venerdì 7 dicembre 2018

D'ANNUNZIO



Giordano Bruno Guerri
D'ANNUNZIO
Mondadori
2018, brossurato
390 pagine


La più notevole opera d'arte di Gabriele d'Annunzio, a cui egli lavorò incessantemente, fu senza dubbio la sua vita. Scrisse Lucio D'Ambra: "Meraviglioso commediante, creò la sua magica finzione e poi dentro vi s'adagiò come in verità assoluta e non più relativa; né poteva più sapere dove realtà e finzione si separassero, distinte". Una vita avventurosa, piena di svolte, colpi d'ala, clamori, sempre sulla cresta dell'onda. Una vita, quella del Vate, che sicuramente trascende quel che è stata la sua produzione letteraria. Conclude Giordano Bruno Guerri, tirando le somme al termine della biografia: "Il suo genio letterario è passibile di valutazioni anche contrastanti, ma il vero genio di d'Annunzio fu nella visionarietà politica e sociale con cui seppe anticipare sia le correnti nazionalistiche e superoministiche che avrebbero condotto ai fascismi, sia i movimenti più libertari del XX secolo: in una visione del mondo che andava oltre le categorie della destra e della sinistra e che ebbe sempre al centro l'individuo". 
Si tende a etichettare d'Annunzio con il Vate del fascismo. Si dimenticano però i lunghi mesi in cui fu governatore di Fiume (1919-1920), da lui occupata, quando diede alla città una sorta di carta costituzionale libertaria al massimo: voto alle donne, libertà di divorzio e di omosessualità, in anticipo di decenni sulle conquiste che sarebbero arrivare, tardi e male, solo molto in seguito. "Città di Vita", venne definito il capoluogo istriano. 
Di d'Annunzio Mussolini diceva che era come un dente marcio: o lo si estirpava o lo si ricopriva d'oro. Venne ricoperto d'oro purché stesse ritirato, nei suoi ultimi anni, nel Vittoriale, la villa che diventò la sua ultima, fantasmagorica opera. Guerri, che della Fondazione del Vittoriale è da anni il presidente, quasi non si sofferma nella disamina dell'infinità di poesie, tragedie teatrali, racconti e romanzi, di cui pure si parla senza però farne analisi critica, quanto piuttosto segue le rocambolesche vicissitudini del pescarese Gabriele Rapagnetta, in arte d'Annunzio, intrecciate in modo indissolubile con le dinamiche della storia, della società e del costume dei suoi tempi (1863-1938). 
E' difficile per noi capire l'importanza e l'influenza di un simile personaggio nella cultura e nella cronaca: chi ha condiviso gli anni in cui il Vate calcava il palcoscenico (in senso lato) aveva senza dubbio quotidianamente a che fare con una presenza invadente, se non ingombrante, che divideva, esaltava, polemizzava, combatteva, creava, scriveva, arringava, scandalizzava. D'Annunzio ideava marchi di fabbrica (La Rinascente, Saiwa), coniava vocaboli (velivolo), scriveva film ("Cabiria"), dava adito (anche volontariamente) a gossip, fuggiva dai creditori, guadagnava milioni e li sperperava, creava motti ("memento audere sempre", "ardisco, non ordisco"). Fu uno dei primi italiani a volare in aereo, uno dei primi ad avere un travolgente successo all'estero con i suoi romanzi. Dopo aver sollecitato l'ingresso in guerra dell'Italia nel primo conflitto mondiale, combattè sul serio (e non per modo di dire) andando al fronte (perse persino un occhio). Che dire poi delle sulle centomila amanti? Davvero si resta di stucco leggendo il resoconto delle sue battaglie amorose con il "gonfalon selvaggio" sempre pronto all'azione, e questo dall'adolescenza fino alla più tremebonda vecchiaia. Una voracità sessuale senza pari, "badesse di passaggio" ricevute tre per volta per maggior libidine. Che fosse simpatico, proprio no. Però certe sue battute sono esilaranti, come quella dell'epiteto di "cretino fosforescente" dato a Marinetti. Vanitoso, egocentrico, iperbolico, grafomane, prolisso, retorico, magniloquente, gradasso, noioso, saccente e pedante, ma di sicuro un personaggio, un guerriero.

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