martedì 14 ottobre 2025

SVENUTO AL MONDO


 

Maurizio Manco
SVENUTO AL MONDO
Edizioni Cenere
2024, brossurato
50 pagine, p.n.i.

“Svenuto al mondo” è una raccolta di aforismi originali, cioè non citati. A parte il fatto che gli aforismi più belli li ha scritti Anonimo, devo confessare la mia passione per questo genere letterario in cui si sono cimentati scrittori, poeti, scienziati, umoristi, pensatori di tutte le epoche. Tant’è vero che nel 1994, i Meridiani Mondadori hanno dato alle stampe una antologia in due volumi “Scrittori italiani di aforismi”, curata da Gino Ruozzi, comprendente cinquanta autori distribuiti su oltre seicento anni di storia, da Taddeo Alderotti (1223-1295) a Pietro Ellero (1833-1933). Fin da giovanissimo mi sono appuntato su un quaderno le frasi che più mi folgoravano, in cui mi imbattevo leggendo. Poi ho cominciato a collezionare raccolte di aforisti illustri, da La Rochefoucauld a Krauss passando per Roberto Gervaso. Ho tenuto per anni una rubrica su un giornaletto in cui segnalavo le sentenze o le battute migliori divise per argomento, intitolata “Cattivi pensieri”. Infine ho preso scriverne io, e più o meno duemila sono stati pubblicati in tre raccolte, “Utili sputi di riflessione”, “Sarò bre” e “Mi ritiro per delirare”. Ritenendomi un discreto cultore della materia, ho la pretesa di spiegare qualcosa che forse non tutti sanno e cioè che le parole “aforisma” e “orizzonte” hanno la medesima etimologia. Derivano infatti dal verbo greco horízo, “separo”. Apó e horízo significano “separo da” ma anche “circoscrivo” e dunque aphorismós  vale come “definizione”. L’orizzonte è ciò che lo sguardo circoscrive separandolo dal tutto, e l’aforisma è ciò che poche parole possono contenere in uno spazio limitato. 
Il primo a usare la parola “aforisma” fu Dante, che nel "Paradiso" scrive: “Chi dietro a iura e chi ad amforismi / sen giva, e chi seguendo sacerdozio”. Vale a dire: c’è chi studia legge, chi medicina e chi si fa prete. Gli “amforismi” sono dunque precetti medici. Quelli di Ippocrate, senza dubbio, i cui detti e le cui sentenze venivano tramandate da secoli come base della scienza medica. Ma anche quelli di Taddeo Alderotti, contemporaneo dell’Alighieri, che abbiamo già citato: si tratta dell’autore di un “libello per conservare la sanità del corpo”, scritto in volgare. Per dare un esempio, ecco cosa raccomanda l’Alderotti: “quando ti levi la mattina de letto distenderai le tue membra, perché la natura ne prende conforto, e il naturale caldo se ne conforta e fortifica le membra”. Insomma, appena alzati bisogna fare stretching . Da questo tipo di aforismi, si passa gradatamente a quelli delle epoche successive che prima propongono massime religiose, poi morali. Dai consigli per la salute a quelli per lo spirito. In ogni caso, “medicina per l’uomo, questa è l’essenza dell’aforisma”, scrive Giuseppe Pontiggia. A partire dalla seconda metà del Seicento, per merito dei francesi, gli aforismi cominciano a diventare anche spiritosi. Meno male, perché tra il serio e il faceto, preferisco il faceto.  Gli aforismi sono una forma d’arte paragonabile alla poesia: ogni singola parola ha un peso enorme e il loro significato va incredibilmente al di là delle dimensioni del testo con cui lo si esprime. Gesualdo Bufalino, del resto, diceva: “un aforisma ben fatto sta in otto parole” (contate quelle usate: sono appunto otto). Si può fare di meglio: “un buon aforisma sta in sette parole” (contate quelle usate, sono appunto sette). Non ne servono molte di più per colpire immediatamente nel segno con più efficacia di qualunque lungo discorso. Del resto, “quando non si sa scrivere, un romanzo riesce più facile di un aforisma”, sosteneva Karl Kraus in "Detti e contraddetti", uno dei miei livres de chevet. E aggiungeva: “Ci sono certi scrittori che riescono a esprimere già in venti pagine cose per cui talvolta mi ci vogliono due righe”. 
Ammetto che mi sono dilungato decisamente troppo per un elogio della brevità. Maurizio Manco, del resto è stato brevissimo: “Svenuto al mondo” conta solo centocinquanta aforismi distribuiti su trenta pagine. Le cinquanta complessive ospitano una postfazione, apprezzabilissima, di Simona Abis, l’indice e i frontespizi. Tanta stringatezza va tutta a vantaggio della qualità della produzione, distillata e non diluita. “Stento a credermi”, recita uno dei motti, buon esempio del talento dell’autore. Ma anche “E finsero tutti felici e contenti”. Ne cito altri tre e facciamo cinque: “Voglio tutto e dubito”; “Non voglio smettere di sfumare”; “Son cose che decapitano”. Gli altri centoquarantacinque li tengo per me nella mia collezione, ormai cospicui, di raccolte di aforismi. Naturalmente, se volete leggerli, potete cercare di procurarvi anche voi l’aureo libello.


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