venerdì 1 dicembre 2023

OPERAZIONE FANTOZZI

 


 
Gianni Fantoni
OPERAZIONE FANTOZZI
Sagoma Editore
brossurato, 2023
240 pagine, 17 euro


La collana tra i cui figura questo titolo si chiama “Dietro le quinte” e già questo offre una prima indicazione circa ciò che ci aspetta e sulle intenzioni dell’autore. La Casa editrice, peraltro, si chiama Sagoma Editore, e chi conosca Gianni Fantoni per averlo visto qualche volta in televisione o a teatro (io posso vantare un minimo di confidenza in più) sa che non c’è definizione che meglio gli si attagli: sagoma. Gianni è indubbiamente quel che si dice una sagoma. Alla voce “sagoma” sul vocabolario ci dovrebbe essere la sua foto. Esclusi gli amici d’infanzia i vicini di casa a Ferrara e i compagni di scuola, che hanno di certo assistito a qualche sua performance precedente, il grande pubblico lo conosce dal 1990, quando, ventitreenne, partecipa alla trasmissione di Rai Due “Stasera mi butto”, proponendo una strepitosa imitazione di Paolo Villaggio. “Operazione Fantozzi” racconta come e quanto quella sua prima esibizione gli abbia segnato la vita, legandolo al comico genovese attraverso una serie di incontri, prima fortuiti, poi fortunati, poi rocamboleschi. A Fantoni riesce persino di recitare come attore nell’ultimo film della saga del ragioniere, “Fantozzi: la clonazione”) e di sentire ventilare l’ipotesi di una possibile ulteriore pellicola intitolata “Il figlio di Fantozzi”, interpretata da lui e da Villaggio (peccato non sia stato fatto). Finché, mentre la carriera di Gianni procede per la sua strada in TV e sui palcoscenici (si potrebbero citare musical e programmi televisivi, mi limiterò a ricordare le sue geniali imitazioni degli oggetti), ecco l’attore folgorato da un’idea: portare Fantozzi a teatro! C’è però da convincere Villaggio, che non è precisamente la persona più accomodante del mondo, c’è da trovare il produttore, ci sono contratti con mille clausole da stilare e da far firmare. Più volte il traguardo sembra raggiunto, ogni volta tutto rischia di finire nel nulla. Quando Paolo Villaggio raggiunge l’Olimpo dei Comici è il 3 luglio 2017 (commovente il ricordo di quei giorni che Gianni ne fa) ma l’accordo è raggiunto, “devi farlo”, esorta addirittura. Poi però ci si mette anche il Covid. Il finale è a lieto fine: nel gennaio del 2024 lo spettacolo teatrale debutta a Genova (e dove se no?) con il titolo “Fantozzi. Una tragedia.”. Attraverso la ricostruzione di tutti i retroscena dell’operazione, naturalmente Fantoni traccia un efficace ritratto di Villaggio. Scrive la figlia Elisabetta: “Gianni descrive mio padre in modo assolutamente veritiero come è accaduto poche volte se non mai, restituendo perfettamente sia il personaggio che l’uomo”. C’è anche della narrativa, nel libro: sei racconti dedicati a Semenzara, la Signorina Silvani, Filini, Calboni, Mariangela e Pina, tutti deliziosi e in perfetto stile fantozziano. Infine, da segnalare ci sono i riquadri con i codici QR che, inquadrati con un telefoninom rimandano a video relativi a ciò di cui si è appena parlato.

domenica 26 novembre 2023

DELITTO IN UNA CAMERA CHIUSA

 


Michael Crombie
DELITTO IN UNA CAMERA CHIUSA
Polillo Editore
Brossurato, 2021
208 pagine, 16 euro
 
Confesso di aver acquistato il libro solo perché attirato dal titolo, “Delitto in una camera chiusa”, senza nulla sapere dell’autore e della trama (non ho neppure letto i risvolti di copertina). Sono infatti un cultore e collezionista del genere “camera chiusa”. Wikipedia ben spiega che “con la locuzione enigma della camera chiusa o mistero della camera chiusa viene indicata una particolare varietà di romanzo o racconto poliziesco in cui l'indagine si svolge intorno a un delitto compiuto in circostanze apparentemente impossibili come quello scoperto in una camera chiusa dall'interno”. Ciò significa che non è tanto importante chi sia il colpevole e perché qualcuno abbia commesso l’omicidio (elementi comunque che fanno la differenza, quanto a risultato e qualità del racconto), quanto il “come” ci sia riuscito. Il maestro indiscusso di questo tipo di giallo è, come sapete (dato che in questo spazio se ne è parlato più volte), John Dickson Carr, ma naturalmente anche altri autori si sono cimentati nell’impresa di fornire spiegazioni convincenti (e nel mio piccolissimo anch’io ci ho provato in un racconto di Zagor). Anche Michel Crombie (pseudonimo di James Ronald, 1905-1972), giallista scozzese, di Glasgow, a lungo vissuto negli Stati Uniti ma poi tornato in patria sul finire dei suoi anni, amava giocare con i “misteri impossibili” e nei suoi quaranta romanzi ne propose diversi. Tuttavia, in “Delitto in una camera chiusa”, il delitto in una camera chiusa viene scoperto soltanto a pagina 178 (sulle 199 dell’edizione italiana), e quindi l’enigma di come sia stato possibile assassinare una vecchia signora (testimone di un altro omicidio) nella sua stanza chiusa a chiave dall’interno è soltanto un tassello marginale di un poliziesco che avrebbe potuto (e forse dovuto) avere un altro titolo. La storia racconta di uno zio criminale, Godfrey Winter, tutore di due nipoti, Eric e Patricia, che uccide il primo e tenta di far fuori anche la seconda, senza riuscirsi solo per un caso fortunato (per lei, che viene presa sotto tutela dal fidanzato Alan). Non faccio spoiler perché che il cattivo sia Godfrey lo si scopre già a pagina 15 e il giallo consiste soprattutto nel seguire le indagini di un coraggioso giornalista, Larry Milner, per vedere come, inizialmente non creduto e anzi licenziato dal suo stesso giornale, riesca a incastrare il colpevole della morte di Eric (e dell’eliminazione successiva di due testimoni scomodi). Eric e Patricia devono morire, nei piani dello zio, perché lui possa ereditare le loro sostanze, lasciate ai due dai genitori prematuramente scomparsi. Il romanzo è movimentato e divertente come un film poliziesco degli anni Quaranta (“The Sealed Room Murder” è del 1934), con molta azione e vari colpi di scena. Quando Milner si trova di fronte alla camera chiusa praticamente siamo agli sgoccioli della storia. Buffo che, per risolvere l’enigma, il giornalista si rivolga a tutti gli scrittori di gialli di sua conoscenza (giustamente, i delitti nelle camere chiuse non avvengono mai nella realtà e sono i giallisti i massimi esperti). La soluzione gli viene però suggerita da un prestigiatore, che quando fa sparire le persone dopo averle chiuse in una scatola con quattro solide pareti, ci riesce perché una delle pareti non è poi così solida.

