mercoledì 26 dicembre 2018

THE OUTSIDER







Stephen King
THE OUTSIDER
Sperling & Kupfer
2018, cartonato
534 pagine, 21.90

Comincia come un giallo, e appassiona a tal punto che quanto entrano in ballo l'horror e il fantastico un po' dispiace, perché se ci fosse stata una spiegazione razionale, di quelle che avrebbe potuto fornire Poirot, il tutto sarebbe risultato più accattivante. Scrivere i gialli dotando l'assassino di poteri magici, un po' significa barare. Tuttavia a Stephen King si perdona questo e altro. Un bambino è stato stuprato e ucciso a Flint City e numerosi testimoni affermano di aver perfettamente riconosciuto l'uomo che, visto aggirarsi nei paraggi del luogo dell'omicidio prima e dopo il tragico evento, si era fatto notare sporco di sangue e alla guida del furgone usato per perpetrare l'infame crimine. E' Terry Maitlad, persona da tutti stimata, allenatore della locale squadra di baseball dei "pulcini". Le successive analisi di impronte digitali e del DNA non lasciano dubbi. Solo che Maitland ha un alibi di ferro: si trovava in un'altra città in compagnia di testimoni affidabili e, avendo partecipato a un evento pubblico, è stato anche filmato in quel posto. Ralph Anderson, della polizia locale, non ha dubbi: gli elementi contro sono superiori a quelli a favore, e Terry viene arrestato in modo plateale. Tutta la città si rivolta contro il presunto pedofilo, che addirittura viene linciato mentre lo si conduce in tribunale. Sembra la fine del caso, ma non è così. La famiglia Maitland assume un e poliziotto, Alec Pelley, e una investigatrice privata, Holly Gibney, per indagare su cosa sia veramente accaduto. Holly è un personaggio già comparso nella trilogia di "Mister Mercedes", avendo fatto da assistente al protagonista di quei tre romanzi, Bill Hodges. Pertanto, "The Outsider" potrebbe essere considerato il quarto della serie. 
Da qui in poi occhio allo spoiler. Non rivelo proprio tutto, ma certo potreste essere interessati a scoprire ciò che vi anticipo leggendo da soli il romanzo.

Holly scopre che c'è stato, in una città distante centinaia di chilometri, un altro caso simile: due bambine violentate e uccise e un presunto assassino arrestato per l'evidenza delle prove a suo carico nonostante lui si trovasse lontanissimo, a trovare la madre, ma senza testimoni attendibili, al momento del delitto. Anche costui era morto, suicida in cella, poco dopo l'arresto. Holly raccoglie elementi sufficienti per convincere persino Ralph Anderson che c'è in giro una creatura mutaforma, accostabile a El Cuco delle leggende messicane, in grado di assumere le sembianze altrui e che si nutre di morte e dolore. La creatura viene chiamata "The outsider" e comincia una avvincente caccia per scovarla, fatta di mosse e contromosse perché l'avversario è diabolico. 
Se è vero che le storie di King sono così avvincenti da far soprassedere anche alle forzature e persino al deja vu, una critica allo scrittore americano va pur fatta: Stephen, sei troppo prolisso. Tagliare della metà le pagine dei tuoi romanzi gioverebbe a tutti. Ciò nonostante, resto in attesa del tuo prossimo lavoro.

lunedì 24 dicembre 2018

UN DELITTO, UN MISTERO, UN MATRIMONIO





Mark Twain
UN DELITTO, UN MISTERO, UN MATRIMONIO
Rizzoli
Prima edizione gennaio 2002
Traduzione di Mariarosa Bricchi
cartonato – 110  pagine – 10 euro

