Sophie Hannah
IL MISTERO DEI TRE QUARTI
Mondadori
2018, cartonato,
300 pagine, 19.50 euro
Stavolta, pollice verso. Ho seguito volentieri Sophie Hannah nel suo temerario tentativo di proseguire, d'accordo con la famiglia Christie, la serie dei romanzi gialli con Hercule Poirot. Il primo da lei firmato, "Tre stanze per un delitto" (2014) mi ha convinto: la Hannah non era la Christie ma le faceva bene il verso. Il secondo, "La cassa aperta" (2016), scricchiolava e non convinceva del tutto, ma insomma ci si poteva stare. Il terzo, "Il mistero dei tre quarti" (2018) fa scuotere la testa. Eppure, si era partiti bene. Quattro persone ricevono una lettera apparentemente firmata da Poirot in cui il detective le esorta a confessare di aver ucciso un certo Barnabas Pandy, prima sia Poirot stesso a recarsi dai giudici con le prove inoppugnabili. Sennonché Poirot dichiara di non aver mai scritto quelle lettere e di non sapere chi sia Pandy. Anche un paio di destinatari ignorano completamente quel nome, gli altri due riferiscono che Barnabas era un ricco vecchietto verso la novantina, morto sì ma per cause naturali, nella sua vasca da bagno. Nessuno ha mai avuto dubbi sul suo decesso, avvenuto peraltro in circostanze tali da non poter lasciare pensare a un omicidio. I personaggi del coinvolti sono tanti e variegati, ben descritti dall'io narrante Edward Catchpool, ispettore di Scotland Yard, amico di Poirot. Non mancano caratteristi divertenti, come la ristoratrice Fee Spring, che chiede al detective belga di indagare sul furto di una sua ricetta segreta, e la zelante segretaria del giudice McCrodden, miss Mason. Le indagini interessano a tutto tondo la famiglia di Barnabas Pandy, figlie e nipoti, e altri dell'entourage. Peccato che, a un certo punto, la trama perda di vitalità, vengano a mancare i motivi di interesse, l'intreccio si complichi in modo artificioso, le psicologie si intornicino e, soprattutto, le spiegazioni finali non risultino né convincerti né sorprendenti.
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