sabato 25 novembre 2023

MICKEY ALL STARS

 

Autori Vari

MICKEY ALL STARS
Panini Comics
Cartonato, 2021
56 pagine, 14.90 euro


“Questo originale percorso illustra e fa capire al lettore quanto sia stato grande il privilegio per noi, fortunati autori, di aver interpretato con il nostro stile il meraviglioso mondo di Topolino”, scrive Giorgio Cavazzano, maestro chiamato ad aprire e chiudere con due sue tavole “Mickey All Stars”. Cerchiamo di contestualizzare e capire di che cosa si tratta. Va innanzitutto premesso che da qualche anno le edizioni Glénat hanno iniziato a realizzare e pubblicare in Francia volumi appunto “alla francese” con personaggi Disney interpretati in modo originale da autori anche provenienti da esperienze diverse, in un format diverso, più simile ai graphic novel che alle storie seriali. Ce ne siamo occupati anche in questo spazio, recensendone alcuni. Questo “All Stars”, però, è diverso: 47 autori si sono incaricati di realizzare una tavola autoconclusiva a testa (tranne, appunto, Cavazzano che ne ha illustrate due) passandosi il testimone l’un l’altro in modo che la sequenza fosse comunque collegata dall’espediente di far entrare Topolino da una porta nella prima vignetta in alto e farlo uscire da un’altra porta nell’ultima vignetta in basso. Così, passando di porta in porta e quindi di stanza in stanza, da un interno a un esterno, da una realtà parallela a un’altra, il lettore segue Mickey in una sarabanda vertiginosa di stili e di situazioni. Sì, perché ogni disegnatore ha usato la propria calligrafia e il proprio mood, con risultati sorprendenti e a volte entusiasmanti (solo in qualche raro caso discutibili). Fra gli artisti di varia nazionalità anche sei italiani: Cavazzano, Bertolucci, Camboni, Fecchi, Petrossi, Rota. Il Topolino preso a modello da tutti è quello in pantaloncini rossi con i bottoni gialli, o bianchi, prima maniera. L’esperimento è pienamente riuscito, e c’è da divertirsi. Lo considero una lezione per tutti quei lettori che tendo a identificare un personaggio con un solo autore, come se ci fosse un “vero” Topolino (o un “vero” Uomo Ragno, o un “vero” Tex) e non si dovesse invece tener conto del contributo di tanti artisti nel corso dei decenni, tutti chiamati a tener viva la fiamma di una leggenda.

venerdì 24 novembre 2023

FRANKENSTEIN ILLUSTRATO




Alfredo Castelli
FRANKENSTEIN ILLUSTRATO
Cut-Up Publishing
Cartonato, 2023
114 pagine, 22.90 euro

Sotto il titolo, in copertina, compare la scritta “nuova edizione completamente riveduta e aggiornata al 2023”, e dunque c’è da chiedersi quando sia avvenuta la prima pubblicazione ldi questo “Frankenstein illustrato”. Alfredo Castelli lo spiega subito all’interno, insieme a un milione di altre cose di cui provvede a informarci: il primo varo di questo imprescindibile manuale risale al 2018, quando venne dato alle stampe in tiratura limitata nell’ambito della manifestazione catanese “Etna Comics”. Rispetto a quella, dunque, si aggiorna la filmografia (dal 1910 al 2023) che rappresenta la parte più consistente del libro, una settantina di pagine. Ma sono stati anche rivisti e corretti dimenticanze e refusi (bisognerebbe controllare pagina per pagina per scoprire quali).

Ne abbiamo parlato qui:

https://utilisputidiriflessione.blogspot.com/2018/07/frankenstein-illustrato.html

