domenica 15 settembre 2024

TRADITORI DI TUTTI



 
Giorgio Scerbanenco
TRADITORI DI TUTTI
Garzanti
2014, brossurato
230 pagine, 8.90 euro

Di Giorgio Scerbanenco (1911-1969) e del suo Duca Lamberti (protagonista di quattro romanzi pubblicati tra il 1966 e il 1969) abbiamo già parlato quando ci siamo occupati di “Venere privata”, il primo titolo della serie. Per leggerne la recensione e quanto serve per inquadrare l’autore e il personaggio, basta cliccare qui.
“Traditori di tutti” è la seconda indagine di Duca Lamberti, uscita (come la precedente) nel 1966. Conviene, prima di approfondire alcuni aspetti, aggiustare un poco il tiro riguardo a quando ho scritto introducendo la prima inchiesta. Ho parlato infatti di una similitudine fra Georges Simenon e Giorgio Scerbanenco, elencando i punti di contatto tra i due scrittori e i loro romanzi: calati nella realtà, attenti alla psicologia dei personaggi e a capirne il disagio, pronti a bazzicare i bassifondi e provare empatia verso le vittime di un contesto sociale degradato, grande capacità di scrittura e di affabulazione. Ma ci sono anche diversità, inevitabilmente: Scerbanenco descrive una Milano da due milioni di abitanti, metropoli internazionale e non più città di provincia, crocevia di traffici illeciti di ogni genere, e Duca Lamberti è un duro, molto più duro di Maigret, che pure non scherza. Per di più, Lamberti non è un poliziotto e può agire al di fuori della Legge che, secondo lui, è troppo indulgente. Scerbanenco è uomo del suo tempo e non ci si può aspettare il rispetto della mistica del politicamente corretto. L’interrogatorio di Duca Lamberti al gestore del ristorante “La Binaschina” lascia a bocca aperta (si potrebbe contestare il metodo, ma il risultato è stupefacente). Scerbanenco già ametà anni Sessanta apre la strada all'hard boiled italiano (ma non “all’italiana”).
Oltre a indagare su tre duplici delitti avvenuti con le stesse modalità (le vittime sono annegati chiusi in auto affondate nel Naviglio), Duca Lamberti affronta gli accadimenti della sua vita privata, a partire dal suo senso di colpa per ciò che è accaduto a Livia Ussaro, la donna che ama, fino alla possibilità che gli viene offerta di venire reintegrato nell’Ordine dei medici se firma una dichiarazione in cui prende le distanze dall’eutanasia da lui compiuta per aiutare una paziente terminale a morire (lui risponde copiando l’abiura di Galileo Galilei). Il coinvolgimento dell’ex medico nella vicenda avviene in seguito alla richiesta di praticare una imenoplastica per ripristinare una verginità perduta, pretesa dal fidanzato della procace Giovanna Marelli, ma nel complicato intreccio di personaggi (alcuni ricorrenti, come il commissario Carrua e l’agente Mascaranti, o la sorella Lorenza e la nipotina Sara) si affrontano temi diversi, come il traffico di armi, il terrorismo altoatesino, le relazioni malate, gli psicopatici, i crimini di guerra e la lotta partigiana. Nel turbinare di situazioni, però, sembra esserci una sola certezza: tutti tradiscono tutti, come dice il titolo. Non tradisce, però, lo scrittore: il lettore se ne può fidare, a patto che non si attenda in lieto fine. Almeno, non quello a tarallucci e vino.


sabato 14 settembre 2024

VENERE PRIVATA

 

 
Giorgio Scerbanenco
VENERE PRIVATA
Garzanti
2014, brossurato
250 pagine, 8.90 euro

