Georges Simenon
MAIGRET AL PICRATT’S
Adelphi
2001, brossurato
180 pagine, 10 euro
Colpiscono due particolarità, in questo trentaseiesimo romanzo della
saga del commissario Maigret, scritto da Georges Simenon nel 1950. La
prima, l’audacia (per i tempi) nelle descrizioni di situazioni e
personaggi dai risvolti legati al sesso, trattati comunque senza
morbosità e senza alcun moralismo. La seconda, l’altrettanta audacia
nell’affrontare senza remore il tema della tossicodipendenza.
A un certo punto, Maigret chiede a un omosessuale morfinomane perché
abbia cominciato a drogarsi, e la risposta è “non ne ho la minima idea”,
così come accadrebbe (ne sono convinto io, ma ne era convinto
evidentemente anche Simenon) nella realtà. Il personaggio di Arlette, la
spogliarellista di un
night-club di basso livello, il Picratt’s appunto, viene descritta fino
al punto di dire e ribadire che aveva il pube depilato, e fatta
risaltare nel talento a letto che anziché connotare una prostituta ne fa
spiccare l’aspetto ribelle di ragazza fuggita di casa per vivere
liberamente. Il locale notturno in cui si trova a lavorare, e dove si
intrecciano le vicende umane di ballerine, musicisti, gestori e figure
del sottobosco metropolitano come il Grillo (un nano tuttofare che
procura i clienti), non è mai dipinto, malgradi lo squallore, come un
ricettacolo del vizio ma come un teatrino di varia umanità, a cui
Maigret è estraneo ma a cui non guarda come un censore. Come al solito,
Simenon è abilissimo nel tratteggiare ambienti e figure, caratteri e
personalità, e l’indagine poliziesca, che pure è interessante da
seguire, non è che uno dei tanti aspetti della narrazione. Due le
vittime, Arlette e una vecchia contessa, un solo assassino che fino
all’ultimo appare inafferrabile anche per la mancanza di relazione fra
le donne uccise. Nel finale, Maigret agisce anche con la pistola in mano
e ha un guizzo felino prima di caricare con tutto il peso della sua
stazza.
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