“Un caso letterario mondiale: dopo 125 anni ricompare un manoscritto dimenticato di Mark Twain”: così in quarta di copertina. La postfazione di Boy Blount Jr, che occupa metà del volume (iniziando, infatti, a pagina 57), spiega il retroscena: “Nel 1876, quando lo scrittore aveva quarant’anni, Mark Twain concepì un progetto, in collaborazione con l’ ‘Atlantic Monthly’, che rimase irrealizzato fino al 2001”. Grossomodo, il progetto era quello di invitare dieci grandi scrittori dell’epoca a sviluppare, ciascuno alla propria maniera e con il proprio stile, la traccia proposta dallo stesso Twain. Traccia che costituisce il romanzo salvato dall’oblio dopo oltre cento anni, visto che, per vari motivi, dell’idea dello scrittore non se ne fece di niente e il manoscritto con la traccia rimase inedito. La postfazione ricostruisce per filo e per segno tutti i particolari, dalla genesi al naufragio del progetto, inserendo ogni cosa nel contesto della movimentata vita di Mark Twain, ma per restare al romanzo in quanto tale si tratta di ben poca cosa, trattandosi appunto di qualcosa da sviluppare. Ciò che colpisce è il bizzarro finale di una vicenducola che potrebbe essere semplicemente un giallo, con venature rosa. In uno sperduto villaggio del Missouri chiamato Deer Liek, un contadino piuttosto spiantato di nome John  Gray ha una figlia di nome Mary innamorata di un certo Hugh Gregory. John ha però un fratello più vecchio, Dave, che, diversamente da lui, ha fatto fortuna. Dave Gray ha fatto testamento, lasciando tutti i suoi soldi alla giovane Mary. Solo che Dave odia mortalmente tutti i Gregory, e se dovesse venire a sapere che Mary sposerà un rampollo di quella famiglia, cambierebbe immediatamente il testamento per impedire che i suoi beni finiscano proprio nelle mani di uno dei suoi nemici. John Gray chiede quindi a Mary di troncare la sua relazione con Hugh prima che Dave cambi il testamento. Intanto, uno strano personaggio è arrivato a Deer Liek: è uno straniero dall’accento francese, ritrovato svenuto sulla neve come se fosse piovuto dal cielo, e che non sa dare spiegazioni su di sé avendo perso la memoria: finisce per farsi chiamare conte di Fontainebleau.
Da qui in poi, occhio allo spoiler perché vi racconto tutto, ma proprio tutto (secondo me non è la soluzione del giallo che segue la cosa importante, ma il divertimento dato dal meccanismo e da tutta l'operazione tentata da Twain).
Dave scopre la tresca fra Hugh e Mary, continuata nonostante John, e salta su tutte le furie. Correrebbe dal notaio a cambiare il suo testamento, se qualcuno non lo uccidesse prima. E purtroppo non sembrano esserci dubbi: tutti gli indizi portano verso il giovane Gregory, che viene arrestato e condannato a morte. Il conte di Fontainebleau, grande amico di Mary, prima consola la povera ragazza, poi si offre come marito. La fanciulla, disperata, accetta: ha bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi. Ma ecco che, proprio il giorno delle nozze, si scopre la verità: Hugh è innocente! Dave è stato ucciso dal conte, che voleva sposare Mary eliminando il principale rivale proprio grazie all’accusa di omicidio fatta ricadere su di lui, ottenendo nel contempo l’eredità del morto attraverso la moglie. Il conte confessa, e svela anche i retroscena del suo arrivo a Deer Liek: è caduto sulla neve da una mongolfiera, su cui era salito con Jules Verne, essendo da questi sfruttato come “sperimentatore” dei “Viaggi Straordinari” oggetto dei suoi libri. A parte il ricorso a Verne, peraltro il chiave di ostile presa in giro (pare evidente l’insofferenza di Mark Twain verso lo scrittore francese), il racconto è dunque un giallo.  Il finale grottesco pare incongruo. Il resto, benché limitato a essere traccia, è godibile (senza dubbio più di molti romanzi di autorucoli che pure li hanno portati a termine).

domenica 23 dicembre 2018

CELL





Stephen King
CELL
Sperling & Kupfer
Prima edizione marzo 2006
cartonato - 520 pagine -  euro 18,00

