giovedì 24 gennaio 2019

IO SONO ZAGOR





Nei primi giorni di novembre "Io sono Zagor" è stato presentato con successo nel corso di Lucca Comics: allo stand Bonelli il librone si è venduto molto bene. Insomma, l'impressione (per il poco che posso valutare io) è che l'iniziativa editoriale sia stata premiata dai lettori.

Ma di che cosa si tratta? Si tratta di un tomo cartonato di oltre 400 pagine, che la Bonelli mi ha chiesto di progettare, scrivere, curare e allestire anche per fare apripista ad altri volumi del genere dedicati a ulteriori personaggi. Ancora una volta Zagor parte per primo. Non esistevano modelli di riferimento, se non volumi Marvel tipo "Io sono Thor" o altri del genere: però  è facile radunare in una antologia le migliori storie di un supereroe che vive avventure lunghe 24 tavole ciascuna (per usare una lunghezza standard da comic-book), più difficile è selezionare "il meglio" traendolo da avventure lunghe cento, duecento, trecento pagine, come nel caso di Zagor, e farlo stare in quattrocento in totale. C'era poi il problema del target: a chi ci si sarebbe rivolti? Alla fine, dopo essermi scervellato per un paio di mesi durante l'estate, ho presentato il mio progetto che è stato approvato.

Volendo offrire un volo sulle ali di un’aquila a chi non conosce il personaggio, o a chi vuole ripescare nella memoria emozioni che hanno lasciato il segno, come sfogliando un album di ricordi, ma anche a chi desidera condividere con figli o nipoti il fascino di avventure che hanno fatto la storia del fumetto italiano, ho concepito “Io sono Zagor” come un libro in cui l’eroe di Darkwood si presenta in prima persona e propone una sorta di propria autobiografia  (scritta in prosa). Il racconto autobiografico però si interrompe per dieci volte e lascia spazio  alle pagine a fumetti più significative di alcune delle sue avventure dei primi dieci anni della sua vita editoriale. Quelli, cioè, del periodo delle serie a striscia (1961-1970), in seguito riproposte nella collana Zenith e in varie ristampe. 

Selezionare quali sequenze enucleare non è stato facile. In alcuni casi la scelta si è rivelata inevitabile (il primo scontro con Hellingen non poteva mancare), in altri si è cercato di non sovrapporsi a riedizioni integrali in volume già presenti in libreria e dunque storie di recente ristampate sono state escluse in favore di altre ugualmente interessanti. Le sezioni del libro con la voce dello Spirito con la Scure a fare da io narrante completano il quadro e possono offrire spunti per nuove letture, andando a ricercare altre storie negli scaffali della propria collezione, in libreria, tra gli arretrati disponibili o sulle bancarelle dell’usato.  Anche dare la caccia alle puntate di una saga a fumetti è, in fondo, un’Avventura.

Forse faremo un secondo volume dedicato alle avventure non citate o a quelle del periodo successivo al 1970. Nel racconto in prosa ci sono alcune novità riguardanti cose che non sapevamo del personaggio, e ho cercato di immaginarmi come Patrick Wilding commenterebbe o giudicherebbe certi avvenimenti, per trarne una conclusione, una lezione di vita (non una morale). Se siete curiosi dello "stile" con cui Zagor racconta la propria vita, qui di seguito trovare il mio incipit.


Un uomo, una donna e un bambino

Il mio nome è Patrick Wilding. Tutti mi conoscono però come Zagor, abbreviazione di Za-Gor-Te-Nay, che in lingua algonchina significa Spirito con la Scure. Quanto sto per raccontarvi chiarirà come sia accaduto che abbia cominciato a farmi chiamare così. Sono nato nei primi anni del Diciannovesimo secolo, è difficile anche per me dire esattamente quale (ma potrebbe essere lo stesso in cui Lewis e Clark iniziarono la loro esplorazione del Missouri), in una zona ancora selvaggia della Virginia occidentale, dalle parti di Wheeling, in quella che dal 1776 era stata chiamata Ohio County. In realtà non ho mai visto Wheeling né alcuna altra città fino all’età di quasi quindici o sedici anni, per dire come fossero lontani dalla civiltà i luoghi in cui ho vissuto per tutta la mia infanzia e la prima adolescenza. Là dove sono venuto al mondo sorgeva la capanna di tronchi che mio padre aveva costruito con le sue mani, lontana parecchie miglia da ogni altro luogo abitato, in una radura in mezzo alla foresta, sulla riva di un piccolo fiume chiamato Clear Water, poco più di un torrente che poi si getta nell’Ohio. Mia madre si chiamava Elizabeth Burton, era una immigrata irlandese di umili origini, salita da sola su una nave e sbarcata al porto di Boston, in cerca di fortuna e di lavoro, all’età di quindici anni. Proprio in quella città aveva conosciuto, alcuni anni dopo, un giovane trapper giunto dalle montagne dell’entroterra per stringere accordi d’affare con un mercante di pellicce. Quell’uomo si chiamava Mike Wilding, e sarebbe diventato mio padre. I due si innamorarono e si sposarono. Mike condusse Betty con sé e, dopo alcuni spostamenti, si stabilirono là dove vi ho detto. Non trascorse troppo tempo prima che io nascessi. 

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