domenica 31 luglio 2022

ROSA GREZZO

 
 
 

 
Lorenzo La Neve
Matilde Simoni
ROSA GREZZO
Becco Giallo
brossurato, 2018
104 pagine, 15 euro


Lascio la parola ai due autori, che così introducono "Rosa grezzo" nella loro prefazione: "Ci siamo detti di voler fare una parodia dei fumetti rosa che tanto andavano di moda sul Web. La primissima storia è uscita un anno dopo sulla nostra pagina Facebook, e ha avuto un successo allucinante. In quei due personaggi, che nascevano solamente come parodia del ragazzo 'bello e impossibile' e della ragazza 'timida e dolce', si sono riconosciute migliaia di persone. Così abbiamo deciso di proseguire i loro quotidiani slice of life, dolci e sugnosi allo stesso tempo, e il pubblico ha continuato ad amarli sempre di più, e noi con loro. In un certo senso abbiamo iniziato a vedere il romanticismo da un nuovo punto di vista. Riassumendolo in una frase, eccola qui: 'la persona che ami davvero è quella con cui ti ammucchieresti nel cesso di una stazione per poi scriverle una poesia'. E mentre all'inizio il metodo che usavamo per fare una vignetta era 'prendiamo uno stereotipo di fumetto rosa e ficchiamoci il romano borgataro', ora è immaginare come si comporterebbe Stephanie e con lei il suo Louis in un situazione quotidiana". Stephanie e Louis sono i due giovani protagonisti: lei carina e vestita di rosa, bionda e con le guanciotte rosse come Candy Candy, lui timido ed educato, riservato e tranquillo. Sarebbero una coppia perfetta (e lo sono) se lei non parlasse come uno scaricatore di porto di Ostia, e non mandasse in frantumi ogni stereotipo di romanticismo, soprattutto quello di stampo manga. La trovata risulta divertente, anche se mi mette in crisi. Infatti non avrei mai immaginato (sia detto a mio disdoro e a conferma di quanto sia vecchio dentro, oltre che fuori) che ci fossero “fumetti rosa” che “tanto” vanno di moda sul Web (per me un fumetto è una pubblicazione di carta che si vende in edicola o in libreria). E ho imparato che pubblicando delle strip su una pagina Facebook si ottiene un “successo allucinante” (qui dovrei farmi spiegare se e come ci si può campare, ma ormai sono in attesa della pensione). Comunque, per fortuna, “Rosa Grezzo” è uscito anche su carta e l’ho potuto acquistare in fumetteria. Qualcuno pensa anche a noialtri anziani.

sabato 30 luglio 2022

LA CAUTELA DEI CRISTALLI


 

Anna Lazzarini
Alberto Ostini
LA CAUTELA DEI CRISTALLI
Sergio Bonelli Editore
Brossurato, 2022
360 pagine, 17 euro


Se stessimo parlando di un manga non saprei se definire "La cautela dei cristalli" uno “shonen” o uno “shoio” (mi perdonino i cultori della corretta traslitterazione), in quanto i primi sono fumetti per ragazzi tra i 12 e i 18 anni, i secondi per ragazze della stessa età. Per la cronaca, esistono anche i “josei” per donne sopra i 20 anni, e i “seinen” per giovani uomini fino ai 30 (a spiegarmelo è Wikipedia). Chi dovesse ritenere, però, che gli “shoio” siano fumetti d’amore o che trattino tematiche sentimentali, sbaglierebbe (mi dicono): l’equivoco nasce dal fatto che essendo destinati a un pubblico femminile vien fatto di pensare che le fanciulle siano più romantiche dei maschietti e prediligano le love story. In realtà la suddivisione non è per generi ma per fasce d’età (almeno per queste categorie). Volendo approfondire, i profani come il sottoscritto rischiano di impazzire perché le tipologie dei manga sono infinite. Comunque sia, per fortuna, “La cautela dei cristalli” non è un manga e dunque si può intendere destinato indifferentemente a un target sia femminile che maschile e, ancora più fortunatamente, di qualunque fascia d’età, esclusi forse solo i bambini delle elementari. Fortuna delle fortune, si legge alla diritta come un fumetto di casa nostra. Se dunque non è un manga, perché sono partito dagli “shonen” e dagli “shoio”? Perché, secondo me, il graphic novel di Anna Lazzarini (disegni) e Alberto Ostini (testi) strizza l’occhio a un pubblico abituato a fruire di fumetti del Sol Levante, al quale si è inteso proporre una storia italiana che, più per sensazione che per dato di fatto, assomigliasse ai prodotti giapponesi. Assomigliasse soltanto da lontano, perché poi la narrazione, volendo trovare altre assonanze, ricorda romanzi a fumetti americani, spagnoli e francesi, trovando una sintesi originale davvero godibile, sia nei testi che nei disegni. Si racconta una storia d’amore, ma molto particolare, tra un ragazzo e una ragazza molto particolari. Il diciassette Jordan, che ha perso i genitori in un incidente stradale, viene costretto dallo zio, a cui è stato affidato, a studiare in un collegio elitario del tutto distante dalla sua indole (lui vorrebbe fare il pittore), e non riesce ad adattarsi. Diciamo pure che si ribella. La misteriosa Alanis, che irrompe nella sua vita, è l’unica che lo ascolta e sembra capirlo, ma risulta enigmatica e inafferrabile. C’è qualcosa di non detto che lo lega a Jordan, e che viene rivelato soltanto nelle ultime pagine, così come solo nel finale si scopre la sua vera identità. C’è davvero bisogno di etichettare la storia per fasce d’età? No. Ma neppure per genere: parlare di love story è riduttivo. E’ una storia che tutti possono leggere, che Alberto Ostini ha sceneggiato magistralmente e Anna Lazzarini illustrato in modo magnifico, con un sapiente uso di mezzetinte e retini.

