giovedì 11 gennaio 2024

POOH TUTTI I TESTI

 

 
Andrea Pedrinelli
POOH
TUTTI I TESTI E LA STORIA DIETRO LE CANZONI
Sperling & Kupfer
Brossurato, 2003
374 pagine

Ho sempre pensato che tra i poeti del nostro tempo ci siano gli autori dei testi delle canzoni. Non soltanto perché, a tutti gli effetti, compongono veri e propri versi di poesia. C'è di più. La poesia, quella “ufficiale” e paludata, quella di coloro che non scrivono per la gente (come li definisce Roberto Vecchioni in un brano intitolato “La corazzata Potemkin”) , non raggiunge quasi più il cuore di nessuno. Sono i testi delle canzoni che hanno assunto il compito della poesia, nella società: sono loro che descrivono i moti dell'animo, che assolvono una funzione catartica o liberatoria, o che incitano a reagire, o illuminano di nuova luce il reale o veicolano idee o semplicemente fanno sognare. Sono i versi dei parolieri e dei cantautori che passano di bocca in bocca, vengono imparati a memoria, ripetuti nelle riunioni fra amici, rimuginati nei momenti di solitudine. Ognuno ha la sua canzone che almeno una volta lo ha fatto piangere.
La letteratura italiana nasce dopo che i trovatori provenzali,  tra il XII e il XIV secolo, hanno cominciato a scrivere versi in volgare, in un neolatino chiamato lingua d'oc (oggi scomparsa, dato che il francese moderno deriva da un altro neolatino, la lingua d'oil). Ebbene, i versi di quei trovatori erano scritti per essere cantati. Non sappiamo esattamente quali fossero le melodie, ma la nostra storia letteraria nasce da lì. Mi infastidiscono sempre quelli che snobbano i parolieri italiani ma anche coloro che riconoscono il titolo di poeta soltanto a qualcuno, magari Mogol, ignorandone altri, come due che (a parer mio) sicuramente lo meritano quali Giancarlo Bigazzi e Valerio Negrini. 
Proprio di Negrini sono la gran parte dei testi di canzoni raccolti in questo libro, che mette in fila oltre trecento composizioni da lui scritte per i Pooh (in tutto i brani sono 356, ce ne sono comprese alcune decine firmate da Stefano D’Orazio). Per motivi misteriosi, c’è chi i Pooh li detesta a priori. Fermo restando che ognuno ascolta la musica che gli fa bene e gli assomiglia, e che mal digerisco le critiche alla musca ascoltata dagli altri (la musica è un dio bambino, scrive appunto Negrini), secondo me costoro si sono persi tante emozioni, tanti bei concerti, tante belle canzoni che sembrano scritte su misura della vita di ciascuno. Sulla lavagna del mio cuore (tanto per citarlo), Negrini ha lasciato parecchi segni. Nato a Bologna nel 1946, morto a Trento nel 2013 all’età di 67 anni, Valerio non era il “quinto Pooh”, era il primo: fu lui, infatti, che era batterista, a fondare il gruppo, nel 1966, per poi ritirarsi nel 1971. Andrea Pedrinelli, che conosce il minimo segreto del gruppo composto da Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Red Canzian, Stefano D’Orazio e Riccardo Fogli, analizza ogni canzone svelandone i retroscena, elencandone le cover e le nuove incisioni, l’eventuale presenza nella scaletta dei concerti.
Talvolta bastano due righe, in una canzone, per farla sentire nostra. Il paroliere dei Pooh (ma anche di molti altri cantanti) ha avuto il magico talento di raccontare la vita com’è, e non di quella finta di cui parlano quelli nei cui testi “amore” fa rima con “cuore”.  Io ne ho sperimentate parecchie, di situazioni come quelle descritte dall’autore, a partire dal fatto che sono nato un po’ in collina e rotolato giù:

Quelli nati un po’ in collina
fatti in casa come me
caricano a testa bassa e in qualche modo passano

e naturalmente ho scoperto che

gli amori fanno i nodi come i fili dei microfoni.

(Quelli nati un po’ in collina, 1983).

Anch’io, a certe ragazze avrei potuto dire

Entrasti come arriva un uragano
successe come quando passa il vento.

(Tutto alle tre, 1970)

E a qualcun’altra ho chiesto di darmi solo un minuto, un respiro di fiato, un attimo ancora, per convincerla a non gettare alle ortiche la nostra storia, e poi le ho detto

Come mai i tuoi occhi ora stanno piangendo?
dimmi che era un sogno e ci stiamo svegliando.

(Dammi solo un minuto, 1977).

Ma mi è successo pure di dover fare le valigie, cambiando amici e città, salutandola con il groppo in gola:

prendo soltanto la mia vita con me
cambiano posto i giorni miei
col resto fanne ciò che vuoi.

(Dove sto domani, 1981)

Ho avuto donne di quelle che sanno e non possono dir niente, a cui nessuno di solito dedica le canzoni, ma che sono dovunque perché la vita non segue le regole e rompe gli argini:

Sei l'altra donna,
la libertà,
quella che sa perché ritorno.

(L’altra donna, 1990)

E infatti poi scoppia prepotente il bisogno di non nascondersi più e un vento ci gonfia le vele:

Invece adesso ho il vento dentro l'anima
perché non si torna indietro
e adesso non c'è più bisogno di nasconderci
pensando che sia sbagliato
siano lacrime, siano brividi
al mio cuore gli ho detto di sì.

(Vento nell’anima, 2010)

Ma ci sono anche gli “altri uomini”, perché ogni donna, a qualunque età, ha il diritto d’amare:

Piegato in un pacco sottile
c'è il tuo vestito di qualche anno fa;
memoria di un amore che fu primavera
e adesso è precaria routine.
Eppure lo specchio è gentile,
non mostra quasi traccia del tempo che va,
si vedono ragazze coi libri di scuola
che sembran più vecchie di te,
ma lui si addormenta leggendo,
è già tanto se c'è.
 
(Diritto d’amare, 1996)

Ma mi sono anche ritrovato a essere un uomo solo, più volte, in cerca di equilibrio, in attesa di capire, pregando, sperando di essere aiutato a ritrovare il filo:

Dio delle città
e dell'immensità,
magari tu ci sei
e problemi non ne hai
ma quaggiù non siamo in cielo
e se un uomo perde il filo
è soltanto un uomo solo.
 
(Uomini soli, 1990)

La disperazione, la solitudine, la diversità, la discriminazione sono temi che Negrini non ha mai avuto paura di affrontare, scrivendo di soldati di leva o in missione di pace, di prostitute e di omosessuali, di femminismo e manifestazioni di piazza, di carcerati, di giornalisti, di emigranti, di donne stuprate (“se non lo fa nessuno, vi chiedo scusa io”), di ragazze madri, di padri e di figli, di popoli sotto la dittatura, di etnie perseguitate, di guerre e di speranze, di Dio e del suo intollerabile silenzio. Sempre, Negrini ha fatto appello alla speranza nel cielo blu che è comunque in attesa sopra le nuvole, un cielo senza scale su cui ci si deve arrampicare, attingendo alla forza interiore che ognuno ha dentro di sé, senza aspettarsi aiuti da nessuno, senza guardare di sotto mentre si attraversa i ponte (“fa paura se ti fermi a metà”), senza aspettare il futuro, dato che “troppo passato è già andato via”.

Ma il cielo è blu sopra le nuvole
e non è poi cosi lontano,
dobbiamo arrampicarci e crescere
senza bisogno di nessuno.

(Il cielo è blu sopra le nuvole, 1992)






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