Un giorno d’ottobre (per l’esattezza il primo, alle 15.03) tutti i cellulari del Maine (e presumibilmente anche di altri Stati degli USA) squillano contemporaneamente e trasmettono un misterioso “impulso”. Chi risponde e lo riceve, impazzisce e si getta con istinti omicidi sulle persone vicine. Chi non ha un cellulare in tasca o non risponde, si salva dall’impulso ma deve poi fare i conti con i “cellulati” - come verranno poi chiamati i folli. La civiltà come la conosciamo noi finisce in un istante e la città brucia, in tutti i sensi, quello reale e quello metaforico. Tre tra i sopravvissuti a Boston uniscono le loro forze per sopravvivere: sono un disegnatore di fumetti, Clay Riddell, un uomo d’affari di nome Tom McCourt e una giovanissima ragazza, Alice Maxwell. Clay ha una moglie e un figlio di cui non sa niente, perché ovviamente ogni sistema di comunicazione è saltato. Tom e Alice lo accompagnano nella ricerca volendo comunque anche loro cercare di raggiungere un posto dove i folli non rappresentino un pericolo, se c’è. Nei giorni successivi il comportamento dei “cellulati” comincia a cambiare. Non si scagliano più indistintamente contro chiunque, ma più o meno, gradatamente, solo verso i “normali”. E cominciamo ad agire in modo tutti uguale, come se ricevessero istruzioni. Da pazzi scatenati che erano, coloro che hanno subito l’impulso si fanno piano piano più intelligenti, ma hanno perso comunque la loro identità e la loro individualità, il loro cervello è stato resettato e un  nuovo programma scrive norme di comportamento nuove, che di comunica telepaticamente. I pazzi si muovono solo di giorno, di notte scompaiono e i sopravvissuti possono uscire allo scoperto. Tutti cercano scampo verso il confine, e corrono strane voci sulle frontiere chiuse e sui soldati che sparano contro chi cerca di valicarle. Clay, Alice e Tom scoprono che cosa fanno i “cellulati” durante la notte: si radunano in grandi spiazzi (come gli stadi) e si stendono a dormire uno accanto all’altro, ricaricandosi le energie in modo misterioso. Con l’aiuto di altri due sopravvissuti, i tre uccidono con il fuoco, durante la “ricarica”, più di un migliaio di pazzi. L’iniziativa ha tragiche conseguenze anche su di loro perché improvvisamente scoprono di essere “segnati” anche presso i sopravvissuti: tutti sognano di loro e li evitano come appestati perché questo è l’ordine che danno i “cellulati” ormai in grado di interagire telepaticamente con i “normali” e condizionarne il comportamento, facendoli radunare tutti verso un unico luogo (almeno quelli di una certa zona).  Intanto, il comportamento dei pazzi subisce un ulteriore cambiamento ma in peggio: qualcosa, come un virus telematico, deve aver infettato i cervelli di chi ha ricevuto l’impulso e costo regrediscono e tornano a uccidersi fra loro. Pare la soluzione della storia perché senza la capacità di organizzarsi che sembravano aver acquisito, i “cellulati” non supereranno indenni il rigido inverno del Maine. In realtà la parola “fine” non risolve la storia. Non si sa che sarà del mondo, non si sa che cosa ha scatenato l’impulso e che cosa sarebbe successo senza il virus che ha compromesso i piani originari di chi ha organizzato i folli. Se nel 2006 King usava i cellulari come metafora della fine della civiltà, chissà che cosa pensa oggi dei social. Il romanzo non può certo annoverarsi tra i migliori di King. Però Stephen è sempre Stephen e leggerlo è comunque interessante. C’è l’eco dell’Ombra dello Scorpione (anche lì c’è la fine della civiltà  e il radunarsi di persone sopravvissute contattate telepaticamente verso un luogo preciso), l’eco di Zombi (che viene citato direttamente nelle pagine del romanzo), l’eco di The Ring, ma il deja vu non basta a reggere un romanzo gradevole ma che alla fine lascia perplessi.