venerdì 29 luglio 2022

SEI CASI AL BARLUME

 



Marco Malvaldi
SEI CASI AL BARLUME
Sellerio
brossurato, 2016
272 pagine, 14 euro


E’ ormai tradizione, da parte della Sellerio, pubblicare stagionalmente antologie di racconti gialli inediti commissionati a scrittori di fama, invitati a confrontarsi con un tema comune indicato dalla Casa editrice. “Capodanno in giallo”, “Vacanze in giallo”, “Carnevale in giallo” sono per esempio tre raccolte da cui sono state tratte alcune delle storie brevi di Marco Malvaldi, con protagonisti i vecchietti del BarLume e il barista (o meglio “barrista”) Massimo Viviani. Le altre tre, per un totale di sei, provengono da “Un Natale in giallo”, Ferragosto in giallo”, “Regalo di Natale”, tutte uscite tra il 2011 e il 2014. Il primo romanzo ambientato al BarLume è “La briscola in cinque, del 2007”. Ne abbiamo parlato qui:

http://utilisputidiriflessione.blogspot.com/.../la...

Il BarLume è nell’immaginario paese di Pineta, che si può essere collocato fra Pisa e Livorno, e ospiti fissi ne sono quattro arzilli vecchietti: Ampelio Viviani (nonno di Massimo), Pilade Del Tacca, Aldo Griffa e Gino Rimediotti. Com’è, come non è, ai quattro capita spesso di imbattersi in misteri da risolvere, beninteso partendo quasi sempre dalle notizie pubblicate sul giornale, che commentano (parlando in un divertente vernacolo pisano-livornese) nelle loro chiacchiere fra una briscola e l’altra, coinvolgendo Massimo che finisce per essere poi quello che praticamente rimette insieme il tutto risolvendo il caso. In questa antologia fa la sua prima apparizione Alice Martelli, commissario di polizia, giunta a sostituire il precedente commissario Vinicio Fusco, visto nei precedenti racconti. Al pari di Fusco, la Martelli capisce che il proprietario del BarLume e i suoi attempati clienti possono essere di grande aiuto alle indagini della Polizia. Tra Alice e Massino pare esserci anche simpatia e attrazione, ma nei sei casi raccolti in questa antologia tra di loro non succede nulla. Marco Malvaldi scrive una brillante introduzione in cui spiega come le esilaranti conversazioni dei vecchietti nascano dall’ascolto di discussioni colte dal vero, e che lui non si inventa niente. Non tutti i misteri riguardano delitti, il primo racconto, per esempio (“L’esperienza fa la differenza”) narra dei raid compiuti di notte da qualcuno che sventra sistematicamente i sacchetti dell’immondizia davanti alle case, mentre in “Costui da tutto il mondo” si tratta di incastrare un vigile urbano corrotto. Il più divertente è comunque “Il Capodanno del cinghiale”, dove viene uccisa una donna nel duomo di Pisa (il divertimento sta nel fatto che il colpevole deve essere identificato fra trenta frati ubriachi presenti al momento del delitto). Brillante anche “La tombola dei troiai”, dove si svela un metodo efficace per sbarazzarsi dei regali sgraditi ricevuto a Natale. Si lasciano leggere con piacere anche “Azione e reazione” e “Aria di montagna” (in questo caso i vecchietti sono in gita in Trentino e comunicano con Massimo solo via telefono). Tutto è molto gradevole anche quando il meccanismo giallo non è proprio alla Agatha Christie.