Se la prima edizione di questo aureo libello risale dunque al 2018, molto più antico è l’interesse di Castelli verso il romanzo di Mary Shelley “Frankenstein or the modern Prometheus” (1918). Come l’autore riferisce nel primo capitolo, nel 1969, pubblicò ne “I classici a fumetti” della Sansoni un adattamento illustrato da Giorgio Montorio. Visto il buon esito, Castelli propose a Gino Sansoni di dedicare al personaggio della Shelley un saggio sulla storia del libro e sulle sue versioni teatrali, cinematografiche, televisive. Il progetto fu messo in cantiere, si ottenne addirittura una prefazione di Forrest J Ackerman (la “J” senza punto non è un errore), fondatore della rivista “Famous Monsters”, ma poi non se ne fece di nulla. Dopo oltre cinquanta anni, il testo viene finalmente collocato all’inizio del saggio per cui venne scritto. Castelli, con grande abilità di divulgatore essenziale ma esaustivo (peraltro supportato da un ricco corredo iconografico), ripercorre velocemente la genesi del racconto della Shelley, relaziona circa le sue varie riscritture e sulla tardiva prima traduzione italiana, poi accenna agli apocrifi autori di sequel, quindi passa a trattare delle versioni teatrali e degli adattamenti a fumetti. Un capitoletto si intitola “Il mio Frankenstein” e si occupa di tutte le (tante) volte in cui proprio Castelli ha utilizzato il mostro, non mancando di citare l’avventura “Molok” scritta per la serie di Zagor. Segue la riproposta delle trentaquattro tavole della storia del 1969 pubblicata da Sansoni. A questo punto si passa a parlare di film, cartoni animati, programmi TV. Ciliegina sulla torta, un sedicesimo a colori con le locandine delle pellicole più interessanti. Si resta stupiti di quanto il mito di Frankenstein abbia permeato l’immaginario collettivo e la fiction negli ultimi duecento anni.

domenica 19 novembre 2023

PASTORALE AMERICANA

 


Philip Roth
PASTORALE AMERICANA
Einaudi
Supercoralli, 2013
Brossura, 460 pagine, 14 euro

Si possono ricavare tante emozioni diverse da “Pastorale americana” di Philip Roth e ci sono diversi piani di lettura di un capolavoro del genere. Io però ne sono uscito sgomento per il dramma di Seymour Levov, detto “lo svedese” per il suo aspetto da vichingo, che si vede sfuggire dalle braccia, rapita da una scelta di vita folle, la figlia Merry. Una figlia nata in una famiglia benestante, da genitori bellissimi, in una casa meravigliosa, educata alla liberalità e alla tolleranza (ebreo il padre, cattolica irlandese la madre Dawn), assecondata nelle sue passioni, seguita e curata in ogni modo, di certo amatissima, che a sedici anni però fugge di casa, diventa una terrorista, fa esplodere bombe, uccide quattro persone, si dà alla clandestinità. E non c’è da pensare che Seymour o Dawn la opprimessero imponendole proprie idee politiche reazionarie, da cui potesse derivare tanta follia, anzi, Roth riporta le conversazioni piene di buon senso e buoni sentimenti con cui il pazientissimo svedese cerca di far ragionare Merry, prima che improvvisamente esploda la prima bomba e la ragazzina scompaia. Ma non è solo questo che sgomenta. E’ la ricerca disperata del padre che non si rassegna alla sua fuga, la crede prigioniera, si illude che potendola riabbracciare potrebbe farsi spiegare come sono andate realmente le cose, perché di certo non può essere stata Merry a uccidere quelle persone. Lo strazio di Seymour è totale, e ne sono stato annichilito anch’io. Il dramma manda a monte il matrimonio con Dawn, amici carissimi si scoprono essere infidi, tutto il mondo dorato che lo svedese ha cercato di costruire attorno a se va in fumo come una fotografia della famiglia felice a cui si dà fuoco. “Pastorale americana”, titolo tragicamente ironico che allude a un idillio che è soltanto illusione, è certamente molto più di una tragedia famigliare, però è questo che soprattutto mi ha segnato. Poi, in questa storia lunga trent’anni (dai tempi del liceo dello svedese, campione sportivo noto in tutto il New Jersey, durante la Seconda Guerra Mondiale, fino alla metà degli anni Settanta, ma con un prologo nei Novanta), si raccontano il sogno americano, le paturnie religiose, l’antisemitismo, il razzismo, il boom economico e le rivolte operaie, il conflitto in Vietnam, lo scandalo Watergate, il terrorismo, il comunismo e l’anticomunismo: tutto viene descritto con odio e con amore, sempre impietosamente. Roth, attraverso il racconto fittiziamente fatto dal suo alter ego Nathan Zuckerman (figura ricorrete nei romanzi dello scrittore) salta di continuo fra gli anni e gli avvenimenti, non procede in ordine cronologico, ma tutto ciò che racconta serve a riempire uno spazio in un puzzle che si costruisce a chiazze, a gruppi di tessere. Scritto nel 1997, nel 1997 il romanzo ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa.

lunedì 13 novembre 2023

GUIDO MARTINA TOPOLINO, PECOS BILL E IL PROFESSORE

 

 

Erika Balzaretti
Gianni Milone
GUIDO MARTINA
TOPOLINO, PECOS BILL E IL PROFESSORE
Edizioni Fumettoclub
Spillato, 1994
36 pagine


Si tratta del catalogo di una mostra dedicata a Guido Martina inaugurata nel dicembre del 1994 a Carmagnola, in provincia di Torino, luogo di origine del grande sceneggiatore, che vi era nato nel 1906. Brevi ed essenziali interventi di Erika Balzaretti e Gianni Milone (curatori della rassegna), di Alberto Gedda e Carlo Chendi illustrano per sommi capi la vita e l'opera di Martina, uno dei primissimi sceneggiatori disneyani italiani, a tre anni dalla sua scomparsa (avvenuta a Roma nel 1991). L'autore, uomo di grande cultura e intelligenza, chiamato da Arnoldo Mondadori e da Mario Gentilini a collaborare con Topolino, ne diventò una colonna portante dopo essere partito dalle semplici traduzioni delle storie americane. La sua sterminata produzione conta migliaia di sceneggiature (in gran parte anonime, dato che l'etichetta "Disney" gli impediva di firmarsi), e la stesura di interi volumi come i vari Manuali e tutta l'Enciclopedia Disney, cosa che giustificava il soprannome di “Professore” con cui veniva appellato. All'attivo di Martina ci sono anche storie di altri personaggi, come Pecos Bill: eroe western che furoreggiò negli Anni Cinquanta. A corredo del catalogo viene riproposta la ristampa di una delle primissime storie disneyane di Martina, "Topolino e il Cobra Bianco", disegnata da Angelo Bioletto. Una vera rarità. Vien voglia di approfondire l’argomento, dato che qui se ne dà soltanto un (pur gustoso) assaggio, essendo soprattutto una biografia per immagini.

