan Simmons viene da un altro pianeta". Insomma, più o meno qualunque cosa troviate a sua firma, vale la lettura.  Simmons è noto come autore di fantascienza ma scrive anche molto altro. In un suo articolo intitolato "La mia carriera di scrittore" e pubblicato come prefazione al suo capolavoro "Hyperion" nella collana "I classici di Urania" (n° 267), l'autore dichiara: "Di me si può dire questo: sono uno scrittore di fantascienza, uno scrittore dell'orrore e uno scrittore punto e basta. Mi rivolgo a tre tipi di pubblico che non si incontreranno mai, e tuttavia ho cercato di presentarli l'uno all'altro perché si scambiassero almeno una stretta di mano". Ecco, "Everest - Alba di sangue" è opera dello scrittore punto e basta. Arriviamo alla seconda premessa. Sono un appassionato di libri sull'alpinismo. Ne ho una discreta collezione, sia quanto a romanzi, sia quanto a saggistica e diaristica, sia quanto a volumi fotografici. Una sottosezione della mia raccolta è dedicata all'Everest e, in particolare, a George Mallory, lo scalatore inglese che per primo, per tre volte, tentò di trovare la via d'accesso alla piramide sommitale del tetto del mondo e poi, nel 1924, scomparve misteriosamente durante l'ultimo tentativo di raggiungere la vetta, insieme al suo compagno d'avventura Sandy Irvine. Il cadavere di Mallory è stato ritrovato, perfettamente conservato, nel 1999 (ed è stato lasciato lì): il ritrovamento non ha permesso di appurare che l'alpinista è morto durante la discesa (aveva in tasca gli occhiali da sole, dunque scendeva con il buio dopo essere partito di mattina), ma non si potuto risolvere il dubbio se abbia o no raggiunto la vetta. Mallory aveva una macchina fotografica che non gli è stata trovata addosso. Dunque era stata presa in consegna da Irvine. E perché uno dà la propria macchina fotografica a un altro? Di solito, è per farsi fotografare. Sulla cima? Il cadavere di Irvine, purtroppo, manca all'appello. Ecco: Dan Simmons immagina una spedizione alpinistica "clandestina" (cioè non registrata negli annali) avvenuta nel 1925. I cinque scalatori (quattro uomini e una donna) sono alla ricerca di due altri alpinisti scomparsi sull'Everest, in circostanze diverse, più o meno nello stesso periodo in cui anche Mallory faceva i suoi ultimi tentativi: un certo lord Percy Bromley e il suo amico Meyer erano lì, per motivi sconosciuti, sulle orme della spedizione inglese, che avevano seguito da lontano. Perché si erano spinti fin lassù, senza neppure essere attrezzati per l'impresa? Cercando le tracce di Bromley e Meyer, l'io narrate Jake Perry e il suo gruppo, guidato dal carismatico Deacon, detto "il Diacono", trovano i cadaveri sia di Mallory che di Irvine, e in tasca di quest'ultimo recuperano la fatidica macchina fotografica. Trovano anche gli scomparsi di cui erano alla ricerca e risolvono il mistero sulla loro presenza sull'Himalaya, legato in un modo che non intendo rivelarvi sia alla leggenda dello Yeti (le cui orme furono fotografate anche da Mallory stesso) sia agli albori del nazismo. Non si tratta però di un romanzo horror, né ci sono elementi fantastici. Tutto è assolutamente realistico. Anzi, il romanzo è documentatissimo dal punto di vista alpinistico: tecniche di arrampicata, difficoltà nella scalata dell'Everest, descrizioni dei passaggi cruciali realmente esistenti, mal di montagna, attrezzatura, Sherpa, c'è tutto. E c'è la ricostruzione del "caso Mallory". Che cosa contiene la macchina fotografica? Per saperlo, dovrete arrivare a pagina 476.

venerdì 22 luglio 2016

SCONOSCIUTI IN TRENO



SCONOSCIUTI IN TRENO
di Patricia Highsmith
Bompiani - Corriere della Sera
2012, brossurato
300 pagine, 6.90 euro