sabato 22 dicembre 2018

DEADWOOD DICK: NERO COME LA NOTTE, ROSSO COME IL SANGUE



Joe R. Lansdale

Michele Masiero
Corrado Mastantuono
DEADWOOD DICK
NERO COME LA NOTTE, ROSSO COME IL SANGUE
Sergio Bonelli Editore
2018, cartonato,
140 pagine, 19 euro


Quasi in contemporanea con l'uscita in edicola della miniserie dedicata a Deadwood Dick dalla Sergio Bonelli Editore, con la quale si è inaugurata la linea Audace dai "contenuti espliciti", ecco la raccolta in volume da libreria delle due puntate del primo episodio (su tre previsti). E il grande formato delle pagine valorizza ancora di più gli strepitosi disegni di Corrado Mastantuono, perfettamente a suo agio nel realizzare un western crudele e violento così come in altri casi lo è stato disegnando storie Disney. Del resto, il western di Lansdale è sì duro e violento, ma anche ironico, cinico e disincantato, che sfuma nell'humor nero. Due parole sull'operazione "Audace": si parte dal presupposto che il Tex di Giovanni Luigi Bonelli, da cui nascono le fortune della Casa editrice di Via Buonarroti, fosse davvero "audace" per i suoi tempi. Tex nasce come fuorilegge, semina morti come se piovesse, parla in modo aggressivo e sopra le righe (politicamente scorretto, secondo i canoni attuali). I problemi di "garanzia morale" e le sopravvenute ubbie e ugge del "questo non si dice e questo non si fa", hanno progressivamente smorzato la sua carica trasgressiva, trasformandola in una sarabanda avventurosa sempre molto coinvolgente ma non più così felicemente disturbante come agli esordi. Il Tex di oggi è accettabile più o meno da tutti; agli inizi, se i giovani lettori ne erano entusiasti, i loro educatori un po' meno. Ecco, pare che sia giunto il momento di recuperare un po' dell'audacia delle origini, almeno in una parte delle produzione bonelliana: quella, appunto, della linea "Audace". Si è cominciato con Deadwood Dick, versione a fumetti di alcuni racconti di Joe R. Lansdale, graffiante scrittore americano attivo su vari fronti (western, noir, fantascienza, horror). Come lo stesso Lansdale spiega in una lunga e intetessante intervista pubblicata in appendice al volume, il protagonista è un personaggio reale: il suo vero nome era Nat Love, cowboy afroamericano vissuto tra il 1854 e il 1921, soprannominato Deadwood Dick dopo aver vinto una gara di tiro nella città di Deadwood (la stessa in cui visse e venne ucciso Wild Bill Hicock). Lansdale ha scovato un vecchio memoriale (una sorta di "dime novel") in cui lo stesso Nat racconta la sua vita avventurosa, contenente episodi reali, narrati però con uno stile graffiante e personale. C'è da notare che, per quanto l'epopea western raccontata da libri, fumetti e film, non lo abbia mai mostrato a sufficienza, le guerre indiane e la colonizzazione de Lontano Ovest hanno visto anche gli afroamericani protagonisti. Dalla lettura di "The life and adaventures of Nat Love", lo scrittore ha tratto ispirazioni per propri racconti, anche se gli editori non sembravano, inizialmente, molto interessati alle avventure di un eroe del West di colore ("i neri non leggono, i bianchi non sono interessati a storie con i neri"). Alla fine i racconti di Lansdale sono stati pubblicati con successo, e adesso la Bonelli ne offre la versione a fumetti. Versione che rende assolutamente ragione sia del modo di raccontare di Lansdale, sia del personaggio. Michele Masiero maneggia con abilità la materia, senza vergognarsi delle trovate scatologiche e delle parolacce, Mastantuono lo asseconda con efficacia. Il primo dei racconti, "Nero come la notte, rosso come il sangue", narra l'esperienza di Deadwood Dick nei ranghi dell'esercito americano, tra i Buffalo Soldiers inviati ad affrontare i pellerossa nelle terre di frontiera. Non c'è l'epica del western classico hollywoodiano, c'è una molto credibile ricostruzione della realtà storica. Il che non tradisce i canoni del genere: li rende più interessanti. Ci sarebbe da invocare una serie a fumetti senza scadenza, con episodi nuovi scritti apposta per Dick.