domenica 12 novembre 2023

GOLD

 


Isaac Asimov
GOLD
Prima edizione 1995
cartonato 
380 pagine -  lire  32.000

Gold: The Final Science Fiction Collection: ecco  un libro di Issac Asimov che Asimov non ha mai scritto, e che forse non avrebbe mai voluto scrivere. Contiene infatti gli ultimi racconti egli ultimi articoli pubblicati su rivista poco prima della sua morte. La lettura dà un senso di tristezza perché, se da una parte il Buon Dottore è sempre se stesso, inconfondibile nella piacevolezza stile e nella maniera di argomentare, dall'altra è innegabile che si tratta di un Asimov minore e ormai in disarmo. La sensazione è che, pubblicando questa antologia postuma, si sia raschiato il fondo del barile. Inoltre, chi ha curato l'antologia non ha fornito alcuna spiegazione sugli intenti dell'opera e sulla provenienza dei singoli scritti. Chi sa quanto fossero gradevoli, invece, i testi di commento e di introduzione dello stesso Asimov ai propri racconti e articoli, non può che rimpiangere una simile mancanza. Mancanza che poi provoca degli scompensi, perché leggendo questo o quell'articolo si capisce che si tratta di prefazioni a volumi e presentazioni di antologie o romanzi altrui e si fa riferimento al libro che dovrebbe seguire e che invece non segue, o si parla di "questa rivista" senza che venga spiegato di che rivista si tratta.  Nonostante il vecchio leone Asimov non abbia graffiato e ruggito come sapeva fare, questi scritti non possono comunque mancare nella collezione di nessun appassionati della sua sterminata produzione. Solo che i curatori dell'antologia potevano risparmiarsi la scritta in copertina: "la fantascienza allo stato puro" e  "un altro capolavoro del padre fondatore della fantascienza". Chi non abbia letto nient'altro del grande Isaac e decida di cominciare da questi scritti crepuscolari, resterà deluso. Se questi sono i capolavori, chissà il resto. Invece, il resto c'è, eccome. Ed è da quello che si deve cominciare, per arrivare a "Gold" con grande rimpianto
"Gold" è diviso in tre parti. Nella prima, intitolata "Ultimi racconti", vengono presentate quindici storie brevi scritte poco prima della morte, avvenuta nel 1992 a soli 72 anni. Si tratta insomma di opere di narrativa. La seconda parte, "Sulla fantascienza", raccoglie diciotto articoli scritti come introduzione ad altrettante antologie tematiche di science fiction. La terza parte, "Come si scrive un libro di fantascienza", mette insieme venti editoriali della rivista IASFM, molti dei quali tesi a rispondere a obiezioni o domande di lettori del magazine.
I racconti della prima parte sono stati scritti tra il 1986 e il 1991, pubblicati su Analog e su altre riviste, ma mai antologizzate prima, anche perché considerate, in qualche caso, non all’altezza della fama dell’autore. Cominciamo però a parlare delle cose migliori, perché ci sono delle eccezioni. Almeno una delle storie è al livello di quelle della golden age: "Il fratellino" (1990), guarda caso un racconto di robot. Racconta di una coppia che per dare un compagno di giochi al proprio figlio, nell'impossibilità di procreargli un fratello naturale, gliene comprano uno robot, programmato per essere uno stupendo compagno di giochi e un figlio ideale. Tanto ideale che è migliore del figlio vero, appunto perché le sue reazioni sono state impostate apposta per dimostrare buon carattere, bello spirito, affettuosità. Così, il bimbo robot conquista il cuore della mamma, al punto che quando scoppia un incendio e la donna si trova ad avere il tempo per salvare soltanto uno dei due fratellini, non ha dubbi sulla scelta da fare. Salva il robot. Eccezionale, davvero. Ne "Il sorriso del chipper" (1988), un robot viene scelto al posto di un altro sulla base di un impercettibile sorriso durante una situazione creata per metterlo alla prova, il che testimonia una sua maggiore intelligenza e attitudine all'incarico che si intende affidargli.
Anche "Cal" (1991) , il racconto che apre la serie, narra di un robot: un androide al servizio di uno scrittore, che vuole diventare scrittore a sua volta. Il proprietario lo asseconda e gli insegna i trucchi del mestiere, finché il robot non diventa più bravo di lui. Trent’anni prima di Chat GPT, niente male come profezia.
Sempre basato sui robot e la scrittura è un altro racconto non del tutto negativo: "A prova d'errore" (1990). Il punto di partenza sono le sempre maggiori potenzialità dei word processor, capaci di compiere la correzione ortografica del testo e di imparare a non segnalare come errori certe caratteristiche stilistiche dell'autore. Asimov immagina che un word processor mal costruito diventi in grado di tener conto a tal punto dello stile del proprietario da continuare lui stesso i suoi testi scrivendoli esattamente come li avrebbe scritti lui. C'è, evidentemente, in questi due racconti, il ricordo de "Il correttore di bozze" (Galley Slave), un celebre testo del 1957 pubblicato prima sulla rivista Galaxy e incluso in seguito nel "Secondo libro dei Robot", di cui Asimov ha voluto evidentemente comporre delle variazioni su tema.
Un computer è alla base di "Frustrazione" (1991), in cui si vuole affidare a un calcolatore la decisione di iniziare o meno una guerra nel momento di maggiori opportunità e massimo vantaggio: il programmatore a cui la macchina è affidata è soddisfatto perché sa che il suo computer non farà mai cominciare nessuna guerra. La guerra è illogica e per la razionalità estrema di un calcolatore non ci saranno mai né vantaggi né opportunità. Solo il cervello umano può decidere di scatenare una guerra, un computer se guarderà bene. In "Instabilità" (1989), una macchina del tempo viene spedita nel futuro per studiare le stelle e involontariamente innesca un big-bang da cui nasce un nuovo universo. "Da sinistra a destra" (1987), "Inno di battaglia" (postumo, 1995) e "Feghoot e la giustizia" (1986) sono tre shaggy-dog, come vengono definiti i racconti basati su giochi di parole (in genere intraducibili in italiano). Asimov ha da sempre una grande passione per questo tipo di divertissement ("Ritengo il gioco di parole la forma più nobile di umorismo", scrisse una volta), ma le tre storie in questione mi sembra alquanto insulse.
Così come insulsa è "Nazioni nello spazio" (postuma 1995), una storia piuttosto debole, scritta come fosse un appunto in lavorazione e impostata come una sorta di parabola futuribile con tanto di morale finale, pubblicata peraltro postuma proprio nel 1995. La caratteristica di sembrare testi non finiti, abbozzi di racconti futuri da sviluppare meglio, caratterizza anche "Il divino Alessandro" (1985), "Nel Canyon" (1990), "Addio alla Terra" (1989) e soprattutto "Allucinazioni" (1985), che sembra la prova generale del romanzo "Nemesis". Molto collegato a un altro romanzo di Asimov è anche "Gold" (1991), in cui un regista di una nuova forma di comunicazione audiovisiva, il compudramma, mette in scena la parte centrale di "Neanche gli dei". “Gold” ha vinto nel 1992 il Premio Hugo, anche se probabilmente come ultimo omaggio allo scrittore.