Non capisco il paragone con Agatha Christie che hanno proposto i pubblicitari del Corriere per lanciare l'abbinamento dei romanzi della Hihgsmith con il quotidiano di via Solferino (ho letto appunto il "collaterale" da edicola preso con il giornale). Non c'è nessun punto di contatto tra i thriller o i noir psicologici della scrittrice statunitense e i gialli di quella inglese. Ciò detto, trovo bravissime ambedue (pur continuando a preferire Lady Agatha). Da "Sconosciuti in treno", romanzo del 1950 con cui la Highsmith ha esordito, Alfred Hitchcock ha tratto nel 1951 uno dei suoi capolavori, "Delitto per delitto" (sceneggiato, peraltro, da Raymond Chandler). Nel film, il protagonista, Guy Haines, è un tennista di successo, nel romanzo un architetto di grido, ma alla fine l'idea di fondo è sempre quella, semplice e geniale, di due perfetti sconosciuti che, incontrandosi per caso in uno scompartimento su un vagone ferroviario, scoprono che da un delitto a testa ricaverebbero grossi vantaggi: la moglie crea problemi a Guy, il padre opprime Charles Bruno, l'altro viaggiatore. E' proprio Bruno a suggerire che se ciascuno dei due uccidesse per l'altro, si realizzerebbero due delitti perfetti: al momento degli assassinii, ciascuno dei beneficati potrebbe vantare un alibi di ferro. Haines non ci sta, ma Bruno, che è un alcolizzato psicopatico, entra comunque in azione e uccide la moglie di Guy. Poi comincia a perseguitarlo pretendendo che l'altro ricambi la cortesia. Il martellamento da perfetto stalker con cui Bruno conduce Haines quasi sul punto della pazzia è uno degli elementi di maggiore interesse del romanzo, un classico che non si può fare a meno di leggere (o almeno, da recuperare nella versione cinematografica hitchcockiana).

martedì 19 luglio 2016

IL DIAVOLO SULLA SIERRA



IL DIAVOLO SULLA SIERRA
di Angelo Solmi
Rizzoli
1978, brossura
200 pagine

"Il diavolo sulla sierra" è un angosciante saggio storico sul tristemente famoso “Donner Party”, ovvero una spedizione di carri di emgranti che, nel 1846, prese il nome da George Donner, un pioniere nativo della Carolina del Nord ma da tempo trasferitosi in Illinois, da dove pensò di condurre la sua famiglia in cerca di fortuna fino in California. In realtà, costui non volle mai essere considerato né un capo né una guida, e pur essendo (secondo tutte le testimonianze) un brav’uomo, non aveva la stoffa del condottiero, rivelando anzi in più occasioni il suo carattere irresoluto. Tuttavia, il destino volle legare al lui la denominazione di una delle più raccapriccianti tragedie della storia della colonizzazione dell’Ovest americano. 
Negli anni in cui la carovana Donner partì da Springfield, diretta verso le terre affacciate sul Pacifico (un viaggio di oltre tremila chilometri di piste impervie, o addirittura assenti), nelle sovraffollate città dell’Est degli Stati Uniti, sempre più oppresse dall’arrivo di immigrati europei, si era diffusa la convinzione che la California fosse una sorta di Eden in cui il clima salubre, l’abbondanza di terre da coltivare e la ricchezza diffusa avrebbero consentito a tutti una vita lunga e felice. Circolavano anche libri, come “The Emigrant’s Guide” di Lansford W. Hastings, che spiegavano come ci si dovesse organizzare per il viaggio e come, tutto sommato, il tragitto fosse alla portata di chiunque. Fu così che, come molti altri, anche i circa novanta pionieri aggregati attorno a George Donner si misero in cammino con tutti i loro averi, caricati su pesanti cari. Purtroppo, imprevisti e incidenti di ogni sorta rallentarono la spedizione, e a segnarne il tragico destino ci fu anche la defezione della guida che era stata ingaggiata perché mostrasse loro il valico per attraversare le Montagne Rocciose. Fu così che, avendo incautamente deciso di percorrere, senza le necessarie indicazioni, una scorciatoia che avrebbe consentito un più rapido arrivo sul versante occidentale, il gruppo, dopo sofferenze inenarrabili, si trovò bloccato dalla neve invernale nei pressi del Lago Truckee (oggi Donner Lake), sulla Sierra Nevada, a poche decine di miglia dalla salvezza ma assolutamente impossibilitato a proseguire. Soltanto nella primavera successiva, quella del 1847, una spedizione di soccorso riuscì a portare del cibo agli uomini rimasti intrappolati tra i ghiacci. Fu scoperto così che quarantotto superstiti avevano potuto rimanere vivi soltanto divorando i morti. Fra le vittime c’era anche George Donner, il cui cadavere era stato profanato dall’asportazione di alcune parti. Lo scenario che si offrì agli occhi dei soccorritori fu sconvolgente. Nelle capanne costruite alla bell’e meglio in riva al lago furono trovati corpi sventrati, teschi spezzati, corpi umani mutilati con gambe e braccia sparpagliate alla rinfusa o messe a cuocere in dei pentoloni. Le testimonianze dei sopravvissuti, molti rirovati in stato di shock e con evidenti segni di alienazione, rivelarono che si era trattato di scegliere fra morire di fame o vivere mangiando, sia pure con sommo disgusto, la carne umana. Nessuno perseguitò i cannibali riportati alla civiltà. Solmi ricostruisce la vicenda con dovizia di particolari sulle vicende personali di tutti i protagonisti e con partecipazione emotiva. Un libro da recuperare sulle bancarelle dell'usato.