Concludendo la lettura di “Venere privata” di Giorgio Scerbanenco mi è venuto immediato un paragone con Georges Simenon. La Milano di Duca Lamberti (l’investigatore sui generis scerbanenchiano) è osservata con occhi simili alla Parigi di Maigret, con attenzione alla reale topografia, ai nomi dei quartieri e delle strade, e le indagini sono condotte tra gente vera, descritta nelle miserie e nelle debolezze al di là delle differenze sociali. E poi ci sono l’alcol, il fumo, la prostituzione, la pornografia, le nevrosi, la polvere, il sudore, le stanze d’albergo e gli appartamenti. C’è la malavita, organizzata e non, c’è la quotidianità di una città calata nel tempo (per Scerbanenco, gli anni Sessanta). C’è una centrale di polizia che non è nel Quai des Orfèvres ma in via Fatebenefratelli, e ci sono i poliziotti ricorrenti e riconoscibili per tratti caratteriali diversi fra loro. C’è un personaggio carismatico burbero e taciturno, Duca Lamberti, in realtà parecchio più problematico di Julius Maigret e con una concezione un po’ particolare della giustizia, ma al pari del francese con le idee chiare su come affrontare le situazioni e gli interrogatori, su come leggere nella testa degli interlocutori al di là di ciò che dicono le apparenze o di ciò che essi vogliono dare a bere. Due grandi scrittori, Simenon e Scerbanenco, peraltro contemporanei, e altrettanto versatili e prolifici. Peccato che la saga di Duca Lamberti conti appena quattro romanzi contro i settantacinque di Maigret. Per fortuna c'è molto altro e il consiglio è di leggere quanto più Scerbanenco possibile, iniziando magari proprio da “Venere privata”. Lo scrittore milanese (ma solo d’adozione) è in realtà nato a Kiev nel 1911 (quando c’era ancora lo zar) da padre ucraino e da madre italiana. Dopo la rivoluzione, il padre venne ucciso (come molti insegnanti) dai bolscevichi e la madre tornò a Roma, sua città di origine, attraverso un rocambolesco rimpatrio via Odessa e Istanbul, portandosi dietro il figlio. Lo racconta lo stesso scrittore in un suo brillante articolo autobiografico che Garzanti pubblica in appendice al romanzo: “Io, Vladimir Scerbanenko”. Non ancora ventenne, dopo aver italianizzato il suo nome, Scerbanenco si trasferisce a Milano, dove non ha vita facile, sia per le condizioni economiche famigliari sia per lo stato di salute (viene ricoverato a lungo in sanatorio). Poi, le cose cambiano: comincia a scrivere racconti, novelle e romanzi (dei generi più disparati: western, rosa, fantascienza, poliziesco), a collaborare con riviste e Case editrici. Dal 1939 inizia a curare per “Grazia” la rubrica “La posta del cuore”: sono le migliaia di lettere che riceve a fornirgli la grande conoscenza (dimostrata poi dai suoi scritti) di ciò che vortica negli animi delle persone. A differenza di Simenon, vissuto ottantasei anni, Scerbanenco scompare prematuramente nel 1969.  “Venere privata” è del 1966. All’inizio del romanzo, Duca Lamberti è appena uscito di prigione, dove ha scontato tre anni di reclusione. E’ anche stato radiato dall’albo dei medici, per lo stesso motivo che gli è costata la condanna: ha aiutato una paziente terminale a morire, praticandole una eutanasia. Si trova dunque nella condizione di dover ricominciare la vita da capo, avendo anche una sorella ragazza madre, Lorenza, da aiutare a mantenersi. Essendo figlio di un poliziotto (morto) di cui tutti, in via Fatebenefratelli, conservano stima e ricordo, può contare sull’amicizia del commissario Càrrua. L'ex medico accetta un incarico da un ricco imprenditore, che lo assume perché aiuti suo figlio, Davide Auseri, a uscire dalla dipendenza dall’alcol. Duca si rende conto che c’è qualcosa che spinge il giovane a bere: Davide si sente responsabile del suicidio di una ragazza, Alberta Radelli, avvenuto un anno prima. Della faccenda Davide non intende parlare, ma Lamberti lo spinge, con sapienza psicologica, a confidarsi. Duca ottiene dai suoi amici poliziotti maggiori informazioni sul caso, e scopre che non si tratta affatto di suicidio. Non solo: Alberta non è l’unica vittima. Salta fuori una torbida storia di sfruttamento della prostituzione. A risolvere il caso contribuisce in maniera fondamentale Livia Ussaro, una giovane donna bella, intraprendente e spigliata, con cui Lamberti sembra sul punto di iniziare una storia d’amore, ma che lui convince a prestarsi a essere usata come esca. Chissà se il nome di Livia dato da Camilleri alla fidanzata del suo Montalbano non derivi proprio dalla Ussaro scerbanenchiana, dato che anche la Livia di Duca Lamberti diviene una figura ricorrente nei successivi romanzi. “Venere privata” non ha però un lieto fine: gli assassini di Alberta pagano le loro colpe, ma ci sono risvolti tragici per l’ex-medico e la donna che ama pur dandole ancora del “lei”. Forse in questa disperazione di fondo c’è, in effetti, una delle più evidenti differenze fra Scerbanenco e Simenon.



venerdì 13 settembre 2024

TORNO A PRENDERTI

 

 
Stephen King
TORNO A PRENDERTI
Pickwick
2013, brossurato
108 pagine, 8.90 euro

Potrebbe sembrare strano che un romanzo di Stephen King sia lungo soltanto poco più di cento pagine. Di solito il Re quando scrive è un fiume in piena. Naturalmente c’è una spiegazione. “Torno a prenderti” non è esattamente un romanzo. E’ un racconto. Come racconto, in effetti, è piuttosto lungo, e tutto torna. E’ un racconto datato luglio 2007, pubblicato originariamente con il titolo “The Gingerbread Girl” sulla rivista statunitense “Esquire” e, prima dell’edizione Pickwick che sto recensendo, era già apparso in traduzione italiana (di Tullio Dobner, particolare che parlando di King non andrebbe mai omesso, almeno secondo i fedeli lettori) prima in appendice al romanzo “Blaze” (2007) a costituire una sorta di trailer per una successiva antologia, poi appunto nella raccolta “Al crepuscolo” (2008), entrambi targati Sperling & Kupfer. Nel 2013 ecco una insolita riproposta in “solitaria”, come un 45 giri estratto da un 33. Riproposta che funziona perché cento pagine si leggono agilmente e perché il racconto è adatto anche per un pubblico non particolarmente interessato all’horror o al fantastico. Non c’è magia, non ci sono streghe, non ci sono fantasmi, non ci sono mostri. O meglio, di mostri ce n’è uno ma è un uomo (cosa che magari terrorizza ancora di più, perché le streghe e i fantasmi non esistono, gli uomini sì). Inoltre la protagonista, Emily, è una giovane donna con cui è facile empatizzare. Ha perso una figlia ancora piccolissima, il trauma ha mandato a pezzi il suo matrimonio, la valvola di sfogo in cui si rifugia è la corsa, disperata, quotidiana, prima lungo le strade attorno a casa, poi in altre che la portano sempre più lontano, finché a casa non torna più. Fugge e si trasferisce nella villetta al mare che suo padre non usa più, su un’isola quasi disabitata durante l’inverno, in cerca di ritrovare una nuova ragione di vita. L’isola, però, non è abbastanza disabitata. O almeno, anche qualcun altro la usa per nascondersi dal mondo. Emily rischia la pelle, e King ci coinvolge nella lotta per sopravvivere della sua gingerbread girl, fino a un finale adrenalinico che fa tirare un sospiro di sollievo. Perché Emily si merita di vivere, come noi lettori siamo tutti d’accordo, e capiamo con lei che la vita stessa è una ragione di vita.