lunedì 22 maggio 2017

CAPIRE ISRAELE IN 60 GIORNI (E ANCHE MENO)





CAPIRE ISRAELE IN 60 GIORNI (E ANCHE MENO)
di Sarah Glidden
Rizzoli Lizard
2011, 220 pagine, 
brossurato, euro 17.50 

Sarah Glidden, americana di origine ebraica, classe 1980, debutta con il suo primo libro (pluripremiato) di "graphic journalism".  Lo fa raccontando, attraverso il medium fumetto che si conferma in grado di veicolare qualsiasi contenuto, un suo viaggio alla scoperta di Israele, voluto e desiderato per cercare di capire il perché dei suoi stessi pregiudizi. L'occasione le è offerta da una iniziativa del governo di Tel Aviv, il progetto Taglit, che offre ai giovani ebrei di tutto il mondo un viaggio gratis, guidato attraverso un percorso di tappe obbligate, perché conoscano la Terra dei loro antichi antenati e la realtà dello stato nato dal sionismo. Dal 1999 al 2007 (anno in cui si svolge il viaggio della Glidden) oltre 120.000 ragazzi di tutto il mondo avevano già approfittato dell'opportunità. Sarah, nata a Boston in una famiglia ebraica non osservante, si considera di sinistra (disprezza per partito preso chiunque simpatizzi per i repubblicani) ed è piena di pregiudizi contro Israele. E' anche fidanzata con un giovane musulmano, il quale teme che lei possa tornare dal suo viaggio con idee antipalestinesi, cosa su cui la ragazza, prima di partire, lo rassicura. Perciò, per tutto il viaggio, ascoltando le spiegazioni che le vengono date a proposito del muro che isola gli israeliani dai palestinesi ("gli attentati sono calati da due alla settimana a quattro all'anno") o sull'occupazione delle alture del Golan ("erano rampe missilistiche da cui la Siria bersagliava i villaggi ebraici situati più in basso"), la ragazza si rifiuta di essere indottrinata, vede dappertutto la propaganda governativa, cerca di porsi domande critiche, non accetta passivamente nessuna versione dei fatti. Però, piano piano, il suo muro ideologico comincia a fessurarsi e addirittura si commuove ascoltando la storia dei primi Kibbutz ("quanto di più comunista esista al mondo") o visitando il tempio della Shoa. Alla fine del viaggio, ha capito il punto di vista israeliano dei fatti, e pur senza diventare antipalestinese si rende conto, soprattutto, che diversamente da ciò che credeva (in ossequio a una certa vulgata) esiste appunto una versione dei fatti, non meno vera, anche di parte ebraica. Il suo biglietto da lasciare nel Muro del Pianto dice: "Che venga la pace fra israeliani e palestinesi", ma gli si strappa mentre cerca di infilarlo tra le fessure, cosa che le fa bagnare di lacrime il volto. Tornando a Boston, a chi le chiede "Allora, com'è?", lei risponde confusa: "Beh, ecco...".

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