mercoledì 27 luglio 2022

IL GIORNO DELL'INVASIONE

  

 

 


 

Jacopo Rauch
Moreno Burattini
Gallieno Ferri
Gianni Sedioli
Marco Verni
 
IL GIORNO DELL'INVASIONE
 
Sergio Bonelli Editore
brossura, 2022
544 pagine, 17 euro
 


Il sesto e penultimo volume della collana "Zagor contro Hellingen" raccoglie tre avventure dello Spirito con la Scure, uscite in edicola nel 2015, divise in cinque diversi albi della serie Zenith, ma collegate fra loro in stretta continuità. La prima "Il giorno dell'invasione" è stata scritta da Jacopo Rauch e illustrata da Gallieno Ferri, disegnatore anche della seconda storia, "L'eredità di Hellingen", sceneggiata da me. Io e la coppia formata da Gianni Sedioli (matite) e Marco Verni (chine) abbiamo invece firmato la terza parte,  "Resurrezione".

I precedenti due volumi della collana dedicata all’interminabile lotta di Zagor contro la sua nemesi per antonomasia, il professor Hellingen, avevano proposto le “prove d’autore” di un paio di sceneggiatori d’eccezione, Tiziano Sclavi e Mauro Boselli. Entrambi, chiamati a confrontarsi con il mad doctor ne hanno offerte versioni non soltanto molto personali, ma anche piuttosto diverse dal modello originario, quello del creatore del personaggio, Guido Nolitta (lo pseudonimo con cui l’editore Sergio Bonelli firmava i testi delle sue storie a fumetti). L’intento era, evidentemente, duplice: da un lato realizzare un prodotto autoriale, in cui fosse riconoscibile la “calligrafia” di scrittori consci del proprio talento, dall’altro sorprendere e spiazzare i lettori portando lo scienziato pazzo verso un’evoluzione che fosse la meno prevedibile possibile. Questo volume, invece, presenta storie, di autori decisi a riportare Hellingen (pur senza rinnegare nulla degli sviluppi precedenti) a una maggiore aderenza alla nolittianità. Sia Jacopo Rauch che il sottoscritto abbiamo infatti voluto ricollegarci alle vicende narrate da Sergio Bonelli nella sua ultima storia zagoriana, “Magia senza tempo”, ripartendo esattamente dal punto in cui si concludeva quell’avventura, recuperando l’Hellingen che avevano visto scomparire in un lampo di luce all’interni di una cabina di teletrasporto. A una sorta di vero e proprio “ritorno alle origini” assisteremo nel prossimo (settimo e ultimo) appuntamento della nostra collana, ma di cui questo libro pone già tutte le premesse.

Il primo racconto di questa antologia, “Il giorno dell’invasione”, uscì nel luglio del 2015 come numero speciale tutto a colori in quanto destinato a festeggiare il seicentesimo albo di Zagor.  Rauch propone il ritorno sulla scena degli Akkroniani, gli extraterrestri che avevano stretto alleanza con il professor Hellingen (come si è visto nel terzo volume di questa collana). Lo sceneggiatore riteneva infatti, a ben ragione, non soltanto che gli alieni non avessero digerito la sconfitta subita da parte di Zagor, e quindi fossero pronti a tentare una nuova invasione, ma anche che volessero trovare delle spiegazioni a quanto era accaduto durate la precedente: com’era possibile, infatti, che la loro tecnologia avesse dovuto piegarsi di fronte alle armi magiche di un popolo primitivo, ai loro occhi, come quello dei nativi americani? La risposta la fornisce il giovane Akoto, custode del segreto del monte Naatani, quello dello scudo e delle frecce, letali per gli Akkroniani, appartenute a Rakum, l’Eroe Rosso: “Le armi sono niente, senza la mano che le impugna!”. Una frase che vale l’intero senso del racconto. Servirà comunque un breve riassunto per inquadrare meglio quanto state per leggere (o per rileggere).