sabato 16 luglio 2016

ANIMA MIA TOUR




ANIMA MIA TOUR
di Fabio Fazio
Mondadori
1997
275 pagine

Non so perché, non so come, ma mi è capitato fra le mani un libro del 1997, "Anima mini tour", di Fabio Fazio. Sottotitolo: "In giro per i nostri anni Settanta". Forse qualcuno si ricorderà che in quell'ano c'era proprio un programma TV, ideato e condotto da Fazio, intitolato "Anima mia", dedicato al revival dei Seventies. C'era anche Claudio Baglioni impegnato nel cantare cover di canzoni come "Sandokan". Anzi, Baglioni ne ricavò un album (da allora e per sempre nella mia discoteca) intitolato "Anime in gioco".

Apro una parentesi. Non ho mai conosciuto Fabio Fazio. Però una volta mia sorella è andata a vedere un suo spettacolo in un locale di Viareggio, ai tempi in cui ancora faceva il comico cabarettista e si esibiva come imitatore facendo le voci. In quell'occasione, mia sorella pare abbia detto a Fazio: "Hai lo stesso senso dell'umorismo di mio fratello". Cioè io. Non so se volesse fargli un complimento, o una critica. Comunque Fabio avrebbe risposto: "Mi dispiace per lui!". Ecco l'unico collegamento che ci lega. Chiudo la parentesi. 

Torniamo al libro. Com'è, come non è, mi metto a leggerlo. E' divertente come altri dello stesso autore, quali per esempio "Una volta qui era tutta campagna" e "Il giorno più bello della vita" (di cui prima o poi scriverò le recensioni), ed è organizzato  come un dizionario, con tante voci. Comincia con "Accessori per l'auto" e finisce con "Zundapp" (nome di moto austriaca). Le voci costituiscono una sorta di enciclopedia mnemonica di ricordi ed emozioni di chi era ragazzo negli anni Settanta. Impossibile non riconoscersi (per quelli della mia età). Arrivo a pagina 64, e trovo la voce "Fumetti". Fantastico! Ecco che cosa c'è scritto (copio pari pari). 

FUMETTI. In attesa delle televisioni private, dei computer e dei videogames di fine secolo, i fumetti occupano il 75% della cubatura della camera di un adolescente degli anni '70. Ordinati per collezione, all'interno di ogni collezione secondo l'uscita, appagano l'immaginario del giovane nei seguenti campi e con le seguenti modalità. 

Western: Tex, Piccolo Ranger, Capitan Miki, Blek, Zagor, Cocco Bill, Pedrito el Drito, Lucky Luck, Comandante Mark, Alla conquista del West. 

Guerra: Supereroica. 

Avventura: Mister No, Michel Vaillant (personaggio del Corriere dei Ragazzi che assomiglia al pilota di Formula 1 Jack Ickx) Billy Bis (personaggio della mitica rivista L'intrepido), Ghibli e Kristal (personaggi de Il Monello, settimanale rimarchevole soprattutto per la consuetudine di pubblicare in terza di copertina le foto un po' scollacciate di attrici del calibro di Gloria Guida... quel tanto sufficiente a scatenare la fantasia del lettore), tutte le storie di Lanciostory e Skorpio (compresa la saga dell'Eternauta, che per la verità non si capisce ma sembra geniale). 