venerdì 14 dicembre 2018

MEMORIE PERDUTE




E' in distribuzione già da qualche giorno il nuovo episodio un una serie western a fumetti, di produzione italiana e ormai sulla scena dal 2005, dedicata alle avventure di Than Dai. Il volume, brossurato e di grande formato (cm 21 x 30, 32 pagine), si intitola "Memorie perdute", e reca il marco  CdT, vale a dire "Cronaca di Topolinia". Quattordici anni di vita sono tanti, soprattutto se si considera che si tratta di albi pubblicati da una piccola casa editrice, e basterebbe questo a giustificare il fatto che ve ne parli. In realtà c'è un altro motivo per cui lo faccio, ed è che in "Memorie perdute" c'entro qualcosa anche io. Sono infatti l'autore del soggetto e della sceneggiatura: in tutto, ventiquattro pagine alla francese (quattro strisce ciascuna). I disegni sono dei bravissimi Francesco Bonanno (venti tavole nel presente narrativo) e Luciano Costarelli  (quattro tavole in flashback). La copertina è di uno strepitoso Dante Bastianoni, i colori del valido Beniamino Delvecchio.  Un cast grafico di prim'ordine, visti i curricula dei quattro (sottolineo in particolare, senza voler far torto agli altri, quello di Dante: Martin Mystère, Nathan Never e Zagor in Bonelli, Fantastici Quattro per la Marvel). Bastianoni, mio amico da tempo immemorabile, è anche l'autore di quattro stampe: una verrà data, compresa nel prezzo, con il volume; altre tre sono a richiesta. Le vedete riprodotte qui sotto. 

Se qualcuno dei miei venticinque lettori ritiene di non doversi far mancare un altro fumetto sfornato dal sottoscritto e viole aggiungere un ennesimo libro nello scaffale dedicato alle opere a mia firma, potrà cercare il volume in fumisteria (se non c'è, i librai possono ordinarlo) oppure richiederlo qui:

Il fatto che abbia scritto un fumetto western extra-bonelliano non significa, com'è ovvio, che abbia la benché minima intenzione di ridurre o interrompere la mia collaborazione con la Casa editrice di Via Buonarroti. Anzi, prima di accettare le pressanti richieste di "Cronaca di Topolinia", fattemi per anni da Salvatore Taormina che ne è il titolare, ho pregato il Tao di chiedere personalmente uno chiaro benestare ai nostri direttori. Salvatore, che in passato è riuscito a far autorizzare altre pubblicazioni da lui realizzate con personaggi e autori bonelliani, è tornato dicendomi che non c'erano problemi. Così non ho avuto più scuse per rifiutare di scrivere quello che da tempo mi chiedeva: una storia di Than Dai. Per Taormina, su "licenza" della Bonelli, avevo del resto scritto in passato anche un albetto di Zagor ("La cripta") e un altro di Cico ("Cico cacciatore di mostri") che l'Associazione Amici del Fumetto (che edita "Cronaca di Topolinia") ha regalato alcuni anni fa ai propri iscritti.

Ma veniamo a parlare di Than Dai. Nel 2009, Sergio Bonelli mi chiamò nel suo ufficio e mi chiese di scrivere un articolo su questo personaggio per l’ “Almanacco del West” (così si chiamava allora la pubblicazione che oggi viene denominata “Tex Magazine”). Dato che ormai da quattro anni Salvatore Taormina, l’artefice della rivista amatoriale “Cronaca di Topolinia”, portava avanti questa sua serie western, era ora che ne parlasse il contenitore bonelliano di recensioni e segnalazioni su tutto ciò che riguardava il Lontano Ovest (fumetti, film, libri). Il mio pezzo, intitolato “Than Dai, l’indiano bianco”, venne pubblicato sull’ “Almanacco del West” del 2010.