Il pianeta Akkron è il sesto in ordine di distanza dalla stella gigante Betelgeuse, situata nella costellazione di Orione. Su quel lontanissimo mondo si è sviluppata una civiltà aliena che ha raggiunto un livello tecnologico incredibilmente più progredito di quello terrestre, tant’è vero che le astronavi degli Akkroniani riescono a superare le distanze siderali e a raggiungere il sistema solare. L’organismo degli esseri venuti dallo spazio ha una fisiologia del tutto diversa da quella umana: non ci sono organi interni che possono venire danneggiati dalle armi da fuoco o dalle lame, avendo i loro corpi una struttura paragonabile a quella delle piante. Tuttavia, il sangue dei terrestri serve a fornire una sorta di linfa vitale in grado di nutrire le loro cellule. E’ per questo che intendono colonizzarci, con l’aiuto del professor Hellingen, pronto a rinnegare il genere umano per il suo senso di rivalsa e la sua volontà di potenza. Prima di stringere questa alleanza, gli alieni avevano già  tentato una pima invasione, ma erano stati respinti da un eroe rosso vissuto cento anni prima, uno sciamano chiamato Rakum. Di fronte alle pistole a raggi degli alieni, nessuno dei pellerossa poteva nulla. Lo stregone nascosto sul monte Naatani, però, ebbe una apparizione mistica: “La visione di Manito mi diede alcuni suggerimenti che non esitai a mettere in atto”. Lo sciamano riesce così a fabbricare uno scudo, delle frecce e un arco magici in grado di uccidere gli alieni e di costringerli alla fuga.  Quando Zagor le ritrova grazie ad Akoto e al suo maestro Keokuk, le armi incantate sono ancora strette nelle mani della mummia di Rakum, custodita dai suoi successori, e attendono un altro eroe degno di usarle per ripetere l’impresa e ricacciare gli extraterrestri verso il mondo da cui sono venuti.

Nonostante gli spazi ristretti a sua disposizione (94 tavole sono poche, per gli standard zagoriani, e del resto l’avventura nolittiana con gli Akkroniani è lunga più di 400), Rauch recupera tutti gli elementi del precedente racconto, e congegnare un meccanismo narrativo perfetto che serve persino a spiegare perché dal pianeta Akkron non giungerà mai più alcuna minaccia. C’è soltanto un grande assente: Hellingen, che infatti, non è fra i protagonisti de “Il giorno dell’invasione”. Questo, però, non per caso o per dimenticanza: in realtà gli eventi narrati sul seicentesimo albo di Zagor servono a preparare eventi futuri, quelli narrati nella seconda e nella terza storia proposte in questa raccolta (il tutto, frutto di una serie di brainstorming fra Rauch e il sottoscritto). Ecco perciò spiegato perché, nonostante l’assenza dello scienziato pazzo, il racconto vi sia inserito.

 Il mad doctor, in realtà, non compare in senso stretto neppure nel secondo episodio, “L’eredità di Hellingen”, originariamente pubblicato sull’albo di Zagor n° 601 datato agosto 2015, con un proseguo nel successivo. Tuttavia la figura dello scienziato pazzo aleggia su tutta la storia e quanto accade prelude al terzo episodio di questo volume. Per la prima volta, dopo quasi venticinque anni spesi al servizio dello Spirito con la Scure (il mio esordio ai testi di Zagor è datato 1991), tocca a me l’onere e l’onore di prendere in mano i fili delle vicende legate a Hellingen. “L’eredità di Hellingen” è l’ultima storia disegnata da Gallieno Ferri per la collana Zenith, ovvero per la serie regolare zagoriana. In seguito ci sarebbero state solo poche decine di tavole da lui realizzate per un Color (il n° 5, “L’antica maledizione”), pubblicato postumo nel 2017, grazie al completamento del racconto da parte di Gianni Sedioli (matite) e Marco Verni (chine). I due disegnatori romagnoli (Sedioli, classe 1966, è ravennate, Verni, suo coetaneo, è forlivese) sono anche gli autori grafici del terzo episodio contenuto in questo volume. Nel momento in cui il maestro di Recco terminò “L’eredità di Hellingen” nessuno poteva immaginare che sarebbe stata l’ultima storia da lui disegnata per la serie regolare di Zagor. La qualità dei suoi disegni è sempre notevolissima nonostante la mano di un uomo di ottantaquattro anni. L'ultima tavola dell’avventura, quella con lo Spirito con la Scure a cavallo che galoppa verso il lettore, è un capolavoro realizzato da un vero e proprio Maestro del fumetto italiano.

