domenica 17 marzo 2024

FIORI SOPRA L’INFERNO

 
Ilaria Tuti
FIORI SOPRA L’INFERNO
Tea
Brossurato, 2018
368 pagine, 12 euro

Leggere “Fiori sopra l’inferno”, in grave ritardo sul resto dell’umanità, mi ha fatto lo stesso effetto di quando ho letto “La verità su caso Harry Quebert”, di Joel Dicker. Vale a dire che quando un libro vende centinaia di migliaia di copie e viene tradotto con successo in mezzo mondo, non resta che leggerlo per non privarsi delle emozioni godute da tutti gli altri, soprattutto se i giudizi positivi sono unanimi e dovunque si levano gridolini di giubilo. Se poi però uno lo legge e rimane perplesso, ecco, la cosa non è piacevole perché ci si sente quelli sbagliati. Da parte mia, mi chiedo che cos’è che gli altri hanno capito e io invece non ci arrivo. Mi capitò così anche con il caso di Harry Quebert, e me ne dispiacque parecchio. Eppure, “Fiori sopra l’inferno” è diventata una serie TV, ho letto i complimenti di Donato Carrisi e tutta una serie di lusinghiere recensioni, in un programma alla radio si descriveva il commissario Teresa Battaglia come un personaggio memorabile. Ecco, non so come dirlo, ma a me Teresa Battaglia è sembrata profondamente antipatica dalla prima all’ultima pagina. Il modo arrogante e sgarbato in cui tratta tutti quelli che gli stanno attorno, soprattutto il giovane ispettore Massimo Marino, dà ai nervi e c’è da chiedersi com’è che venga tollerato. Vero è che, forse, proprio questo rende memorabile l’anziana poliziotta: una così non passa inosservata. Altrettanto vero che anche Maigret si può definire burbero (ma non ispira antipatia). Soprattutto vero è che Teresa Battaglia ha un passato difficile (un figlio perduto, un compagno violento) e un presente angosciante (coglie in se stessa, oltre i segni dell’età, i sintomi dell’Alzheimer). Inoltre, e questo va riconosciuto, si tratta di un personaggio fuori dagli stereotipi. “Fiori sopra l’inferno” è il primo romanzo di cui la Battaglia è protagonista e il successo ha imposto a Ilaria Tuti (1976) di dare il via a una serie, ma l’autrice ha scritto anche altro (da “Fiore di roccia” a “Come il vento cucito alla terra”, e persino un graphic novel). La Tuti è friulana (di Gemona) e, come lei stessa spiega nella nota conclusiva, “Fiori sopra l’inferno” affonda le radici nei paesaggi della sua terra: “In questo senso, nulla è stato inventato. Travenì, con la sua foresta millenaria, l’orrido, le miniere, i laghi alpini e le vette da vertigine, esiste davvero, sotto altro nome”. Certamente lo scenario del Friuli e le descrizioni della gente difficile di Travenì sono un punto di forza del romanzo. Quel che non convince, come non convince in Joel Dicker, è la forzatura di una storia che si vorrebbe realistica a spiegazioni che, pur inquietanti e insolite, non convincono il lettore più scettico, nonostante tutto si basi sulle conseguenze di disumani esperimenti scientifici realmente condotti su un gruppo di bambini, negli anni Quaranta, da uno psicanalista austriaco, René Spitz. Impossibile, naturalmente, entrare troppo nei dettagli senza fare dello spoiler, tuttavia si sa che il lettore deve giungere alla suspension of disbelief, o sospensione dell’incredulità, e io, che pure sono sempre disposto (anzi, non chiedo di meglio) a calarmi nei romanzi, questa volta non ci sono riuscito. Non ho mai creduto che dei bambini parlino e si comportino come i ragazzini di cui racconta la Tuti, non sono riuscito a convincermi che il serial killer a cui si dà la caccia possa avere le caratteristiche e le origini che gli vengono attribuite, non ho provato empatia nei confronti di nessun personaggio, men che mai di Teresa Battaglia. Mi sono sembrate strane e sconclusionate anche le tecniche investigative o l’aspetto da “police procedural” del romanzo. Non ho la minima idea, naturalmente, se al Quai des Orfèvres le indagini venivano condotte davvero come le svolgeva Maigret, ma ci ho sempre creduto. Non ho difficoltà neppure nel credere al pagliaccio di “It” o al Randall Flag de “L’ombra dello scorpione”, perché Stephen King mi irretisce. Ecco, purtroppo Ilaria Tuti no. Sono rimasto perplesso anche di fronte alla prosa. Non che mi aspetti che tutti siano Sciascia o Simenon, però sentite l’incipit: “C’era una leggenda che gravava su quel posto. Una di quelle che si appiccicano ai luoghi come un odore persistente. Si diceva che in autunno inoltrato, prima che le piogge si tramutassero in beve, il lago alpino esalasse respiri sinistri”. Mi si scusi se non capisco, ma qual è la leggenda? E’ una leggenda che in autunno un lago esali “respiri sinistri”? Lo sarebbe se fossero i respiri di un mostro che a qualcuno capita talvolta di incontrare, ma non se ne fa cenno. L’impressione è che la prosa sia ridondante e cerchi un effetto senza sostanza. Eppure, nel gruppo di lettura che frequento, in cui sono l’unico uomo, si è discusso di “Come vento cucito alla terra”, romanzo di ambientazione storica nella Londra ai tempi della Prima Guerra Mondiale (mi ha ricordato “Un semplice caso di infedeltà” della scrittrice inglese Jacqueline Winspear, con protagonista l’investigatrice Maise Dobbs) e le lettrici se ne sono dette entusiaste (mi riprometto di leggerlo anch’io). Mi chiedo pertanto se possa esserci un approccio diverso, di genere, tra uomini e donne, di fronte a Teresa Battaglia, e dunque diverse le sensibilità e diversi i giudizi finali.


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