martedì 29 settembre 2015

IL VECCHIO CHE LEGGEVA ROMANZI D'AMORE



IL VECCHIO CHE LEGGEVA ROMANZI D'AMORE
di Luis Sepulveda
Guanda, 2004
132 pagine

Il titolo trae in inganno. Infatti, ero diffidente nell'approcciarmi a questo libro temendo in un polpettone romantico-sentimentale-intimista o, peggio, intriso di politicamente corretto o di terzomondismo (il mondo, per me, è uno solo e tutti facciamo parte di quello lì). Invece, ho scoperto un romanzo affascinante, avvincente, emozionante, con personaggi vivi e indimenticabili (a partire dal dentista della scena iniziale, che ha fatto sentire male in bocca anche a me, che soltanto ne leggevo). Nelle pagine di Sepulveda c'è tutto quello che un lettore come me può desiderare: ambientazione esotica (la foresta amazzonica in territorio ecuadoriano), avventura (la caccia a una belva feroce), sangue e morte, descrizione di popoli lontani (gli Shuar, o Jivaros come sono più noti qui da noi), dramma e umorismo, introspezione psicologica, tensione emotiva e perfino una morale da trarne perfettamente condivisibile perché spirituale e non ideologica. L'Amazzonia descritta da Sepulveda in tutta la sua bellezza e la sua crudità (più che crudeltà) è la vera protagonista del racconto, ed è essa stessa un motivo per cui, per esempio, chi si è nutrito delle storie di Mister No non dovrebbe perdersi questo romanzo. Il vecchio a cui allude il titolo è Antonio José Bolívar Proaño, un cacciatore che vive nella piccola comunità di El Idilio, dove si è ritirato dopo aver trascorso molti anni della sua esistenza tra gli indios Shuar e aver imparato da loro a sentirsi parte della foresta, a respirare con essa, a pensare come pensano gli animali e le piante. Tornare fra i bianchi è stato per lui inevitabile, dopo aver commesso involontariamente una sorta di sacrilegio agli occhi degli indigeni, che piangono per lui e con lui quando devono separarsi. E a El Idilio, il suo unico passatempo, che diventa una passione, è quello della lettura di romanzi che narrano di amori travagliati, che fanno soffrire, quasi una sublimazione del suo antico matrimonio, finito male, consumato senza baci. Gli abitanti di El Idilio, rozzi e ignoranti, sono una eterogenea comunità di gente condannata a vivere in una terra ostile che non capisce e contro cui lotta, mentre gli Shuar ci vivono in simbiosi. Il sindaco, in particolare, grasso e odioso, soprannominato "Lumaca", è il simbolo dell'incapacità dei bianchi di intendere i linguaggio della natura. Da qui i suoi frequenti scontri con Antonio José, che spesso gli dimostra la sua incompetenza. Ma quando El Idilio viene minacciata da un tigrillo (un grosso felino simile a un giaguaro) che comincia a uccidere mercanti, cercatori d'oro e viandanti nella foresta, l'esperienza del vecchio diventa indispensabile. A scatenare la furia del tigrillo, una femmina, è stato un "gringo" cacciatore di pellicce, che le ha ferito il compagno e ucciso i cuccioli. Dunque, la violenza della natura è stata scatenata da uno stupro della natura stessa. Vista l'impossibilità di riuscire, con una battuta di caccia in più persone, a fermare il felino, astuto e intelligente quant'altri mai, il sindaco incarica Antonio José di tentare da solo, promettendogli un grosso premio in denaro se riuscirà a riportare la pelle dell'animale. Il vecchio accetta, e ingaggia una lotta con il tigrillo che tiene con il fiato sospeso, fino al duello finale, la cui conclusione rende inevitabile al lettore fermarsi a riflettere.

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