Dopo due episodi in cui Hellingen, pur continuamente evocato e ricordato per tutta una serie di eventi che rimandano alla sua figura, è comunque assente dalle scene, eccolo finalmente comparire in carne e ossa nel terzo racconto della trilogia proposta da questo volume. Lo Spirito con la Scure si ritrova faccia a faccia con lo scienziato pazzo contro cui ha combattuto più volte, e scopre come ha fatto a tornare in vita. Le macchina degli Akkroniani lo hanno, sostanzialmente, clonato: la parola "clonazione" nella prima metà dell'Ottocento non esisteva ancora, ma la possiamo usare perché è lo stesso Hellingen a rivelare di averla inventata partendo da un etimo greco. Dunque, fra le tante invenzioni del creatore di Titan ce n'è anche qualcuna lessicale.  La vasca in cui il professore è stato rigenerato ha potuto funzionare grazie alla cabina in cui il folle è entrato nel finale di "Magia senza tempo", e che è stata da lui stesso programmata perché eseguisse una scansione di tutti i suoi atomi, facendo una sorta di back up destinato a rimanere nella memoria di una banca dati. Perciò, l'Hellingen che viene ricreato è esattamente quello di Guido Nolitta, e nulla sa di quanto è accaduto nelle storie di Tiziano Sclavi e di Mauro Boselli.

Tuttavia, proprio perché era lo scienziato pazzo nolittiano che mi premeva riportare sulla scena, mi è sembrato inevitabile cercare di indagare su alcuni elementi a cui Sergio Bonelli aveva chiaramente alluso senza mai, però, aver voluto approfondire. Mi è parso interessante cercare di capire chi fosse realmente Hellingen, quali fossero le teorie in base alle quali avrebbe voluto dominare il mondo (se Zagor non lo avesse ogni volta fermato), perché fosse stato cacciato dalla comunità scientifica, da dove provenissero le sue incredibili conoscenze. Insomma, ho voluto raccontare almeno una parte del passato del mad doctor. Nel terzo racconto di questa antologia troverete dunque rivelati alcuni episodi dei trascorsi helligeniani e scoprirete anche il suo nome di battesimo, e la nazione di provenienza della sua famiglia. In particolare, veniamo a sapere quel che è accaduto prima che Hellingen costruisse Titan (e vediamo un prototipo da lui chiamato Golem). Soprattutto, vengono mostrate al lettore quali sono le idee che animano il folle Garth: finora sapevamo che voleva conquistare e dominare il mondo, ma non era ben chiaro perché, a quale scopo. Adesso la sua follia ha un senso (sia pur delirante): precorre quella hitleriana ma, soprattutto, alla sua base c'è una sorta di teoria dell'eugenetica ante-litteram. Idee razziste e sulla purezza di sangue, tuttavia, non erano, storicamente, mai mancate neppure prima che all'eugenetica venisse dato questo nome, per cui non c'è nessuna particolare forzatura nel mettere in bocca a Hellingen discorsi come quelli che gli sentiamo pronunciare in una consesso di scienziati da cui viene cacciato in malo modo. Mi sembra degno di nota il fatto che il luminare che più di tutti si oppone a Hellingen, quando lo sente parlare di una rupe Tarpea da cui gettare gli storpi, sia uno zoppo di nome Hawking. Sono stato bene attento a dimostrare ai lettori più diffidenti come le teorie propugnate dal mad doctor fossero già leggibili fra le righe delle storie nolittiane: la prima volta che Zagor viene catturato, infatti, il professore dalla tunica nera lo vorrebbe arruolare fra i suoi uomini perché riconosce in lui una "superiorità" nel fisico e nel carattere che è quello che ci vuole per dominare invece le razze inferiori. Ho scelto di mostrare in flashback le esatte vignette  e le precise parole di Nolitta proprio per rassicurare tutti sul fatto che non ci sia stata alcuna distorsione delle caratteristiche originarie del personaggio.

Quando il mad doctor parla per la prima volta con Zagor legato per i polsi alla parete del suo laboratorio, non si scaglia contro di lui promettendogli una morte fra mille tormenti ma, al contrario, apprezzandone le doti fisiche e di combattente, gli propone di arruolarsi fra i suoi uomini! E gli dice così: “Ho bisogno di uomini che sappiano imporsi, che sappiano comandare e farsi rispettare… uomini come voi! In poche parole vi sto chiedendo di unirvi a noi. Avrete il privilegio di essere uno dei miei uomini di fiducia e di marciare alla testa del mio esercito di automi che, da questa piccola isola, si propagheranno per tutta la nazione e poi per tutto il continente!”. Poco prima, riferendosi alla tribù degli Ottawa, aveva definito i pellerossa “quel branco di selvaggi che vive sulla riva del lago”.