sabato 11 novembre 2023

GHIACCIO SOTTILE


 


 
Piero Degli Antoni
GHIACCIO SOTTILE
Rizzoli
Seconda  edizione novembre 2005
cartonato – 360  pagine -  euro 16,50


“Sei alpinisti bloccati sull’Himalaya. Un cadavere nella neve. Soltanto sette giorni per salvarsi”. Tre righe sotto il titolo salvano la pessima copertina (ma chi è il grafico che l'ha pensata?) e valgono la lettura. Il romanzo  è un ottimo congegno per catturare l’attenzione dei lettori, e dopo i primi due capitoli è difficile smettere di leggere, dato che la vicenda comincia a ingranare e si continua a macinare capitoli.
Piero Degli Antoni, che è ben documentato in materia di alpinismo, congegna un susseguirsi di colpi di scena, condotti tenendo conto anche delle vere difficoltà degli alpinisti oltre i settemila metri, e della psicologia degli scalatori. Attinge sicuramente fatti avvenuti ad alpinisti celebri (Reinhold Messner che torna a valle senza il fratello, scomparso ad alta quota, la sparizione dagli occhi degli osservatori di Mallory ed Irvine nel 1924 sull'Everest, la cronaca di una tragedia himalayana del 1996 tracciata da "Aria sottile" di Jon Krakauer), come del resto ho fatto io per il giallo alpinistico zagoriano "Il gigante di pietra" (2007), che deve qualcosa anche a Degli Antoni.
 Su una vetta over ottomila dell’Himalaya, il Kinsoru, un alpinista avvista il cadavere di un altro scalatore, Jean-Pierre Leblanc. Pochi giorni dopo, una giornalista e un fotografo (Fiona e Iaan) vanno alla ricerca del corpo convinti di poterne ricavare un servizio per il loro giornale, e scortati da una guida sherpa, Tenzin (come lo sherpa Tenzin primo scalatore dell’Everest) rimangono bloccati da una tempesta in una tenda a quota settemila. La tenda diventa rifugio anche per altri tre uomini che sono sul Kinsoru per cercare a loro volta ciò che resta di Jean-Pierre. Si tratta di Michel, suo fratello, e dello scalatore Hans Von Reichlin (un barone austriaco) e del di lui assistente Anatoli Boroda. Michel è stato l’ultimo a vedere Jean-Pierre da vivo (almeno per quel che se ne sa), in quanto lui e il fratello stavano scalando insieme la vetta quando accadde qualcosa: Michel non ha mai  raccontato che cosa, sostenendo di aver perso la memoria. Fatto sta che Jean-Pierre scomparve e Michel fu ritrovato in stato di shock sul versante opposto della montagna. Von Reichlin faceva parte della stessa spedizione, ma i due Leblanc avevano abbandonato lui e gli altri compagni di scalata, nottetempo, per raggiungere la cima da soli. Il barone se ne era accorto, aveva cercato di raggiungerli senza riuscirci ma li aveva visti, inequivocabilmente insieme, mentre si avviavano verso le quote più alte. Adesso Von Reichlin ritiene che Michel sia lì per trovare il cadavere del fratello e farlo scomparire, dato che sul suo corpo si troverebbero le prove del fatto che il giovane era stato ucciso. Michel avrebbe avuto infatti dei motivi, dato che il padre aveva intestato al fratello gran parte dei suoi beni. Michel professa la sua innocenza e a sua volta spiega l’ossessione del barone nel volerlo accusare per il fatto che, in passato, gli aveva soffiato la moglie (peraltro scomparsa abbandonando lo stesso Michel). Ma tutti si scoprono collegati a Jean Pierre, persino Fiona, che ne era stata l’amante di una notte il giorno prima della partenza verso la vetta e aveva scoperto che il giovane era gravemente malato e una scalata ad alta quota lo avrebbe sicuramente ucciso. Una sorta di "Assassinio sull'Orient-Express" a settemila metri di altezza, dove la rarefazione dell'aria può essere fatale per chi non discenda in tempo utile. L’estremo colpo di scena è nell’ultima pagina, quando il caso sembra risolto.

venerdì 10 novembre 2023

ESERCIZI DI STILE

 


