Alberto Becattini
Marco Ciardi
SHANGRI-LA
Carocci Editore
2025, brossura
142 pagine, 17 euro
“Il mito fra storia, arte e letteratura”, aggiunge il sottotitolo, inquadrando meglio l’argomento. Ma qualcosa in proposito ci dice anche il nome di uno dei due autori, quel Marco Ciardi (professore di Storia della Scienza presso l’Università di Firenze), che fra i tanti libri pubblicati ne annovera alcuni dedicati alla sterminata letteratura sulla mitologia atlantidea e altri sulla nascita di leggende quali quelle degli antichi astronauti e sulla vasta letteratura pseudoscientifica legata alla fantarcheologia, sempre tracciando precise ricostruzioni su come certe credenze siano nate e abbiano poi lasciato il segno nell’immaginario collettivo attraverso la letteratura, il cinema, i fumetti. Se nel caso di Atlantide il mito trae origine da racconti narrati fin dalla notte dei tempi e finiti negli scritti di Platone, lasciando il dubbio in qualcuno che qualche cosa di vero potesse esserci alla base, esaminando la vicenda di Shangri-La, invece, tutto dovrebbe essere molto chiaro: la città nascosta tra le montagne dell’Himalaya è stata immaginata da uno scrittore inglese James Hilton (1900-1954) in un romanzo del 1933 intitolato “Orizzonte perduto”. L’origine del mito potrebbe insomma essere paragonata a quella, altrettanto letteraria, della creatura di Frankenstein, dovuta alla penna di Mary Shelley nel 1818, argomento affrontato sempre da Marco Ciardi, con Pierluigi Gaspa, in un saggio intitolato “Frankenstein, il mito tra scienza e immaginario” (2018). Però, mentre del mostro della Shelley nessuno ha seriamente ipotizzato la reale esistenza, qualcuno ha invece sostenuto che Hilton abbia attinto a fonti reali e che Shangri-La potrebbe sorgere davvero là dove lo scrittore, documentatosi su libri di viaggiatori che hanno visitato il Tibet, ha indicato che si trovi. “Lost Horizon” è un romanzo che si inserisce nel fortunato filone dei “mondi perduti”, genere che vede tra i capostipiti il “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne (1864), “Le miniere di Re Salomone” di Henry Rider Haggard (1885) e “The Lost Word” di Arthur Conan Doyle (1912). Hilton immagina Shangri-La come una cittadella costruita, in una valle sconosciuta alle mappe ufficiali, attorno a un monastero tibetano, una vera e propria comunità utopica i cui abitanti sono dediti all’arte e alla filosofia e si sono dati il compito di preservare e tramandare le opere della cultura e della conoscenza della civiltà. Ci sono biblioteche, strumenti musicali, archivi di ogni tipo. Inoltre, a Shangri-La (il “La” significa “valico” e dunque segnala un passaggio tra il mondo reale e un universo parallelo) il tempo scorre più lentamente e non si invecchia, ma uscendone gli anni trascorsi fra nella valle incantata si recuperano tutti immediatamente. Il romanzo è ambientato nel 1931, e ha per protagonista un diplomatico inglese di nome Hugh Conway, il quale, insieme ad altri passeggeri di un aereo che sorvola l’Himalaya, viene coinvolto in un atterraggio di fortuna tra le nevi del Tibet, il cui impatto è abbastanza violento da provocare la morte del pilota. I naufraghi dell’aria, dopo aver disperato di salvarsi per le bufere e la temperatura estrema delle montagne tra cui sono finiti (privi anche di coordinate geografiche così come della possibilità di chiedere aiuto), vengono soccorsi dagli abitanti di Shangri-La che li accolgono nella loro città dotata di riscaldamento centralizzato e di tutti i comfort moderni, così come di terre fertili coltivate. Il romanzo, che risponde al desiderio universale di pace e alla speranza di progresso in anni difficili, ottiene un grande successo (non immediato ma a partire dall’edizione americana del 1934). Ciardi e Becattini raccontano poi con dovizia di particolari le traversie e le disavventure di Frank Capra nel realizzare il film “Orizzonte perduto”, uscito in una prima versione nel 1937, poi in una rielaborata nel 1942 e quindi in una più beve nel 1952. In ogni caso, l’adattamento cinematografico di Capra è solo il primo di una incredibile e lunghissima serie di film, radiodrammi, riduzioni teatrali e televisive, versioni a fumetti, composizioni musicali. Di ogni influenza lasciata nella cultura di massa da “Lost Horizon” nell’arte e nella fiction, Alberto Becattini (straordinario compilatore di bibliografie) dà conto da par suo, affiancando la disamina storico-letteraria fornita da Marco Ciardi (anche se è facile immaginare una sovrapposizione di ruoli tra i due). A me ha colpito molto scoprire come la residenza vacanziera del presidente americano Franklin Delano Roosevelt, tra i boschi del Maryland, fosse stata da lui battezzata proprio “Shangri-La”, e soltanto in seguito (e un po’ ci dispiace) abbia cambiato nome in “Camp David”.
