venerdì 21 ottobre 2022

IL LIBRO DEL CINQUECENTO

 
 
 


 
 
 
Tindaro Alessandro Guadagnini
IL LIBRO DEL CINQUECENTO
LA MALEDIZIONE
Algra Editore
Brossurato, 2020
204 pagine – 15 Euro

Tindaro Guadagnini è noto per essere l’artefice del Tempio della Nona Arte, un’opera ancora in fieri, e che probabilmente non smetterà mai di venire ampliata, come la Sagrada Familia di Antoni Gaudì a Barcellona. Per il momento si tratta di una intera casa-museo ubicata alle falde dell’Etna e riempita di scaffali contenenti decine di migliaia di fumetti a disposizione degli studiosi, ma è probabile che incrementandosi le acquisizioni e le donazioni serviranno presto spazi più ampli. Il proposito di Guadagnini è infatti quello di mettere insieme una raccolta quanto più possibile completa di tutto ciò che è stato pubblicato a fumetti da editori italiani, sia stampando materiale di casa nostra, sia scritto e disegnato da autori stranieri. Il grande impegno di Tindaro è frutto, come è facile intuire, di uno sconfinato amore per la Nona Arte (appunto quella dei comics), e di una quantità infinita di letture. Niente di strano, dunque, se a chi legge o ascolta storie viene voglia di raccontarle lui stesso, soprattutto se costui ha una buona penna ed è abituato a scrivere pubblicando articoli e saggi, com’è appunto il caso di Guadagnini. E niente di strano, men che mai, se il racconto che decide di narrare risulta intrigante come un buon fumetto horror, già pronto, si direbbe, per una trasposizione in vignette. Una volta definire un romanzo “di genere” era considerato squalificante, perché si riteneva che il fantastico, il giallo o il western fossero territori di “serie B”. Oggi, fortunatamente, non è più così. Quindi eccomi ad affermare senza il minimo timore che “Il libro del Cinquecento” e “La maledizione” sono romanzi felicemente di genere (nasce sempre della felicità quando cadono degli steccati). Il volume edito da Algra di cui ci stiamo occupando raccoglie infatti due diverse opere di Tindaro Guadagnini, che raccontano però un’unica storia (la seconda è il sequel della prima). “Il libro del Cinquecento” venne pubblicato per la prima volta nel 2016 (mi fu chiesta dall’autore una prefazione che scrissi volentieri). Poi un paio di anni dopo, ecco il seguito: appunto, “La maledizione”. Infine, nel 2020, il volume definitivo che raccoglie i due titoli. Tutto nasce dall’interesse di Guadagnini per un libro di magia, o grimorio, realmente esistente, intitolato “La clavicola di Salomone” (o “Clavis Salomonis”, dato che per “clavicola” si intende una piccola chiave: ce ne sono addirittura due versioni), indebitamente attribuito al Re biblico, ma in realtà compilato da chissà chi nel tardo Medioevo. Si dice che dia, fra le atre cose, istruzioni per evocare i demoni e ottenere da loro dei favori. Libro che nel Cinquecento venne messo all’Indice e da qui il nome con cui è noto in Sicilia “Libru du Cincucento”. Nei due romanzi di Guadagnini, una copia particolarmente potente dal punto di vista magico passa di mano in mano dopo essere stata trafugata da un monastero di Ficarra, e i successivi proprietari vedono esauditi certi loro desideri ma devono pagarne un prezzo terribile, che finisce per condurli al suicidio. Non c’è modo di liberarsi della maledizione se non cedendo il libro a qualcun altro, e dunque condannandolo (come ne “Il diavolo nella bottiglia” di Stevenson). Un incaricato dalla Santa Sede, padre Martinetti, ingaggia una lotta contro il tempo per recuperare il volume prima che semini altri morti oltre a quelle già provocate. Pare che Martinetti possa tornare in altri romanzi, e in effetti un agente segreto del Vaticano che si occupa di possessioni demoniache e casi del genere sembra un personaggio interessate. Qui di seguito potete leggere la mia introduzione al primo romanzo, che è stata riproposta anche all’inizio della raccolta delle due opere.

IL LIBRO NELLA BOTTIGLIA
di Moreno Burattini

In una sua nota alla prima edizione Bompiani, del 1941, di “Conversazione in Sicilia”, il siracusano Elio Vittorini scriveva che il luogo magico in cui è ambientato il suo romanzo era Sicilia unicamente “per avventura”. E spiegava: “solo perché il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela. Del resto immagino che tutti i manoscritti vengano trovati in una bottiglia”. Ovvero: ogni storia è universale, e parla rivolgendosi proprio a chiunque, per caso, la trovi. Anche “Il Libro del Cinquecento” di Tindaro Alessandro Guadagnini, l’inquietante racconto che vi apprestate a leggere, racconta una storia siciliana, ma la sua Sicilia, che pure è tanto reale da indurre alcuni dei personaggi a parlare in dialetto, assume una chiara valenza fantastica quando diventa una terra incantata dove i prodigi e le maledizioni hanno piena cittadinanza. Rispetto al romanzo gotico, che si chiama così perché i suoi primi esempi settecenteschi e ottocenteschi erano spesso ambientati nel Medioevo o in antichi castelli, Guadagnini propone una versione postmoderna del soprannaturale. Vale a dire, sceglie uno scenario contemporaneo e una serie di location riconoscibili. Fa insomma quel che decise di fare Edgar Allan Poe quando avvicinò il racconto dell’orrore alla realtà dell’uomo comune, quella in cui tutti potrebbero riconoscersi. Però, al tempo stesso, la trama adattata a personaggi e luoghi che ci sono familiari (e che sono ancor più familiari ai siciliani fra noi) attinge a modelli ricorrenti, come ricorrenti sono le paure, le ansie, le angosce dell’eterno animo umano. Vittorini parlava di manoscritti ritrovati in una bottiglia: proprio "Il diavolo nella bottiglia" è il titolo di un romanzo breve di Robert Louis Stevenson, datato 1891, in cui uno spiantato, giovane hawaiano di nome Keawe incontra un giorno un ricco signore, che lo convince ad acquistare, per i pochi soldi che ha in tasca, una bottiglia scura, nella quale si agita una nebbia misteriosa, dicendogli che lì dentro vive un demone in grado di appagare ogni suo desiderio. Keawe torna a casa con la bottiglia e in breve tempo diventa ricchissimo, ma ovviamente ci sono le controindicazioni. Il finale proposto da Stevenson è diverso da quello immaginato da Guadagnini, e il suo protagonista Carmelo subisce una sorte ben differente. Ma che si tratti di Hawaii o di Sicilia, di bottiglie o di libri magici, si tratta sempre di insidie del demonio. Le cui tentazioni rimandano alla nostra eterna e umana insoddisfazione, alle pulsioni che si agitano in ciascuno di noi, ai mille desideri da realizzare e alle conseguenze da pagare. Tentazioni, insoddisfazioni, desideri in cui tutti fatalmente ci riconosciamo, ritrovando il manoscritto nel recipiente di vetro depositato ai nostri piedi dalle onde sulla battigia, anche se non reagiamo come Carmelo o come Keawe e siamo diversi da loro. O almeno ci illudiamo di esserlo, almeno finché non ci imbatteremo per caso nella diabolica bottiglia o nel Libro del Cinquecento.

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