Stefano Disegni
Massimo Caviglia
ESERCIZI DI STILE
Fumetto umoristico - Mondadori
Collana oscar Best Seller
Prima edizione Oscar 1996
brossurato - 220 pagine -  lire 14000

Disegni & Caviglia fanno la parodia di una parodia. Alla base di tutto, infatti, c'è il fondamentale "Esercizi di Stile" di Raymond Queneau, testo scritto alla fine degli anni Quaranta e tradotto in italiano da Umberto Eco. Lì, Queneau si divertiva a raccontare in decine di modi diversi (utilizzando i più vari stilemi narrativi, di cui faceva tutto sommato una intelligente e divertentissima parodia) un fatto del tutto banale: un tale nota un altro sull'autobus perché ha un bottone cadente al collo della camicia, e più tardi gli capita di notarlo di nuovo in compagnia di un amico. Questo episodio viene dunque rivisitato più volte, ora in stile giornalistico, ora in stile poetico, ora in stile telegrafico e così via. Disegni & Caviglia utilizzano la stessa idea per raccontare a fumetti un fatto ancora più banale: un uomo ha un appuntamento con una donna, lei arriva un po' ritardo, ma si fa perdonare con un bacio. Le strip dei due autori sono, naturalmente, meno nobili degli esercizi di Queneau, appunto perché ne costituiscono la gradassa parodia. Per cui avremo lo "stile depresso", lo "stile tossico", lo "stile sfigato", lo stile "avanspettacolo" e così via. I risultati sono spesso esilaranti. Prima di venire pubblicato negli Oscar in un insolito formato orizzontale, "Esercizi di Stile" era uscito nel 1994 nella Biblioteca Umoristica Mondadori.


domenica 5 novembre 2023

LA SCALA A CHIOCCIOLA (SOME MUST WATCH)

 
 
 
Ethel Lina White
LA SCALA A CHIOCCIOLA
(SOME MUST WATCH)
Monadori
I Classici del giallo
Brossurato – 1981
256 pagine, 2000 lire


Vi racconto com’è andata. Durante l’estate 2023 trovo in vendita su una bancarella di libri usati (offerto a un euro) un romanzo dal titolo “La scala a chiocciola”, scritto nel 1908 da Mary Roberts Rinehart. Ho un flash, e ricordo un film in bianco e nero visto una volta da ragazzo (se non da ragazzino) in televisione, intitolato proprio così e che mi è rimasto impresso nella memoria come paurosissimo. Non credo di averlo mai visto più di una volta, ma tanto è bastato per farmi ricordare, oltre a titolo, certe scene e certe inquadrature. Con il tempo, mi sono convinto che il regista fosse nientemeno che Alfred Hitchcock, senza motivo - se non per la tensione creata dalla regia e dalla fotografia, oltre che per il tipo di trama. Tanto “La scala a chiocciola” segnò e turbò i miei ricordi che, molti anni dopo, nello sceneggiare “L’abbazia del mistero”, la mia seconda storia di Zagor, inserii il personaggio di una ragazza diventata muta dopo un shock, che recupera la voce in conseguenza di una nuova emozione vivissima, come capita appunto ad Helen, la protagonista del film, interpretata da Dorothy McGuire. Torniamo alla bancarella di libri usati. Compro il romanzo della Roberts Rinehart e lo leggo. Delusione! Non che sia un brutto giallo, ma è chiaro che NON è quello che ha ispirato il film omonimo. La trama è del tutto diversa. Faccio le dovute ricerche e scopro che The Spiral Staircase è un film del 1946, diretto da Robert Siodmak (e non da Alfred Hitchcock), che recupero anche in Rete, guardandolo dunque per la seconda volta ma senza ricavarne particolari brividi (pellicola apprezzabile ma non entusiasmante, soprattutto non terrorizzante secondo gli standard più recenti). Scopro anche che la pellicola è tratta da un romanzo del 1933 di Ethel Lina White (1876-1944), dal titolo Some Must Watch. Quindi, “La scala a chiocciola” di Mary Roberts Rinehart non c’entra nulla. Scrivo comunque la mia recensione, che potete leggere qui.

https://utilisputidiriflessione.blogspot.com/2023/11/la-scala-chiocciola.html

A questo punto devo assolutamente rintracciare “Some Must Watch”, che la Mondadori ha pubblicato nel 1981 nei suoi Classici del Giallo - dandogli il titolo del film, appunto “La scala a chiocciola”. Ecco perché in cima alla recensione trovate indicato il titolo originale. Lo trovo su eBay e questa volta è il romanzo giusto. Tuttavia, ci sono alcune differenze tra il film e il romanzo della White. Per esempio, essendo la scrittrice gallese e il film americano, la pellicola è ambientata negli Stati Uniti invece che in Inghilterra. Ma soprattutto la protagonista Helen Capel nel libro non è affatto muta, anzi, è una ragazza dai capelli rossi molto vivace e intraprendente (diversamente dal personaggio interpretato dalla McGuire, cupo e angosciato). Inoltre il movente del serial killer che colpisce sullo schermo cinematografico è quello di uccidere donne segnate da un handicap (nella prima scena lo vediamo assassinare una zoppa), cosa che rende Helen una possibile vittima in quanto priva di voce; nel romanzo il maniaco dà la caccia semplicemente a ragazze che entrano nel suo raggio d’azione. Ci sono anche differenze nella composizione della famiglia Warren nella cui dimora la giovane donna presta servizio, e nelle dinamiche con cui interagiscono fra loro, ma nel complesso la storia è la medesima: in una notte da tregenda, in cui piove a dirotto, mentre si sa che l’assassino è nei paraggi, Helen rimane man mano sempre più sola nella villa (chi si allontana per un litigio, chi va in cerca dell’ossigeno necessario all’anziana inferma che giace nella Camera Blu, chi si ubriaca, chi prende troppo sonnifero…) finché alla fine chiaro che Helen non ha nessuno in grado di difenderla dal maniaco penetrato nella grande casa. Come si dice spesso, “è meglio il libro”: per quanto si tratti di un giallo d’altri tempi, il romanzo è un thriller assolutamente coinvolgente e alcuni personaggi (la vecchia moribonda, l’infermiera bisbetica che Helen sospetta di essere un uomo) sono decisamente inquietanti. Ho una parziale scusa (tirata per i capelli) anche per aver sospettato che “La scala a chiocciola” fosse un film di Hitchcock. Eccola: Ethel Line White è autrice di altri romanzi di successo, tra cui “Il mistero della signora scomparsa” (The Wheel Spins, del 1936), da cui proprio Alfred Hitchcock trasse, nel 1938, il film “La signora scompare” (The Lady Vanishes).