Nonostante l’intento del sottoscritto fosse quello (come ho dichiarato) di riportare Hellingen esattamente là dove Nolitta lo aveva lasciato, rinunciando dunque agli elementi magici e fantastici che avevano caratterizzato la versione del personaggio data da Mauro Boselli, con quella versione ho dovuto comunque fare i conti e, dunque, anche nel mio racconto compare (pur se in una sola pagina) il demone chiamato Wendigo, che ha imprigionato in una sorta di proprio “inferno” (in una dimensione parallela) il professore originario. Il modo in cui il Wendigo uscirà definitivamente di scena lo scopriremo nel settimo volume. Un altro elemento ereditato dalla storia di Mauro Boselli è la Base di Altrove. Dopo l'avventura boselliana sarebbe stato difficile non collegare il mad doctor con la base ideata da Castelli. Infatti, ritroveremo Altrove anche nel prossimo volume.

lunedì 25 luglio 2022

TRE

 

Valérie Perrin
TRE
Edizioni e/o
brossurato, 2021
624 pagine, 19 euro


«Mi chiamo Virginie. Di Nina, Adrien ed Étienne, oggi Adrien è l'unico che ancora mi rivolge la parola. Nina mi disprezza. Quanto a Étienne, sono io che non voglio più saperne di lui. Eppure fin dall'infanzia mi affascinano. Sono sempre stata legata soltanto a loro tre». 
Questa breve citazione riassume (almeno per chi lo ha già letto) il succo del libro, e dà ragione anche dell’avvincente desiderio di andare avanti, pagina dopo pagina, nella lettura. Infatti, chi sia Virginie (che nel racconto dell’infanzia e dell’adolescenza dei tre amici non compare), la narratrice, non è immediatamente chiaro e scoprilo è appunto una delle sorprese del racconto. Adrien, Étienne e Nina si conoscono nel 1986, in quinta elementare, e diventano inseparabili. Sognano di lasciare il piccolo borgo di provincia in cui vivono, Le Comelle, per trasferirsi a Parigi e non lasciarsi mai. Ognuno dei tre amici ha una storia famigliare complicata, così come hanno caratteri diversi, ma li unisce un sodalizio che sembra indissolubile e che li aiuta a superare il disagio delle rispettive esistenze. 
Valérie Perrin (1967), sceneggiatrice cinematografica, già autrice di due bestseller (“Il quaderno dell’amore perduto”, del 2015, e “Cambiare l’acqua ai fiori”, del 2018), si dimostra nuovamente magistrale orchestratrice di storie e destini, ricollegando fra loro frammenti di vicende che alla fine compongono un quadro dove ogni particolare va a collocarsi al posto giusto. “Tre” alterna continuamente il tempo in cui è ambientata la narrazione, passando dal passato (gli anni Ottanta) al presente (il romanzo si conclude nel 2018) e ricostruendo pezzo dopo pezzo tutto ciò che c’è nel mezzo. Ci si affeziona moltissimo ai tre protagonisti, soprattutto a Nina, seguiti nella loro crescita e formazione e separati a un certo punto dai casi della vita e da una serie di drammatici accadimenti. C’è spazio perfino per un risvolto giallo, allorché nel 2017 viene ripescata, dal fondo di un lago, un’automobile con all’interno il cadavere di una ragazza scomparsa, molti anni prima, dopo un appuntamento con Étienne. Sono oltre seicento pagine ma si leggono come fossero sessanta, tanto intriga la narrazione. Questo perché, fortunatamente, oltre a un’ottima scrittura, “Tre” offre al lettore una bella storia, una buona trama.

domenica 24 luglio 2022

SPETTRI

 

 

 


Mary Roach
SPETTRI
Einaudib
brossura, 2006
238 pagine, 15.50 euro


“Apparizioni, ectoplasmi e care presenze: la vita dopo la morte secondo la scienza”, recita il sottotitolo. In realtà Mary Roach non indaga sull’esistenza dell’anima e sulla sua sopravvivenza dopo la morte con approccio da scienziata quanto con curiosità giornalistica (è giornalista scientifica del “New York Times Magazine”) e divulga, con una notevole dose di ironia, studi compiuti da altri, ricostruendo in modo accattivante (a volte addirittura esilarante) la storia degli esperimenti fatti, nel corso dei secoli, per cercare di indagare sul trascendente. Per esempio, il famoso tentativo di Duncan Mcdougall eseguito nel 1901 in una clinica di malati terminali del Massachussetts per stabilire il peso esatto dell’anima. L’esperimento consisteva nel porre su una bilancia di precisione il letto dove un incurabile stava per morire, e verificare quanto pesasse un attimo prima e un attimo dopo la morte (cioè, quando l’anima aveva lasciato il corpo). Il paziente n° 1 subì una perdita ponderale di 21 grammi (tre quarti di un’oncia), una misurazione rimasta famosa nonostante non si sia mai più ripetuta in altri esperimenti tutti falsificati da qualche problema, e sebbene anche sulla correttezza scientifica del primo caso sussistano seri dubbi (e ci sia abbondanza di spiegazioni al fenomeno). Mary Roach conduce il suo lettore in India, per verificare casi di reincarnazione (nessuna verifica dà risultati certi), e in castelli infestati dai fantasmi (per lo più, si tratta di casi generati da infrasuoni), ma anche in archivi dove si conservano le materie ectoplasmatiche fuoriuscite dal corpo di sedicenti medium, e del tutto simili a delle garze. Pare che ci fossero medium abilissime nel tirarsele fuori dalla vagina o dal retto dove se le erano infilate poco prima. Interessanti le pagine sull’anima vista come fenomeno quantistico. Là dove lo scetticismo della Roach traballa è di fronte ai casi di NDE (Near Death Experience), quelli cioè di persone date per clinicamente morte che invece si risvegliano raccontando di aver visto il paradiso in fondo a un tunnel. Nonostante abbondino le spiegazioni (ci sono sostanze chimiche che producono gli stessi effetti), la giornalista lascia uno spiraglio possibilista. Mancano però, anche in questo campo, le certezze. Se abbiamo un’anima e sopravvive in qualche modo al nostro trapasso, lo scopriremo solo morendo.