Satira: Alan Ford, Max Magnus, Linus, B.C., Beetle Bayley, il soldato americano, Bristow l'impiegato. 

Horror: Zio Tibia e le sue notti, Oltretomba (che però aveva in più le donne nude e si poteva leggere anche come fumetto zozzo saltando le parti di paura), Diabolik, Kriminal, Satanik. 

Supereroi: L'Uomo Ragno, il Mitico Thor, I Fantastici 4, Devil, Capitan America, Iron Man, I Vendicatori, Wolverine, X-men, L'Incredibile Hulk, Sub Marimer. 

Infanzia: Soldino, Tiramolla, Valentina Melaverde, le caricature di Prosdocimi, Cucciolo, Braccio di Ferro, Geppo, Zoe e Arturo. 

Erotismo: Lando, il Montatore, il Tromba, Biancaneve porno, Sukia, Jakula, Corna Vissute.


Esercizi

Come si chiama la nonna di Soldino?

Scrivete il nome per esteso di Cico, il simpatico amico messicano di Zagor, lo Spirito con la Scure.

Scrivete cinque nascondigli sicuri in cui riporre i giornaletti porno. 


Che dire? Caro Fabio Fazio, se conosci Cico forse saprai che sono lo sceneggiatore che ne ha scritto più gag di tutti! E mia sorella ha detto che hai il mio stesso senso dell'umorismo! 

Ma forse Fazio non legge più fumetti dagli anni Settanta. Lo dimostrano gli errori nel citare i nomi dei personaggi. Come si fa a scrivere Max MagnusBeetle BayleyLucky Luck, Kristal o Jakula con errori di ortografia così evidenti? E che cos'è "Alla conquista del West"? Sarà stata piuttosto la "Storia del West" di Gino d'Antonio? E poi, era davvero "Il Monello" a pubblicare le foto scollacciate di Gloria Guida? Non sarà stato Blitz?

Sono sicuro poi che oggi anche le foto di Gloria Guida sembrerebbero mercificazione del corpo femminile e un ragazzo politicamente corretto come Fabio non ammetterebbe più di averle sbirciate, come tutti noi.

martedì 5 luglio 2016

IL LIBRO CUORE (FORSE)



Federico M. Sardelli

IL LIBRO CUORE (FORSE)
Mario Cardinali Editore
Collana I Grandi Autori del Vernacoliere
Prima edizione dicembre 1998
brossurato - 108 pagine -  lire 12.000

Il fatto stesso che esista (cioè che qualcuno lo scriva, e qualcun altro lo pubblichi) un libro così politicamente scorretto  dà una soddisfazione che supera quasi il grande divertimento che si prova nell’esilarante lettura. Le risate sgorgano irrefrenabili ma a danno di poveri focomelici, di ciechini, di bambini con le gambe morte, di bidelli monchi, di maestri epilettici, di reduci di guerra ridotti a camminare sulle gengive, della più assoluta mancanza di pietà verso la sofferenza altrui. Federico Sardelli, uno dei massimi esperti e interpreti dell'opera di Vivaldi, noto flautista e direttore di musica barocca, è una persona colta e si vede. Anche nel pescare nel triviale lo fa con consapevolezza. Scrive in perfetto stile De Amicis, costruendo una parodia di straordinaria vis comica di Cuore, anzi del “libro Cuore”, come si usava dire una volta dando per scontato che si trattasse del libro per antonomasia. Quel che stupisce leggendo l’originale deamicisiano è appunto l’abbondanza di disgrazie, tragedie e handicappati che affollano quelle pagine. Nella dotta prefazione, Carlo Lapucci cita uno studio effettuato sui giornali torinesi degli anni di Cuore da cui risulta che effettivamente gli incidenti sul lavoro e le malattie gravi erano all’ordine del giorno. In ogni caso, la lettura di De Amicis è angosciante. Proprio su queste angosce gioca Sardelli, caricandole a tal punto da provocare valanghe di risate liberatorie. Al divertimento del testo si aggiunga quello delle foto d’epoca ritoccate dallo stesso autore (che è pure un valente disegnatore). Qui di seguito un estratto dal libro. Cercate di non soffocarvi dalle risate, se vi riesce.