Ecco che cosa scrissi: “Agli appassionati capita di lamentare la penuria di storie ambientate nelle terre della nuova o della vecchia Frontiera americana. Così, Salvatore Taormina ha pensato di soddisfare la sua voglia di West ideando una saga a fumetti ambientata tra i Sioux. Ha quindi radunato uno staff di giovani autori, quasi tutti esordienti, e ha affidato loro il compito di dare vita alle avventure di Than Dai, un ragazzo bianco allevato, per l’appunto, dai Sioux, dopo che altri pellerossa avevano attaccato la carovana con cui viaggiava, uccidendogli i genitori. Divenuto un guerriero, Than Dai è protagonista di storie corali insieme agli altri membri della tribù, come Lin Sei, figlia del sakem, la bionda Belle, anch’essa una bianca che vive fra gli indiani fin da quando era bambina, il bellicoso Gor-Aka, il tenebroso meticcio Vento Nero e il giovane Thon Din. A fare da contraltare, c’è il mondo dei bianchi: gli abitanti di Rogue Town, la cittadina più prossima al villaggio dei pellerossa, i trappers e i soldati di Fort Logan, tra cui spicca il tenente Shaw, acerrimo nemico del nostro eroe (al punto da perseguitarlo anche sotto forma di demone dall’aspetto di lupo, in seguito a una magia). Le trame si snodano legate da una stretta continuità temporale e con molti cambi di scenari: Than Dai veste persino la divisa del soldato, poi abbandona la sua tribù esiliandosi volontariamente in Canada, quindi fa ritorno al villaggio trovandolo distrutto e si mette alla ricerca dei suoi amici dispersi. I testi seguono il solco della tradizione e puntano più sul coinvolgimento emotivo che sull’esatta ricostruzione di un periodo storico, e i disegnatori adattano loro sensibilità gli stilemi più classici del cinema e del fumetto western, filtrarti da ognuno di loro attraverso le proprie capacità e i propri modelli grafici. La collana è destinata al circuito delle fumetterie. Accanto agli episodi regolari in bianco e nero sono stati proposti anche alcuni speciali a colori e altri cartonati”.

A distanza di quasi un decennio da quell’Almanacco, Than Dai continua a essere protagonista di nuove avventure, anche se più diluite nel tempo quanto a uscite, e a sperimentare formati. Al di là dei miei tanti impegni che mi hanno a lungo impedito di scrivere la storia che Salvatore Taormina mi chiedeva, nicchiavo perché mi dispiaceva occupare il posto di altri sceneggiatori con meno spazi a disposizione del sottoscritto. Alla fine, ho trovato (pur a fatica) uno spiraglio fra gli impegni e ho trovato la soluzione al problema dell’ingombro del suolo altrui: avrei scritto un solo racconto (non ce ne sarò un altro mio), ma fatto in modo da poter passare la palla, aprendo un nuovo scenario avventuroso, ad altri pronti a raccogliere l’assist. “Memorie perdute”, mette infatti Than Dai di fronte al problema, che ha sempre preferito non affrontare, della ricerca delle proprie origini, del ritrovamento della sua famiglia di origine. Ho insomma creato il presupposto perché si indaghi sul passato del personaggio. Darò qualche consiglio a chi se ne occuperà, e sono curioso di vedere come se la caverà chi prenderà in consegna il mio testimone. 