giovedì 21 luglio 2022

BIANCANEVE E I SETTENARI

 
 
 

 
 
BIANCANEVE E I SETTENARI
A cura di Stefano Bartezzaghi
Bompiani
Brossurato,2022
210 pagine, 17 euro


C'è un rito irrinunciabile a cui mi sottopongo ogni settimana: risolvere il Bartezzaghi. Chi è un cultore, come me, della "Settimana Enigmistica", sa di che cosa sto parlando. Si tratta di un appuntamento fisso della rivista, il più insidioso dei cruciverba a schema libero. Oggi, il Bartezzaghi in questione si chiama Alessandro, ed è uno dei figli del più celebre Piero (nato nel 1933, morto nel 1989), storico autore di schemi di parole crociate, pubblicati per tradizione, a partire dagli anni Cinquanta, a pagina 41 della "Settimana". Per decenni, spuntarla contro il Bartezzaghi è stata la sfida preferita dei più abili solutori e oggi che non c'è più il padre, che era decisamente diabolico nelle sue definizioni, il figlio ne continua l'opera e anche lui non scherza. C'è poi un altro Bartezzaghi, Stefano, fratello di Alessandro, curatore di una rubrica su "Repubblica" e da insegnante di Semiotica dell'enigma presso lo Iulm di Milano. Proprio di Semiotica dell'Enigma si occupa il suo libro "Incontri con la Sfinge" (Einaudi), pieno di incredibili bizzarrie letterarie come il palindromo inglese "Madam, I'm Adam", che il primo uomo avrebbe detto presentandosi alla prima donna, e quello italiano dedicato ai carcerati: "alle carte t'alleni nella tetra cella". Un terzo fratello, Paolo Bartezzaghi, è un giornalista sportivo e non si occupa di enigmistica se non, forse, per risolvere i quiz dei congiunti. Uno dei miei autori preferiti, Isaac Asimov, scrisse una volta: “considero il gioco di parole la forma più nobile di umorismo”. Voleva dire, se non intendo male, che mentre gli scivoloni sulle bucce di banana o le torte in faccia sono un tipo di humour molto immediato, godibile anche da un analfabeta, il gioco di parole richiede non di rado, per essere perfettamente compreso, una certa cultura, una certa dimestichezza con le lettere, una certa raffinatezza di palato da parte del fruitore. Del resto, a quanto pare, il calembour deve il proprio nome a un conte, dimorante a Parigi sotto il Re Sole e molto dotato in questa ginnastica di parole. Ginnastica dunque praticata più da nobili che da plebei. Tornando ai Bartezzaghi, e in particolare a Stefano, è il curatore di “Biancaneve e i settenari” (sottotitolo: “Antologia di poesia giocosa”), una silloge che raccoglie le giochi di e con le parole, di sette diversi abilissimi autori: Marco Ardenaghi, Duccio Battistrada, Alessandra Celano, Gianni Cossu, Matteo Pelliti, Luciana Preden e Giuseppe Baraldo. Si tratta soprattutto (ma non solo) di cimenti poetici complicati dalla necessità di ottemperare, oltre che alle regole dell’enigmistica, anche a quelle della metrica. “Poesia a ostacoli”, la definisce Bartezzaghi, e per di più molto spesso ostacoli posizionati dagli autori stessi. Chi costringe, per esempio, Duccio Battistrada a leggere una poesia di Ungaretti come se fosse scritta in inglese (“Soldati” diventa “Sold out”), se non la soddisfazione che nasce dal cimento stesso? Marco Ardemaghi compone una poesia con la stessa parola-rima (“parti”) usata in otto sensi diversi. C’è poi Gianni Cossu che compone intere poesie palindrome, e c’è Giuseppe Varaldo che ne scrive di “generazionali”, cioè composte via via solo da vocaboli inseriti nel dizionario in un certo momento storico (quella che va dal 1993 al 1997 comincia per esempio così: “Un internauta, non un fancazzista / che io sul web non svalvolo né sclero…”). Ci sono anche le canzoni ricomposte con il senso rovesciato (“Siam gli esquimesi / i bassissimi Inuit”), le poesie maltusiane, lipogrammi, anagrammi, antigrammi, acrostici di tutti i tipi e con vari gradi di difficoltà. Per gli appassionati di enigmistica è come assistere alla finale del 100 metri alle Olimpiadi, a una gara di Formula Uno o alla partita che assegnerà la Coppa dei Campioni. Se serve una spiegazione del divertente titolo, la si trova in un distico di Luciana Preden: “Brontolo, Dotto e Cucciolo / è un settenario sdrucciolo”.

