martedì 20 dicembre 2016

CHIEDI ALLA POLVERE



CHIEDI ALLA POLVERE
di John Fante
Einaudi
2004, 234 pagine
brossura, 13 euro

Bisognerebbe non fare il confronto fra John Fante e Joh Ernt Steinbeck, nonostante siano tutti e due scrittori americani della stessa generazione (1909 l'anno di nascita del primo, 1902 quello del secondo) e abbiano entrambi raccontato, in romanzi e racconti pubblicati negli anni Trenta e Quaranta di ambientazione californiana ("Chiedi alla polvere" di Fante è del 1939, "Pian della Tortilla" e "Uomini e topi" di Steinbeck sono rispettivamente del '35 e del '37). In tutte queste storie si narra di miseria e di disperazione, di uomini che si arrabattano per un tozzo di pane e un bicchiere di vino, e dello squallore di una vita condotta in quartieri poveri da cui si possono soltanto sognare case meno fatiscenti in strade riservate a chi è riuscito a riscattarsi socialmente. Però mentre Steinbeck, americano purosangue, è scrittore da Nobel, ebbe una vita agiata e borghese e un'ottima educazione, Fante assomiglia tragicamente al suo alter ego Arturo Bandini, protagonista di molti suoi racconti, scrittore figlio di immigrati italiani stabilitisi a Boulder, nel Colorado. La famiglia Fante era originaria di Torricella Peligna, in provincia di Chieti, mentre quella della madre (il cui cognome era Capoluongo) veniva dalla Basilicata. La vita difficile e turbolenta in condizione di povertà e gli scontri con il padre portano John Fante a decidere di cercare fortuna a Los Angeles, dove spera si poter vivere vendendo racconto alle riviste letterarie (che all'epoca erano molto diffuse) e soggetti per il cinema. La stessa cosa fa Arturo Bandini, che campa mangiando arance (che si possono comprare a dozzine per pochi centesimi) in una squallida camera d'albergo di Bunker Hill di cui stenta a pagare l'affitto ed è sempre sul punto di essere cacciato fuori. Probabilmente Bandini ha quel minimo di talento che gli basta per venire occasionalmente pubblicato, e questo alimenta il suo amor proprio (si crede un grande scrittore) ma quando incassa qualche dollaro sperpera immediatamente ciò che ha guadagnato tornando quasi subito alla vita miserabile di prima, pur guardando con disprezzo i poveracci come lui. Leggendo "Chiedi alla polvere" si resta colpiti e inquietati dalla vita miserevole della Los Angeles durante la Grande Depressione, e questo è uno dei meriti del romanzo, che descrive bene, con efficacia, quel tipo di realtà. Una realtà fatta anche di razzismo nei confronti, per esempio, dei messicani considerati una razza inferiore, al pari di tanti altri stranieri di origine diversa (Bandini ci tiene però a dire che lui, nonostante il nome, è americano del Middle West). Però poi fanno davvero cadere le braccia i pensieri, i discorsi e i comportamenti assurdi, sgradevoli, stupidi, ridicoli di Arturo Bandini, personaggio antipatico quanto pochi altri. A volte si ha la voglia di gettare via il libro esclamando: "ma no! Ma questo è imbecille!". Davvero difficile arrivare in fondo senza detestare l'aspirante scrittore, descritto impietosamente da John Fante come se comunque, identificandosi con lui, volesse dare dell'idiota a se stesso. Per questo non si resta coinvolti nella storia d'amore che si snoda per tutto il libro: quella a senso unico fra Arturo e Camilla Lopez. appunto una messicana (che ama un altro, il barista Sam, da cui è disprezzata per le sue origini). Camilla, tossicodipendente e psicolabile, sì che è un bel personaggio: però quando per due o tre volte si offre di darsi ad Arturo e questi è assolutamente incapace di concludere alcunché,il lettore è tentato di bruciare il libro nel primo caminetto. La storia peraltro ha un non-finale (Camilla scompare e non si sa che fine abbia fatto). L'impotenza sessuale (di chiara origine psicologica) di Bandini si manifesta in un altro paio di occasioni, a testimonianza della sua incapacità di gestire i rapporti con le donne (così come è incapace di gestire il denaro). Più che a Steinbeck, appunto, John Fante si può accostate a Charles Bukowski, che dichiarò di considerarlo "il migliore scrittore che abbia mai letto" e "il narratore più maledetto d'America". Steinbeck, ecco, non era maledetto e nella sua visione delle cose dalla povertà e dall'abbrutimento ci si poteva redimere.

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