sabato 21 marzo 2020

IL POVERO PIERO





Achille Campanile
IL POVERO PIERO
Rizzoli
cartonato, 1973
276 pagine


Se volete farvi un regalo, leggete i libri di Achille Campanile, uno dei più grandi umoristi di tutti i tempi, per quanto mi riguarda il migliore tra gli italiani (poi ci sarebbe da discutere su Jerome, Wodehouse e Allen riguardo al resto del mondo). Di solito Campanile gioca sui tempi brevi, e non a caso il suo primo libro, risalente agli anni Venti, si intitola "Tragedie in due battute". Esilaranti sono i suoi racconti, come quelli contenuti in "Manuale di conversazione", "Vite degli uomini illustri" o ne "Gli asparagi e l'immortalità dell'anima", ma anche quando certi romanzi hanno uno sviluppo più lungo si compongono in genere di frammenti, scenette, divagazioni. In "Celestino e la famiglia Gentilissimi" trova una traccia (gli stratagemmi di un padrone di casa per sfrattare un ospite indesiderato) e la sviluppa in inesauribili variazioni su tema anche giocando sui vari generi letterari (il teatrale, l'epistolare, la cronaca giornalistica). Non di rado si gioca sull'assurdo, sul paradosso, sulle parole. "Il povero Piero", del 1973, è invece un romanzo con una trama che si sviluppa in modo apparentemente tradizionale, e che comincia addirittura in modo serio, quasi drammatico: un certo Piero D'Avenza, da tempo malato, muore nel suo letto di casa. Il fatto è che per sua precisa disposizione lasciata scritta, vuole che parenti e amici vengano informati del luttuoso evento solo a esequie avvenute. I famigliari stretti, presenti al momento del trapasso, iniziano quindi a industriarsi per organizzare il funerale senza farsene accorgere. Partono quindi tutta una serie di equivoci, visite improvvise, disavventure con tecnici della luce, che portano al disastro: una folla di persone si raduna attorno al morto, a dispetto del segreto che si voleva mantenere. A quel punto il povero Piero riapre gli occhi, e si trova circondato. E meno male che al suo funerale non voleva nessuno! Ci sarebbe da farne un film. Naturalmente la commedia messa in scena è un pretesto escogitato da Campanile per sfoggiare un garbatissimo humor nero e prendere in giro le convenzioni sociali, le ipocrisie, le frasi fatte legate al naturalissimo e comunissimo evento della dipartita, e non mancano, al di là delle risate, le riflessioni illuminanti.

Nessun commento:

Posta un commento