venerdì 13 giugno 2025

LE CONFESSIONI DI UN PECCATORE ELETTO

 

 
James Hogg
LE CONFESSIONI DI UN PECCATORE ELETTO
Alcatraz
2025, brossurato
326 pagine, 18 euro

Faccio subito mie le parole con cui Steve Sylvester inizia la sua postfazione: “Il primo a parlarmi di James Hogg fu… James Hogg. No, non il fantasma dello scrittore scozzese del Settecento, ma il suo omonimo discendente, un artista, mio caro amico. Oltre a condividere la passione per i fumetti e la musica rock, io e James abbiamo più volte collaborato nella stesura di testi di canzoni e fu proprio durante una di queste sessioni che mi parlò del suo avo.  La cosa intrigante è che i due non solo condividono lo stesso nome, ma confrontando i pochi ritratti esistenti del celebre antenato si assomigliano anche moltissimo. Ci sono tutti gli elementi per elaborare una trama da gothic novel sulla reincarnazione”. 
Lo stesso è accaduto a me: James Hogg, quello di oggi, è mio sodale da molti anni nella realizzazione di vignette umoristiche (tra cui quattro serie da portare avanti mensilmente per altrettante diverse pubblicazioni) di cui io scrivo i testi che lui illustra dimostrando un portentoso talento umoristico. Frequentandoci, mi ha invitato a consultare Wikipedia e scoprire cosa viene fuori digitando il suo nome. Detto fatto. Scopro così che James Hogg (1770-1835) è stato un poeta e scrittore scozzese. Non frequentò scuole e visse la sua giovinezza in povertà facendo il pastore (proprionel senso di guardiano di pecore), finché il suo datore di lavoro, notando gli sforzi di James per migliorare la propria condizione, lo aiutò a procurarsi dei libri e dopo che lo ebbe visto, da perfetto autodidatta, comporre poesie, lo presentò a Walter Scott, il celebre autore di “Ivanhoe”, che diventò suo amico e mentore. Nel 1801 Hogg pubblica la sua prima raccolta di versi, “Scottish Pastoral”. Dieci anni dopo, lo troviamo trasferito a Edimburgo: fonda riviste e diventa una presenza fissa nei circoli letterari della capitale scozzese, dove comunque le sue origini sono spesso oggetto di derisione.  Lo studioso James Barcus spiega: “Quel pastore era visto come un uomo dal talento potente e originale, ritenuto un genio, ma taluni pensavano che la carenza di una vera e propria educazione formale influisse in maniera negativa sul suo lavoro, ritenuto povero di tatto, cosa che lo aveva portato a parlare, nei suoi scritti, di argomenti ben poco accettabili nella buona società, come ad esempio la prostituzione”. La propensione del James Hogg settecentesco per i temi scabrosi, l’iconoclastia, la satira sociale pare giunta, per ereditarietà genetica, al pronipote novecentesco, che invece di scrivere poesie compone testi di canzoni e anziché pubblicare romanzi satireggia e anticlericaleggia attraverso le sue vignette, molte delle quali ospitate sul “Vernacoliere”. 
Il romanzo più celebre dell’Hogg scozzese è “Le confessioni di un peccatore eletto”, pubblicato nel 1824. Un recensore dell’epoca commenta: “L’impressione che questo libro ha lasciato nelle nostre menti è così spiacevole che vorremmo tanto non averlo letto”.  In anticipo sui tempi com’era, dell’opera di Hogg non si coglieva, da parte dei contemporanei, la valenza satirica e la denuncia degli estremi a cui può portare il fanatismo religioso e settario. Non solo: lo scrittore affrontava temi che altri, anni dopo, avrebbero cavalcato con successo, come quello del Doppelgänger, o del “doppio”. E’ facile riconoscere, con i nostri occhi di lettori di molto tempo dopo, l’anticipazione de “Lo strano caso del dottor Jekyll e di mister Hyde” (1886). Si può parlare de “Le confessioni di un peccatore eletto” anche come di uno dei primi romanzi gotici, un genere iniziato nel 1764 da Horace Walpole con “Il castello di Otranto” e che prevede storie in cui si mescolano pulsioni romantiche, soprannaturale e orrore. Tutti elementi che in effetti si ritrovano in Hogg e nel suo racconto di un giovane uomo, Robert Wringhim, educato da un padre fanatico religioso, a cui appare una figura diabolica, ingannatrice e mutaforma, nota come Gil-Martin, che vede soltanto lui. L’incontro avviene dopo che Robert si è convinto che egli è uno degli Eletti, un gruppo di persone predestinato per la salvezza (si noti il riferimento al calvinismo). Salvezza che otterrà accettando la guida di Gil-Martin, il quale, in una spirale di delirio e di follia, lo spinge a compiere omicidi per liberare il mondo dai peccatori, primi fra tutti il proprio padre e suo fratello. Il romanzo, edito da Alcatraz, reca una interessante prefazione di Max Baroni e si fregia di alcune illustrazioni di, indovinate un po’, James Hogg. Quello di oggi, beninteso.