Marco Ciardi
SHANGRI-LA
Carocci Editore
2025, brossura
142 pagine, 17 euro
“Il mito fra storia, arte e letteratura”, aggiunge il sottotitolo, inquadrando meglio l’argomento. Ma qualcosa in proposito ci dice anche il nome di uno dei due autori, quel Marco Ciardi (professore di Storia della Scienza presso l’Università di Firenze), che fra i tanti libri pubblicati ne annovera alcuni dedicati alla sterminata letteratura sulla mitologia atlantidea e altri sulla nascita di leggende quali quelle degli antichi astronauti e sulla vasta letteratura pseudoscientifica legata alla fantarcheologia, sempre tracciando precise ricostruzioni su come certe credenze siano nate e abbiano poi lasciato il segno nell’immaginario collettivo attraverso la letteratura, il cinema, i fumetti. Se nel caso di Atlantide il mito trae origine da racconti narrati fin dalla notte dei tempi e finiti negli scritti di Platone, lasciando il dubbio in qualcuno che qualche cosa di vero potesse esserci alla base, esaminando la vicenda di Shangri-La, invece, tutto dovrebbe essere molto chiaro: la città nascosta tra le montagne dell’Himalaya è stata immaginata da uno scrittore inglese James Hilton (1900-1954) in un romanzo del 1933 intitolato “Orizzonte perduto”. L’origine del mito potrebbe insomma essere paragonata a quella, altrettanto letteraria, della creatura di Frankenstein, dovuta alla penna di Mary Shelley nel 1818, argomento affrontato sempre da Marco Ciardi, con Pierluigi Gaspa, in un saggio intitolato “Frankenstein, il mito tra scienza e immaginario” (2018). Però, mentre del mostro della Shelley nessuno ha seriamente ipotizzato la reale esistenza, qualcuno ha invece sostenuto che Hilton abbia attinto a fonti reali e che Shangri-La potrebbe sorgere davvero là dove lo scrittore, documentatosi su libri di viaggiatori che hanno visitato il Tibet, ha indicato che si trovi. “Lost Horizon” è un romanzo che si inserisce nel fortunato filone dei “mondi perduti”, genere che vede tra i capostipiti il “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne (1864), “Le miniere di Re Salomone” di Henry Rider Haggard (1885) e “The Lost Word” di Arthur Conan Doyle (1912). Hilton immagina Shangri-La come una cittadella costruita, in una valle sconosciuta alle mappe ufficiali, attorno a un monastero tibetano, una vera e propria comunità utopica i cui abitanti sono dediti all’arte e alla filosofia e si sono dati il compito di preservare e tramandare le opere della cultura e della conoscenza della civiltà. Ci sono biblioteche, strumenti musicali, archivi di ogni tipo. Inoltre, a Shangri-La (il “La” significa “valico” e dunque segnala un passaggio tra il mondo reale e un universo parallelo) il tempo scorre più lentamente e non si invecchia, ma uscendone gli anni trascorsi fra nella valle incantata si recuperano tutti immediatamente. Il romanzo è ambientato nel 1931, e ha per protagonista un diplomatico inglese di nome Hugh Conway, il quale, insieme ad altri passeggeri di un aereo che sorvola l’Himalaya, viene coinvolto in un atterraggio di fortuna tra le nevi del Tibet, il cui impatto è abbastanza violento da provocare la morte del pilota. I naufraghi dell’aria, dopo aver disperato di salvarsi per le bufere e la temperatura estrema delle montagne tra cui sono finiti (privi anche di coordinate geografiche così come della possibilità di chiedere aiuto), vengono soccorsi dagli abitanti di Shangri-La che li accolgono nella loro città dotata di riscaldamento centralizzato e di tutti i comfort moderni, così come di terre fertili coltivate. Il romanzo, che risponde al desiderio universale di pace e alla speranza di progresso in anni difficili, ottiene un grande successo (non immediato ma a partire dall’edizione americana del 1934). Ciardi e Becattini raccontano poi con dovizia di particolari le traversie e le disavventure di Frank Capra nel realizzare il film “Orizzonte perduto”, uscito in una prima versione nel 1937, poi in una rielaborata nel 1942 e quindi in una più beve nel 1952. In ogni caso, l’adattamento cinematografico di Capra è solo il primo di una incredibile e lunghissima serie di film, radiodrammi, riduzioni teatrali e televisive, versioni a fumetti, composizioni musicali. Di ogni influenza lasciata nella cultura di massa da “Lost Horizon” nell’arte e nella fiction, Alberto Becattini (straordinario compilatore di bibliografie) dà conto da par suo, affiancando la disamina storico-letteraria fornita da Marco Ciardi (anche se è facile immaginare una sovrapposizione di ruoli tra i due). A me ha colpito molto scoprire come la residenza vacanziera del presidente americano Franklin Delano Roosevelt, tra i boschi del Maryland, fosse stata da lui battezzata proprio “Shangri-La”, e soltanto in seguito (e un po’ ci dispiace) abbia cambiato nome in “Camp David”.
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