sabato 9 luglio 2022

LA NOTTE DEL DRIVE-IN

 
 

 
 
Joe R. Lansdale
LA NOTTE DEL DRIVE-IN
Einaudi
Brossurato, 2004
346 pagine, 11 euro


L’edizione Einaudi nella collana Stile Libero – Noir propone al lettore, in realtà, non uno, ma due romanzi di Joe Lansdale (1951), di cui il secondo è il sequel del primo. Troviamo infatti raccolti insieme “Il drive-in” (1988) e “Il drive-in 2” (1989). Esiste anche un ulteriore seguito, “Il drive-3”, del 2005, ma non è contenuto in questo volume. Il sottotitolo del primo episodio, “(un film di serie B con sangue e popcorn, made in Texas)”, definisce benissimo di che cosa si tratti. Un’altra definizione, più generica ma funzionale è quella che individua il genere di appartenenza (anche se si tratta di un genere indefinibile se non attraverso degli esempi pratici: “Il drive-in”, appunto, un esempio pratico lo è): splatterpunk. Non è semplice horror, ma qualcosa di più visionario, oltre i limiti. Non sono previste spiegazioni razionali, capitano cose che la scrittura folgorante di Lansdale descrive così efficacemente da non far chiedere al lettore che l’autore spieghi alcunché oltre a quello che racconta. Scrittura grondante sangue, ma anche colma di ironia, come appunto i trash-movies proiettati sui maxi schermi del drive-in “Orbit”, dove si susseguono ammazzamenti splatter ma è tutto così surreale da far venir da ridere. Ci sono più piani di lettura, ovviamente: quello superficiale, da fantascienza orrorifica (“The drive-in” in Italia è stato pubblicato per la prima volta su “Urania”); quello dell’omaggio a un tipo di film e di cinema; quello che descrive una certa società americana e texana in particolare; quello che gioca con la visionarietà di accadimenti folli dimostrando come la scrittura sia capace di tutto; quello che denuncia la manipolazione delle menti operata dalla TV e dalla religione (il personaggio di Popalong la personifica); quello che strizza l’occhio al mondo nerd; quello che cita altra letteratura (a me viene in mente un paragone con “Il signore delle mosche” di William Golding, con la progressiva follia che trasforma in assassini sanguinari i membri di una comunità priva di collegamenti con il resto del mondo). Tutto comincia con un fenomeno inspiegabile che imprigiona l’area di un gigantesco drive-in, l’ “Orbit” affollato da migliaia di spettatori in una sorta di oscurità acida e corrosiva: chi tenta di uscire si dissolve, liquefacendosi. Gli intrappolati inizialmente sperano che qualcuno giunga a soccorrerli, poi, finiti i viveri, cominciano a mangiarsi fra di loro. Strani fulmini e fenomeni elettrici complicano la situazione creando un sedicente “Re del Popcorn”. A un certo punto, il fenomeno finisce improvvisamente così come è cominciato e i superstiti fuggono dal drive-in: ma il mondo fuori non è più il loro. Ci sono i dinosauri e una misteriosa foresta circonda l’unica strada che sembra rimasta. Il secondo romanzo racconta proprio le avventure di tre sopravvissuti, che si imbattono in altri scampati come loro dando vita a comunità allucinate e allucinanti, mentre di notte strani serpenti fatti di pellicole di film danno la caccia a chi incautamente passi loro a tiro. Tutto assolutamente folle, ma che divertimento!