Dan Brown
ORIGIN
Mondadori
2017, cartonato
560 pagine, 25 euro
Se qualcuno mi chiedesse perché, dopo aver letto gli ultimi romanzi di entrambi, non comprerò il prossimo di Paolo Cognetti (Premio Strega 2017) mentre certamente divorerò quello che scriverà Dan Brown (che mai vincerà alcun premio letterario), risponderei così: perché Cognetti (che ho cito soltanto perché è il più recente illustre premiato con la medaglia d'oro) non mi fa venire voglia di andare avanti pagina dopo pagina, mentre Dan Brown sì. Mi rendo conto che il limite è tutto mio, se prima del bello stile viene l'interesse per una trama che avvince e coinvolge, però che ci devo fare? La storia dell'amicizia ritrovata fra due ex ragazzi che si sono conosciuti durante le vacanze estive mi fa sbadigliare, quella della scoperta dell'origine della vita che mette in discussione tutte le credenze religiose mi appassiona. Sarò strano, ma è così. Del resto Dan Brown ha il talento (dal mio punto di vista) di saper scegliere proprio gli argomenti che maggiormente mi intrigano: Dio, il destino dell'umanità, una diversa interpretazione dei Vangeli, l'eterno femminino, la sovrappopolazione, le religioni, le opere d'arte, l'entropia, gli sviluppi della tecnologia (ho messo nel calderone le tematiche dei romanzi più noti dello scrittore statunitense). Premesso tutto ciò, il nuovo titolo di Brown, "Origin", che riporta sulle scene il personaggio di Robert Langdon, insegnante di simbologia religiosa ad Harvard, non è il migliore della sua produzione, pur facendosi leggere tutto d'un fiato nonostante le oltre cinquecento pagine. Lascia tuttavia soddisfatti perché effettivamente, alla fine della storia, le ipotesi che si propongono sulll'origine della vita e sul destino dell'uomo sulla Terra sono non soltanto plausibili ma perfino probabili. Come nel caso di "Inferno" riguardo alla sovrappopolazione, Brown ha (secondo me) perfettamente ragione. Del resto le stesse idee, più o meno, sono state sostenute letterariamente da Isaac Asimov (certi suoi racconti come "L'ultima domanda" o "Biliardo darwiniano" sono del tutto in linea), e scientificamente da parecchi studiosi le cui ricerche sono alla base della documentazione che Brown ha poi rimaneggiato per trasformarle in romanzo. Dunque, lo scrittore dà piena soddisfazione alle curiosità iniziali da lui stesse solleticate. Il nome di Asimov risulta particolarmente significativo dal momento che in "Origin" compare un personaggio insolito: un programma (di computer) senziente chiamato Winston, che rende il romanzo a pieno titolo un giallo fantascientifico avvicinabile ai racconti asimoviani con Multivac o con il detective robot Daniel Olivaw. Quel che un pochino lascia perplesso è il fatto che di nuovo, sostanzialmente, la trama ricalchi il deja vu di altri romanzi: Robert Langdon è in fuga, braccato, con una donna al suo fianco (in questo caso una certa Ambra), seguendo il filo di una sorta di caccia al tesoro destinato a trovare la soluzione a un appassionante quiz. Magari questa volta si poteva sperare in qualcosa di diverso, ecco. Poi sa un po' di "americanata" (uso sempre malvolentieri questo termine, ma in questo caso ci vuole) lo show con cui uno scienziato, Edmond Kirsch, intende annunciare al mondo la scoperta che cambierà tutto, in una sorta di grande party in collegamento con tutti i canali multimediali e con i social. Ecco un punto chiave, in effetti: il romanzo mette in evidenza quanto sia diventata importante la comunicazione via Internet. Però, suvvia, gli scienziati le loro scoperte le presentano in un altro modo. Strano anche che Kirsch fosse uno studioso solitario e indipendente e che soltanto lui fosse a conoscenza dei risultati che vuole, a un certo punto, rendere pubblici tramite un evento in stile hollywoodiano. Poiché qualcuno lo uccide prima della rivelazione, la caccia al tesoro condotta da Langdon punta a scoprire la password che dà accesso alla memoria del suo computer. Nella realtà gli scienziati lavorano in equipe e non c'è computer che un buon tecnico non riesca a violare anche senza password. Stupisce infine l'ambientazione spagnola, e soprattutto il ricorso una famiglia reale (nel senso del Re) del tutto irreale. Dato che l'universo di Langdon dovrebbe essere il nostro, e non una realtà parallela (almeno, vista l'attenzione dell'autore nel ricostruire luoghi e figure storiche), o non si fa cenno ai monarchi madrileni (utilizzando figure fittizie del loro entourage) o li si mette in scena con i loro veri nomi e cognomi.
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