giovedì 12 giugno 2025

BIBBIA RIDENS

 
 
 

 
 
Roberto Beretta
Elisabetta Broli
BIBBIA RIDENS
Piemme
2005, brossurato
152 pagine, 10 euro

Ho sempre sostenuto che il proverbio “scherza sui fanti e lascia stare i santi” non sia del tutto fondato, perché, secondo me, la maggior parte dei santi sono (in quanto saggi e illuminati) più spiritosi della maggior parte dei loro devoti. I martiri, poi, figuriamoci se non sanno accettare una battuta dopo aver sopportato il martirio. E poi, la verità è che l’umorismo è la cura e non la malattia. Non di rado la burla rivela la verità, o una delle tante, e infatti, come si sa, Arlecchino si confessò burlando. E per finire, a mettere paletti su ciò su cui si può scherzare si comincia dai santi e non si sa dove si finisce. La censura è sempre una sconfitta. Senza dubbio ci sono suscettibilità diverse, ma quella dei faceti dovrebbe valere quanto quella dei seriosi. Altrimenti i permalosi fanno le stragi nelle redazioni dei giornali umoristici, e invece di rispondere a una vignetta satirica con impugnando anche loro i pennarelli lo fanno imbracciando il mitra. Mi rendo conto di averla fatta troppo lunga, soprattutto per arrivare a parlare di un libro assolutamente innocuo come “Bibbia ridens”. Però, come autore dei testi di una serie pubblicata ogni mese sul “Vernacoliere” intitolata “La Bibbia secondo Burattini & Jogg” mi sento di parlare come Cicero pro domo mea. Per carità, assicuro che io e James Hogg siamo, o cerchiamo di essere, tutto fuorché blasfemi e ci concediamo solo spiritosaggini del tipo che Gesù bambino si allena ai miracoli moltiplicando i pesci rossi nella boccia di vetro o che Eva si fa una borsetta di pelle di serpente non resistendo alla tentazione. “Bibbia ridens” (da cui per il “Vernacoliere” non ho copiato nessuna battuta, almeno che mi sia accorto) propone contenuti eterogenei tutto sommato piuttosto annacquati, tant’è vero che l’editore è Piemme e i due autori sono uno un giornalista di “Avvenire” e l’altra una studiosa di teologia. Roberto Beretta e Elisabetta Broli raccolgono aforismi, battute e barzellette (testi scritti) alternandoli con alcune vignette (disegnate) di Emanuele Fucecchi, anch’egli diplomato in scienze religiose. Si comincia con il livello alto di Marcello Marchesi che chiede: “Dio, dammi un assegno della tua presenza!”, per poi adagiarsi su arguzie quali “Cosa dice Adamo quando vuol fare l’amore con Eva? Sfogliati!”. Ma anche: Noè vede che sull’arca c’è un pesce da solo senza la compagna, è il pesce sega (divertente, ma ci si chiede se sull’arca ci fossero anche i pesci, forse solo quelli di acqua salata). Aforismi di autori illustri e battute folgoranti di autori ignoti sono la parte migliore del libro, meno brillanti le barzellette, alcune delle quali forzatamente adattate ai riferimenti biblici. Una fra le cose migliori, i tre motivi per sostenere che Gesù fosse in realtà un portoricano: 1) si chiamava Jesus; 2) aveva guai con la legge; 3) sua madre non era sicura di chi fosse suo padre. La migliore barzelletta in assoluto, è quella iniziale sui due amici al bar: “Ieri sera ho visto in TV un bellissimo film: ‘La Bibbia’”, dice uno, e aggiunge: “Non sai se per caso è già uscito il libro?”.



