domenica 27 luglio 2025

LA LUNA DI CARTA



 
Andrea Camilleri
LA LUNA DI CARTA
Sellerio
2005, brossurato
280 pagine, 11 euro

“La luna di carta”, pubblicato nel 2005, è il nono romanzo della serie (che ne conta una trentina) dedicata dallo scrittore siciliano Andrea Camilleri (1925-2019) al suo fortunato personaggio del commissario Salvo Montalbano. Fortunato per il grande successo di pubblico in libreria, per le tante traduzioni in mezzo mondo, per i dati di ascolto della serie televisiva, perfino per l’omaggio fatto all’autore dalla Disney con la creazione del personaggio di Topalbano (Camilleri, peraltro, è stato anche sceneggiatore di fumetti, oltre che autore teatrale e televisivo). Fortunato, però, anche per l’invenzione del particolare linguaggio con cui vengono narrate le sue storie, una sorta di grammelot (come quello usato da Dario Fo) in versione sicula, in cui contano i suoni che comunicano il significato anche in mancanza di una corrispondenza lessicale sul dizionario, o come l’esperanto, una lingua inventata a tavolino partendo da parole esistenti forgiate e utilizzate in funzione della comprensione. Il gioco letterario di Camilleri funziona talmente bene che il lettore non siciliano si chiede se il narratore de “La luna di carta” stia effettivamente parlando la lingua che si sente a Palermo o a Catania, che miracolosamente risulta intellegibile al primo sguardo anche dai non nativi dell’isola, mentre poi, approfondendo la questione, si scopre che si tratta di “vigatese”, l’idioma di Vigata, la cittadina immaginaria (nell’altrettanto immaginaria provincia di Montelusa) inventata dallo scrittore per fare da sfondo alle inchieste di Montalbano (si dice che corrisponda a Porto Empedocle, di dove Camilleri è nativo). Una lingua, dunque, che non esiste, in cui la struttura della lingua italiana si mescola con termini di vari dialetti siciliani. L’autore spiega così la faccenda: “Si tratta di seguire il flusso di un suono, componendo una sorta di partitura che invece delle note adopera il suono delle parole. Per arrivare ad un impasto unico, dove non si riconosce più il lavoro strutturale che c'è dietro”. Nel primo romanzo con protagonista Montalbano, “La forma dell’acqua” (1994) il “vigatese” si limitava a poche frasi e parole, ne “La luna di carta”, undici anni dopo, invece imperversa. Di primo acchito la lettura può sembrare ostica, poi ci si abitua e la si apprezza. Cito come esempio il brano in cui Camilleri giustifica, tramite i ricordi del commissario, il titolo del romanzo: “Quann'era picciliddro, una volta sò patre, per babbiarlo gli aveva contato che la luna 'n cielu era fatta di carta. E lui, che aviva sempre fiducia in quello che il patre gli diciva, ci aviva criduto.”
Undici anni sembrano passati anche per Salvo, che durante questa inchiesta comincia a essere turbato dall’idea di invecchiare, segno che Camilleri intende far avvertire i segni del tempo al suo personaggio, come Simenon con Maigret (che a un certo punto va in pensione). Il paragone con Maigret sembra estendibile anche ad altre caratteristiche della serie. Innanzitutto il “metodo” investigativo, non deduttivo ma psicologico, attento alle sensazioni a pelle e agli ambienti sociali. Poi, lo svelamento del privato del protagonista, seguito a mangiare e bere con gusto, sotto la doccia e sul letto. Quindi, il teatrino di comprimari ricorrenti e ben caratterizzati (Agatino Catarella, centralinista del commissariato, è una autentica macchietta). Lo scontroso dottor Pasquano, che esegue le autopsie, sembra corrispondere al dottor Moers del romanzi di Simenon, e lo stesso si può dire del magistrato Tommaseo paragonabile al giudice Ernest Coméliau. Va ricordato, a questo proposito, come Camilleri sia stato il delegato di produzione RAI dell’adattamento televisivo delle inchieste del commissario Maigret (1964-1972), interpretato da Gino Cervi.
Ci sono alcune similitudini fra il primo romanzo di Montalbano, “La forma dell’acqua”, e questo “La luna di carta”. Innanzitutto, la trama alquanto (eufemismo per parecchio) torbida: addirittura, i due cadaveri su cui si indaga vengono ritrovati entrambi con i pantaloni abbassati e i genitali esposti agli sguardi. Poi (e qui si perdoni il piccolo spoiler) i colpevoli degli omicidi non finiscono in prigione ma muoiono prima di essere arrestati, e Montalbano avalla versioni addomesticate nei sui rapporti ufficiali. Quindi, colpisce la quantità di donne seducenti e disinibite sulle cui caratteristiche Camilleri si compiace di indugiare, con apprezzamenti che oggi potrebbero sembrare sessisti, mettendo di continuo Salvo in condizione di sudare freddo e deglutire di frequente, cercando di non cedere alla tentazione in quanto ritiene di dover essere fedele alla sua compagna lontana (vive a Genova), Livia Burlando, di cui si parla poco. Le due donne principali de “La luna di carta” sono Elena e Michela, rispettivamente l’amante e la sorella di Angelo Pardo, informatore farmaceutico ed ex medico radiato dall’Ordine per aver praticato un aborto clandestino (peraltro su una ragazza da lui stesso messa incinta, e sottoposta all’intervento dopo essere stata sedata a tradimento). Pardo viene trovato ucciso a casa sua con un colpo di pistola in fronte e con una mutandina femminile in bocca. L’indagine di Montalbano si intreccia con quella dei suoi colleghi che si occupano di un traffico di droga, peraltro tagliata male al punto da causare vittime illustri tra i notabili locali. La soluzione del giallo è sorprendente quanto basta, la lettura stimolante e divertente per il susseguirsi di situazioni, i dialoghi interessanti e brillanti. Mi sono dispiaciuto, però, per le reiterate riflessioni giustizialiste (eufemismo per forcaiole) del protagonista, che probabilmente esprime le opinioni dell’autore, mentre dovrebbero valere la presunzione di innocenza e il dubbio pro reo.


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