mercoledì 6 luglio 2022

LA CARTA PIU’ ALTA

 
 
 

 
 
 
Marco Malvaldi
LA CARTA PIU’ ALTA
Sellerio
Brossurato, 2012
210 pagine, 13 euro

Dopo “La briscola in cinque” (2007), “Il gioco delle tre carte” (2008), e “Il Re dei giochi” (2010), “La carta più alta” è il quarto romanzo della serie dedicata ai vecchietti del BarLume e del “barrista” (la doppia erre è obbligatoria) Massimo Viviani. Del primo ho già scritto e potete leggere la recensione cliccando su questo link.

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Il mio giudizio sulla serie del BarLume non è cambiato, ed è questo: “il divertimento della lettura sta tutto nel teatrino che si crea fra i pensionati, il gestore del pubblico esercizio e il via vai di clienti. I commenti dei vecchietti sono esilaranti, la verve con cui Malvaldi descrive le scene è da brillante autore umoristico, su questo non ci piove. Poi, però, quanto a intreccio giallo o approfondimento psicologico dei personaggi, il romanzo lascia parecchio a desiderare. Sotto l'ombrellone, tuttavia, può andare. Sei e mezzo. Forse sette.”
E’ molto cresciuta invece la mia considerazione di Malvaldi quale scrittore e saggista e pure giallista perché, nel tempo, ha pubblicato molto altro, oltre ai romanzi e ai racconti del BarLume. Per esempio i formidabili gialli storici con protagonista Pellegrino Artusi, oltre a saggi di divulgazione scientifica e una dissertazione sull’umorismo. Persona colta, intelligente brillante e garbata, ottimo conferenziere. Però qui devo giudicare “La carta più alta”, che non di distacca troppo da “La briscola in cinque”, anzi, propone un meccanismo giallo più debole. Un omicidio c’è, commesso in ospedale dove Ranieri Carratori sembra morto di malattia mentre invece qualcuno gli ha somministrato qualcosa che sfugge al primo esame dei clinici. Il medico curante, Calonaci, si uccide come se fosse in preda al rimorso per aver sbagliato la terapia. Poiché di mezzo c’è la compravendita della nuda proprietà di una casa e la prematura morte del Carratori (l'usufruttuario) avvantaggia non poco l’acquirente, un certo Foresti, i vecchietti del BarLume cominciano a sospettare l’inghippo. L'inghippo effettivamente c’è, e viene svelato da Massimo, che per combinazione, in seguito a una caduta accidentale, viene ricoverato proprio nell’ospedale dove è accaduto il fattaccio (una casualità un po’ forzata, a dire il vero). La soluzione è diversa da quella che ci si aspetta ma le modalità dell’omicidio sono macchinose e improbabili. Però va bene lo stesso, non è un romanzo di Agatha Christie, è uno del BarLume. Due parole per ricordare le caratteristiche della serie. Come nel caso del Commissario Montalbano di Andrea Camilleri, c'è un paese in riva al mare dal nome inventato: Vigata nel caso dello scrittore siciliano, Pineta in quello del giallista toscano. I personaggi di Camilleri parlano in dialetto siculo, quelli di Malvaldi in vernacolo toscano (pisano o livornese, difficile dirlo con precisione). Il vantaggio di Malvaldi è che, una volta tanto, a indagare non è un ennesimo poliziotto (o carabiniere che sia). No: a Pineta c'è un bar, gestito da Massimo Viviani, il BarLume appunto, di cui sono ospiti fissi quattro arzilli vecchietti: Ampelio Viviani (nonno di Massimo), Pilade Del Tacca, Aldo Griffa e Gino Rimediotti. Caratteristica di Massimo è quella di non servire da bere o da mangiare al cliente se non ne condivide le scelte. Il tutto è molto divertente, purché non ci si aspettino le deduzioni di Hercule Poirot o di Gideon Fell.

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