venerdì 7 dicembre 2018

D'ANNUNZIO



Giordano Bruno Guerri
D'ANNUNZIO
Mondadori
2018, brossurato
390 pagine


La più notevole opera d'arte di Gabriele d'Annunzio, a cui egli lavorò incessantemente, fu senza dubbio la sua vita. Scrisse Lucio D'Ambra: "Meraviglioso commediante, creò la sua magica finzione e poi dentro vi s'adagiò come in verità assoluta e non più relativa; né poteva più sapere dove realtà e finzione si separassero, distinte". Una vita avventurosa, piena di svolte, colpi d'ala, clamori, sempre sulla cresta dell'onda. Una vita, quella del Vate, che sicuramente trascende quel che è stata la sua produzione letteraria. Conclude Giordano Bruno Guerri, tirando le somme al termine della biografia: "Il suo genio letterario è passibile di valutazioni anche contrastanti, ma il vero genio di d'Annunzio fu nella visionarietà politica e sociale con cui seppe anticipare sia le correnti nazionalistiche e superoministiche che avrebbero condotto ai fascismi, sia i movimenti più libertari del XX secolo: in una visione del mondo che andava oltre le categorie della destra e della sinistra e che ebbe sempre al centro l'individuo". 
Si tende a etichettare d'Annunzio con il Vate del fascismo. Si dimenticano però i lunghi mesi in cui fu governatore di Fiume (1919-1920), da lui occupata, quando diede alla città una sorta di carta costituzionale libertaria al massimo: voto alle donne, libertà di divorzio e di omosessualità, in anticipo di decenni sulle conquiste che sarebbero arrivare, tardi e male, solo molto in seguito. "Città di Vita", venne definito il capoluogo istriano. 
Di d'Annunzio Mussolini diceva che era come un dente marcio: o lo si estirpava o lo si ricopriva d'oro. Venne ricoperto d'oro purché stesse ritirato, nei suoi ultimi anni, nel Vittoriale, la villa che diventò la sua ultima, fantasmagorica opera. Guerri, che della Fondazione del Vittoriale è da anni il presidente, quasi non si sofferma nella disamina dell'infinità di poesie, tragedie teatrali, racconti e romanzi, di cui pure si parla senza però farne analisi critica, quanto piuttosto segue le rocambolesche vicissitudini del pescarese Gabriele Rapagnetta, in arte d'Annunzio, intrecciate in modo indissolubile con le dinamiche della storia, della società e del costume dei suoi tempi (1863-1938). 
E' difficile per noi capire l'importanza e l'influenza di un simile personaggio nella cultura e nella cronaca: chi ha condiviso gli anni in cui il Vate calcava il palcoscenico (in senso lato) aveva senza dubbio quotidianamente a che fare con una presenza invadente, se non ingombrante, che divideva, esaltava, polemizzava, combatteva, creava, scriveva, arringava, scandalizzava. D'Annunzio ideava marchi di fabbrica (La Rinascente, Saiwa), coniava vocaboli (velivolo), scriveva film ("Cabiria"), dava adito (anche volontariamente) a gossip, fuggiva dai creditori, guadagnava milioni e li sperperava, creava motti ("memento audere sempre", "ardisco, non ordisco"). Fu uno dei primi italiani a volare in aereo, uno dei primi ad avere un travolgente successo all'estero con i suoi romanzi. Dopo aver sollecitato l'ingresso in guerra dell'Italia nel primo conflitto mondiale, combattè sul serio (e non per modo di dire) andando al fronte (perse persino un occhio). Che dire poi delle sulle centomila amanti? Davvero si resta di stucco leggendo il resoconto delle sue battaglie amorose con il "gonfalon selvaggio" sempre pronto all'azione, e questo dall'adolescenza fino alla più tremebonda vecchiaia. Una voracità sessuale senza pari, "badesse di passaggio" ricevute tre per volta per maggior libidine. Che fosse simpatico, proprio no. Però certe sue battute sono esilaranti, come quella dell'epiteto di "cretino fosforescente" dato a Marinetti. Vanitoso, egocentrico, iperbolico, grafomane, prolisso, retorico, magniloquente, gradasso, noioso, saccente e pedante, ma di sicuro un personaggio, un guerriero.