L’anno è appena iniziato, ed ecco subito una cattiva notizia. Stamane, quando si fece sull’uscio cogli occhi gonfi di pianto il nostro buon bidello Mallio — quel poveraccio che perse due gambe e l’unghia lunghissima del mignolo nella battaglia di Lupino — tutti sussultammo. Recava con sé una circolare tutta inzuppa di lagrime e pinot grigio in cui s’annunziava che il nostro buon direttore era molto malato e non sarebbe venuto a scuola pei prossimi tre mesi.
Il nostro amato maestro colitico serrò le mascelle, si terse coll’indice l’angolo dell’occhio di sotto all’occhialetto e poi disse col suo vocione da basso tuba: — Oggi è un giorno di grande mestizia per la scuola intiera. E’ come se vostro padre fosse improvvisamente mancato, escluso naturalmente il Panicchi che tanto gli è già stiantato il babbo tre mesi fa. Quel grand’uomo del vostro direttore, buono e dal cuore nobile, che ogni mattina sollecito e premuroso bada che tutti voi entriate in classe e svolgiate con diligenza il vostro compito, da oggi non potrà più essere qui a vegliar su di voi. — E qui il Soffioni esplose in un pianto dirotto che trascinò tutta la classe in singulti ed ululati. — Egli, pensate — continuò il nostro buon maestro poliomelitico — è stato còlto dal un morbo maligno che ora lo rode; e pur negli spasmi del dolore il suo pensiero è comunque rivolto a voi fanciulli, che con le vostre bizze e intemperanze l’avete condotto a quello stato pietoso; egli s’è finalmente ammalato dopo aver speso tutto sé stesso per il vostro bene, razza di carogne ingrate, ed ora giace sur un lettuccio di dolore a combattere contro un male che non gli dà tregua, ma lo fa comunque pensando a voi, merdoni assassini che l’avete sulla coscienza. —



domenica 3 luglio 2016

SUPERZELDA



Tiziana Lo Porto
Daniele Marotta
SUPERZELDA
Minimum Fax
brossurato, 2011
170 pagine, 15 euro


Il sottotitolo di “Superzeda” spiega che si tratta de "la vita disegnata di Zelda Fitzgerald", e dunque di una biografia a fumetti. Nell'accezione più comune (e sbagliata) del termine, quando si dice "a fumetti" si intende "superficiale", "di poche pretese", "all'acqua di rose", se non addirittura banale o senza spessore. Invece, "Superzelda" dimostra come la storia di una vita possa essere raccontata a fumetti con una documentazione che non ha nulla da invidiare a quella di un saggio, con l'aggiunta però del surplus emozionale e di suggestioni tipico della narrazione per immagini. Narrazione che, nel caso dei disegni, è arricchita dalla capacità evocativa del segno grafico, superiore all'univocità delle fotografie o dei filmati, che lasciano assai meno spazio all'interazione con il fruitore. Zelda Sayre, nata il 24 luglio del 1900 in Alabama, è nota soprattutto per essere stata la moglie e la musa ispiratrice di Francis Scott Fitzgerald, l'autore de "Il grande Gatsby" e di "Tenera è la notte". Il libro di Tiziana Lo Porto e Daniele Marotta finisce per essere, in pratica, la biografia di entrambi, essendo stati una coppia indissolubile, nella buona e nella cattiva sorte. Ma Zelda ne esce fuori come un personaggio in grado di brillare di luce propria per vitalità, trasgressività, complessità psicologica, nei pregi e nei (tanti) difetti: mai succube o ancella del genio letterario del marito, in grado di creare delle mode (da lei nacque il look della "maschietta", tipico degli anni Venti), protagonista del jet set e viaggiatrice nel mondo della sua epoca, per molti aspetti più libero e disinibito del nostro, la Fitzgerald fu essa stessa scrittrice, ma anche pittrice di successo e ballerina di talento. La storia della sua vita diventa, a un certo punto, il racconto di un disagio mentale, di una progressiva e altalenante discesa nella follia, e assistiamo ai suoi ripetuti ricoveri in cliniche psichiatriche in cui probabilmente finisce per scontare gli eccessi della sua gioventù. I disegni di Marotta ricreano le suggestioni grafiche del terzo decennio del Novecento e, pur lontanissimi dal realismo grafico, sono perfettamente funzionali al racconto emozionale e rendono empatici con la protagonista. I testi della Lo Porto alternano il didascalismo alle parti dialogate, riuscendo a rendere il libro qualcosa di diverso sia da un romanzo che da un resoconto biografico di taglio saggistico o giornalistico: del resto, la scelta del fumetto come strumento di comunicazione favorisce di per sé l'ibridazione dei media. Infine, last but not least, c'è da segnalare che l'editore non è specializzato in graphic novel, non distribuisce soltanto in fumetteria e il pubblico a cui si rivolge non è quello di nicchia del circuito dei comics: il rinnovato interesse verso le opere di Francis Scott Fitzgerald, riaccesosi dopo che i suoi libri sono diventati di pubblico dominio, ha fatto sì che anche "Superzelda" potesse rientrare in una operazione editoriale di più ampio respiro.