sabato 4 novembre 2023

LA SCALA A CHIOCCIOLA

 

 
Mary Roberts Rinehart
LA SCALA A CHIOCCIOLA
Corriere della Sera – Polillo Editore
Brossurato, 2008
280 pagine, 6.90 euro

L’americana Mary Roberts Rinehart (1876-1958) è stata una delle più prolifiche autrici di gialli della storia. Esordì nel 1903, quando aveva 27 anni spinta a scrivere dall’estremo bisogno di guadagnare denaro per risollevare le sorti della propria famiglia, disastrata economicamente da investimenti azionari sbagliati. Il primo racconto, acquistato dalla rivista “Munsey’s”, le fruttò 34 dollari. Nel giro di pochi mesi, Mary riuscì a vedere una cinquantina di testi, guadagnando quasi duemila dollari e l’adorazione di una folta schiera di lettori. Perciò le fu chiesto di passare dai racconti ai romanzi, il primo dei quali fu il celebre “L’uomo della cuccetta n° 10” (1907). “La scala a chiocciola (1908) fu il secondo. In quasi mezzo secolo di attività, la Rinehart scrisse oltre quaranta romanzi, centinaia di racconti, commedie, poesie e articoli (persino come corrispondente di guerra in Europa). I gialli dell’autrice non sono quasi mai polizieschi veri e propri, e di certo non lo è “La scala a chiocciola”, dove le indagini della polizia, che pure vengono effettuate dopo un omicidio avvenuto in una villa di campagna da poco data in affitto per l’estate a una anziana signora cittadina desiderosa di fresco, restano sullo sfondo. E’ proprio Rachel, l’affittuaria, a raccontare la vicenda in prima persona: quasi sempre i romanzi della Rinehart hanno infatti protagoniste femminili. Non polizieschi in senso stretto, dunque, ma “mistery”, tracciando la strada che poi avrebbe seguito, a modo suo, anche John Dickson Carr. Storie in cui si descrivono ambienti, mentalità e costumi della società del tempo, in cui hanno un ruolo anche sottotrame amorose e dove non manca un certo senso dell’humor nella descrizione dei personaggi (deliziosi, per esempio, ne “La scala a chiocciola”, i siparietti tra Rachel e la sua domestica Liddy). La trama di “The circular straircase” è intricata, movimentata, affollata di personaggi, e i colpi di scena si susseguono: ogni capitolo si interrompe appunto nel momento esatto in cui se ne è verificato uno. “Astuta ideatrice di trame”, è del resto stata definita l’autrice dal critico inglese H.R.Keating. I misteri che si intrecciano a Sunnyside (questo il nome della tenuta che fa da perfetto e pressoché unico set del romanzo) coinvolgono due nipoti dell’anziana narratrice, Halsey e Gertrude, la ragazza e il giovane di cui sono rispettivamente innamorati (ma si tratta di amori contrastati e problematici), la famiglia Armstrong proprietaria della villa, i domestici, un paio di medici del luogo, i frequentatori di un vicino golf club. Alla base di tutto c’è l’improvviso crack di una banca, e una stanza segreta celata proprio a Sunnyside dove qualcuno ha nascosto il bottino sottratto. Niente di particolarmente stupefacente, ma la lettura è gradevole. Per dirla tutta: molto meglio, quanto a suspense, il film dallo stesso titolo “La scala a chiocciola”, del 1946, diretto da Robert Siodmak, tratto dal romanzo "Some Must Watch" di Ethel Lina White (1933), che ovviamente non c’entra nulla con l’opera di Mary Roberts Rinehart.

martedì 31 ottobre 2023

HOLLY

 