 

martedì 10 giugno 2025

SOLO BAGAGLIO A MANO

 

 
Gabriele Romagnoli
SOLO BAGAGLIO A MANO
Feltrinelli
2017, brossurato
90 pagine, 9 euro

Più che leggere il libro (peraltro molto breve) sembra di ascoltare una conferenza, quella di un viaggiatore che ha viaggiato in 75 paesi di quattro continenti e vissuto in otto diverse città del mondo. Una conferenza sicuramente affascinante ma certamente non un saggio di psicologia basato su studi clinici o un manuale strutturato lungo un percorso compiuto. Il giornalista Gabriele Romagnoli (1960) salta di palo in frasca incuriosendo i suoi lettori raccontando aneddoti, ricordando avvenimenti, citando letture. L’intento, esposto nel primo capitolo, è questo: “trarrò qui alcune conclusioni dai miei viaggi e traslochi dandone per certa una e basta: cercate di portare soltanto il bagaglio a mano”. Del resto, viene citato un proverbio napoletano secondo il quale “l’ultimo vestito è senza tasche”. Viaggiare leggeri è una scelta di vita che impone di decidere quali sono le cose davvero importanti, e quali inutili zavorra. Il grande viaggiatore è quello con il piccolo bagaglio. Il consiglio è quello di sfrondare e ridurre all’essenziale persino la rubrica dei numeri salvati sul telefonino. Un esempio del vantaggio del resettare, liberare spazio, non accumulare il superfluo è dato dall’incubo che rappresenta per tutti l’esperienza di un trasloco: “il peggior trauma dopo un lutto”. Un trauma liberatorio, perché fa scoprire la quantità di cose inutili da cui siamo appesantiti. Possedere significa in realtà essere posseduti. Accumulare, secondo l’autore, è una malattia socialmente pericolosa. Persino riguardo ai ricordi: ricordare tutto fa male. A un certo punto Romagnoli arriva a paragonare il vantaggio dell’essere “maneggevole e veloce” alla necessità di rappresentare un bersaglio mobile sotto il tiro dei cecchini. Chi è più lento viene ucciso. Conta che nessuno e niente ci ancori. “Perché accettare situazioni o rapporti che ti impongono di essere ciò che non sei? Di un oggetto di valore, facile da reimmettere sul mercato, si dice: è un assegno circolare. Circolare, muoversi, scambiare, cambiare. Ne hai il diritto. Oggi se questo, sei qui. Domani potresti voler provare a essere un altro e altrove. Portando con te chi conta e quel che conta. O facendoti portare da loro, giacché tu per primo non devi essere una zavorra”. Del bagaglio a mano, però, deve far parte quello che Romagnoli chiama “Piano B”. Qualcosa che prevede una via d’uscita in caso di necessità. Fin qui, ho cercato di riferire il senso di “Solo bagaglio a mano” riducendo la valigia rappresentata dalla dissertazione a un borsellino per gli spiccioli, però credo che potrei scrivere un pamphlet lungo, ovviamente, il doppio in difesa della consolazione rappresentata dagli oggetti, dalle abitudini, dalle persone, dai libri che ci somigliano e di cui perciò tanti di noi si circondano. E’ vero che l’ultimo vestito è senza tasche, ma che bello averne tante in tutti quelli precedenti, da riempire di sassi e legnetti, figurine e spaghi.