sabato 2 luglio 2016

DALL'ALTRA PARTE



Moreno Burattini
Dall'altra parte
Edizioni Cut Up
260 pagine, 15 euro
Prefazione di Sebastiano Mondadori

E' uscito un mio nuovo libro: una antologia di racconti brevi (il più lungo arriva al massimo a venti pagine). Perciò, si possono leggere facilmente in treno, in sala di attesa, in pausa pranzo. Sono anche facili da affrontare nel senso che il mio primo buon proposito è quello di farmi capire con immediatezza e non annoiare con lungaggini inutili. Sono abbastanza convinto che ogni dieci righe facciano venir voglia di leggere le dieci successive, per vedere come vada a finire. Di solito, non va a finire come ci si aspetta. Si tratta di 26 storie “inquiete” (così recita il sottotitolo) tra cui una, “Cavalli bradi”, con protagonista lo Spirito con la Scure. Un’avventura inedita (anche se in prosa) a tutti gli effetti, illustrata da un disegno di Marco Verni. 

Illustrazione di Marco Verni
Per il resto, troverete un cacciatore di diecimila anni fa e una biologa a bordo di un’astronave in viaggio da diecimila anni nello spazio. Nel mezzo, figli che vogliono uccidere il padre e madri che cercano di sopprimere i figli. Ma anche alieni che invadono la terra e vecchi che si risvegliano nella tomba. Per non parlare di un mendicante che perseguita coloro che gli negano l’elemosina e dell’ultimo uomo rimasto sul pianeta. E poi, ci sono i morti che varcato il confine si trovano dall’Altra Parte al cospetto di Dio. C’è pure una moglie che uccide il marito a colpi di ferro da stiro. Non mancano i draghi, gli alchimisti, i fumettisti, i cuochi, i preti di montagna, i lupi, i mutanti e i viaggiatori partiti per la Patagonia. Il tutto illustrato da venticinque disegnatori di fumetti amici miei, che ringrazio tutti uno per uno (l'elenco è in calce a questo articolo).

I racconti sono stati scritti nell'arco di oltre trentacinque anni (il più vecchio è stato pubblicato su un giornaletto scolastico,  realizzato nel liceo dove studiavo, e risale al 1980), ma dieci sono datati 2016, composti proprio per l'occasione. La maggior parte sono inediti, alcuni invece hanno già avuto una o più pubblicazioni. Come già per gli "Utili Sputi di Riflessione", temo di essermi messo a nudo più di quanto si possa fare in una autobiografia: con la scusa di inventare storie si raccontano particolari veri. 