Stephen King
HOLLY
Sperling & Kupfer
cartonato, 2023
520 pagine, 21.90 euro


Certo che Stephen King si è proprio innamorato della sua eroina Holly Gibney. Del resto lui stesso lo scrive nella sua “Nota dell’autore” in appendice al romanzo: “Ho voluto bene a Holly sin dall’inizio, e desideravo con tutto me stesso tornare a stare in sua compagnia”. E pensare che la Gibney era apparsa soltanto come personaggio secondario in “Mr. Mercedes” e nei successivi due volumi della trilogia. Successivamente, Holly fa altre due apparizioni, in “The Ousider” (2018) e in “Se scorre il sangue” (2020). E’ il caso di ripercorrere un po’ la sua, diciamo così, carriera. Cominciamo appunto con “Mr. Mercedes” (2014), in cui imperversa uno psicopatico, Brady Hartsfield, sulle cui tracce si mette l’anziano poliziotto in pensione Bill Hodges. Costui (un altro grande personaggio kinghiano), nel corso delle sue indagini, finisce per intessere una relazione sentimentale con Janelle Patterson, sorella di una delle vittime del serial killer. Ecco, Holly è la cugina di costei, che acquista maggior rilievo nel romanzo quando proprio Janelle viene uccisa dal pazzo. Si viene a formare così una squadra composta da Hodges, Holly, Pete Huntley (un ex collega di Bill) e Jerome Robinson, un ragazzo di colore che viene coinvolto solo perché, impegnato in piccoli lavori per Hodges (tipo rasargli il prato) finisce per dargli una mano in missioni sempre più impegnative e pericolose. Holly Gibney si occupa soprattutto nelle ricerche informatiche. Ad aiutare il gruppo c’è anche Isabelle Jaynes, una poliziotta intraprendente, che tornerà anche in altri romanzi, compreso “Holly”. Alla fine, Hartsfield finisce in coma e la Bill fonda l’agenzia di investigazioni private battezzata “Finders Keepers”. La sua squadra torna sulla scena con “Chi perde paga” (2016), sostanzialmente una specie di caccia al tesoro alla ricerca dei taccuini di un famoso romanziere, su cui era stata scritta la parte conclusiva, ancora inedita, di una saga letteraria di grande successo. Il collegamento con “Mr. Mercedes” non consiste soltanto nelle indagini della “Finders Keepers”, ma anche nel fatto che uno dei personaggi è il figlio di una delle vittime di Hartsfield, il quale resta sullo sfondo a dormire in ospedale in stato di coma. Ed eccoci al terzo titolo della trilogia, "Fine turno” (2016): qui, il serial killer si risveglia dal coma, scoprendosi dotato di poteri paranormali per colpa degli esperimenti che un medico, all’insaputa di tutti, ha condotto su di lui. Con l’aiuto di Holly, Bill Hodges, risolve definitivamente il caso ma, già malato di cancro al pancreas, muore. In un successivo romanzo, l’orrorifico “The Outsider”, Holly Gibney è la co-protagonista con il detective Ralph Anderson delle indagini su una sorta di creatura mutaforma che si nutre del dolore degli altri. La caccia a un’altra delle medesime creature, che ha preso l’aspetto di un giornalista televisivo sempre il primo ad arrivare sui luoghi delle disgrazie, è l’argomento di “Se scorre il sangue”, dove Holly è finalmente protagonista assoluta. Nel corso di tutte queste apparizioni, Stephen King ha costruito tutto un microcosmo attorno alla sua eroina, che potrebbe forse venire più efficacemente definita anti-eroina, visto che non è addestrata a combattere, è ipocondriaca, ha un rapporto conflittuale con la madre Charlotte, è insicura circa le proprie doti, si sente orfana di Bill Hodgson, non ha l’aspetto di una top model, appare quasi dimessa, fragile. King la descrive piena di piccole manie, afflitta da un complesso di inferiorità, ligia alle regole e meticolosa, attenta, dotata di grande memoria e di capacità di osservazione, oltre a essere una specie di piccola maga del computer. In “Holly” la squadra della “Finders Keepers” è ridotta soltanto a lei e a Pete, soci alla pari, ma Pete è finito in ospedale per Covid (lo stesso Covid che uccide Charlotte all’inizio della storia), Jerome si trova in viaggio per gran parte del tempo convocato da un editore che vuol pubblicare un suo romanzo, e quindi la Gibney deve fare quasi tutto da sola. La morte della madre e ciò che inaspettatamente lascia in eredità alla figlia, costituisce una sottotrama al pari del rapporto che si crea fra Barbara Robinson (sorella di Jerome) e una centenaria poetessa (a dimostrazione di quanto a King piaccia approfondire le vite dei suoi personaggi, a costo a volte i perderci perfino troppo tempo, come segnala lui stesso nella “Nota dell’autore” riferendo di essere tenuto a bada dal proprio editor). Non ci sono elementi soprannaturali nel romanzo “Holly”, che risulta, tutto sommato, un thriller, forse un noir con venature horror. Un thriller di quelli che acchiappano già dalle prime pagine e poi non lasciano più il lettore. I “cattivi” si rivelano subito agli occhi del lettore, che si chiede però, pagina dopo pagina, come farà Holly a giungere fino a loro, dato che si nascondono dietro l’aspetto delle più insospettabili e indifese delle persone: due novantenni, marito e moglie, convinti che nutrirsi di carne umana possa prolungare la loro vita (in accordo, con leggende e tradizioni diffuse da secoli e per secoli). La detective, che vorrebbe prendersi una pausa dopo la morte della madre asfissiante e castrante, si convince invece, ad accettare una indagine sulla scomparsa di una ragazza, svanita nel nulla da alcuni giorni. Comincia così una serrata serie di scoperte colpi di scena ed eventi. Una lettura intrigante, una scrittura magistrale, una narrazione attraversata peraltro dall’imperversare del Covid, dei no vax e dai simpatizzanti di Trump. King, le cui idee in merito sono più che note, non si fa alfiere di una narrazione ideologica ma si limita a presentare personaggi da atteggiamenti omofobi, razzisti e antiscientifici e altri di segno opposto, caratterizzandoli semplicemente con efficaci dialoghi. Del resto, Holly non si addentra mai in nessuna discussione con chi non la pensa come lei, ne prende atto e basta. “Credo che la narrativa sia credibile al massimo grado quando coesiste con eventi, individui, perfino nomi di prodotti che appartengono alla vita reale”, scrive l’autore in fondo al romanzo. E continua: “La madre di Holly è morta di Covid, e la stessa Holly soffre di una lieve forma di ipocondria. Mi è sembrato naturale che avesse delle opinioni molto nette sul Covid e che prendesse tutte le precauzioni del caso. E’ vero che le mie opinioni sull’argomento coincidono con le sue, ma mi piace pensare che, se avessi scelto un personaggio contrario ai vaccini come protagonista o almeno come coprotagonista, avrei presentato in modo corretto le sue idee”. Unica nota negativa: se i due vecchietti assassini sono del tutto credibili, molto meno plausibile che ai due fratelli Robinson, Barbara e Jerome, riesca di pubblicare nello stesso momento un libro di poesie e un romanzo.