Così come Loredana Berté diceva di non essere una signora, io non sono uno scrittore (uno con tutte stelle nella vita).  Mi sento piuttosto un intrattenitore. Uno che nelle veglie serali dei tempi che furono avrebbe raccontato storie, magari improbabili, ma di cui si vuol sapere come vadano a finire, in grado di tener desto l’interesse dell’uditorio radunato attorno al fuoco del camino. Un po’ come avrebbe fatto, insomma, l’impareggiabile Regina Marcucci protagonista di quella strepitosa raccolta di racconti horror che è “Le novelle della nonna”, scritta da Emma Perodi e pubblicata nel 1893. Un’antologia destinata ai bambini ma così inquietante che vien da chiedersi come potessero i pargoli che la ascoltavano dopo cena andare a letto e riuscire a chiudere occhio dopo tante efferatezze. Le mie favole non hanno una morale, casomai un amorale: il narratore. Non aspettatevi un qualche effetto pedagogico da ciò che leggerete, sarò contento se soltanto mi sarà riuscito portarvi fino in fondo al racconto e magari sorprendervi nel finale. Il senso del titolo, “Dall’altra parte”, allude proprio a questo: provare a mostrare un qualcosa che sembra avere una sola faccia (come un triangolo, un quadrato o un cerchio tracciati su un foglio di carta) per far scoprire poi che c’è anche un’altra prospettiva da cui guardare lo stesso oggetto, il punto di vista che si vede solo ponendosi da un’altra parte. 

L’ “altra parte” è del resto anche l’Aldilà, quel che ci aspetta dopo la morte. Almeno quattro dei racconti che leggerete sono ambientati proprio dopo la sepoltura dei protagonisti. Il che la dice lunga su quel che spaventa (in prospettiva) proprio me, ciò su cui più spesso mi interrogo: il mistero della nostra sorte dopo l’esalazione dell’ultimo respiro. Scriverne scarica le tensioni ed esorcizza i timori, se non altro. E lo stesso vale per altre angosce meno giustificabili come il mio terrore verso gli alieni, l’ansia causate da furtive idee suicide, l’inquietudine nel temere ritorsioni da mendicanti non aiutati e via dicendo. Alcune delle storie che seguono mi hanno morso l’anima, e chissà se riuscirete a capire quali in mezzo ad altre che invece sono state scritte solo per divertimento (il divertimento del giocoliere che cerca di meravigliare il suo pubblico). 

Illustrazione di Fabrizio Longo
Mi preme sottolineare come l’avventura inedita dello Spirito con la Scure (la quarta da me scritta in prosa con il personaggio creato da Guido Nolitta e Gallieno Ferri, accanto a oltre cento sceneggiate finora a fumetti), “bonus track” in appendice alle venticinque precedenti, non sia uno specchietto per le allodole: lavoro alle storie del Re di Darkwood da più di un quarto di secolo e l’eroe dalla casacca rossa fa parte di me, del mio modo di essere e di narrare. Non sarò uno scrittore, ma uno sceneggiatore di fumetti sì.

La prefazione è di uno Scrittore con la "S" maiuscola, Sebastiano Mondadori. Ma troverete anche una mia introduzione intitolata "L'amorale della favola" e una postfazione in stile asimoviano (non per niente con il titolo di "Testi e note"). Ecco un estratto dal testo di Mondadori:

“Dall’altra parte”, il titolo di questa raccolta di Moreno Burattini, si fonda proprio sul presupposto destabilizzante della metamorfosi della normalità nella mostruosità, in un ribaltamento che coincide con il colpo di scena a effetto. Solo che il processo innescato dal narratore, aprendo una breccia nella superficie multiforme della realtà, si estende a un disordine più profondo, e per questo straniante, dove l’horror spadroneggia in una scena metafisica che si impossessa della nostra visione. (Sebastiano Mondadori)

"Dall'altra parte"  è già disponibile sullo store on line di Cut Up, scontato di 1,00 euro e con spedizione gratuita.


Si potrà però presto trovare anche in libreria, fumetteria, su altre piattaforme di vendita on line, alle mostre mercato. La prima presentazione domenica 26 giugno 2016 al Ricetto di Candelo (Biella).


Gli illustratori:
Stefano Babini
Emanuele Barison
Alessandro Bocci
Alessandro Chiarolla
Paolo Di Orazio
Domenico e Stefano Di Vitto
Nando Esposito
Davide Fabbri
James Hogg
Mauro Laurenti
Fabrizio Longo
Marcello Mangiantini
Davide Perconti
Massimo Pesce
Alessandro Piccinelli
Giuliano Piccininno
Roberto Piere
Giuseppe Prisco
Gianni Sedioli
Daniele Statella
Sergio Tisselli
Marco Torricelli
Walter Venturi


Marco Verni