Di fronte a piccoli capolavori come “L’isola degli idealisti”, e l’aggettivo “piccolo” è soltanto prudenziale, vien fatto di chiedere quanti altri gioielli inediti di Giorgio Scerbanenco (1911-1969), nascondano gli archivi. Infatti, questo straordinario romanzo è riemerso dopo oltre settantacinque anni dalla sua stesura, avvenuta tra il 1942 e il 1943 all’albergo Toledo sul lago d’Iseo, dove lo scrittore si era ritirato per poter lavorare (collaborava con diverse testate) al riparo dai bombardamenti che bersagliavano Milano, poco prima di fuggire in Svizzera (come fece anche Giovanni Luigi Bonelli, un altro milanese macinatore di trame). Cecilia Scerbanenco, nella sua prefazione, commentando il ritrovamento dell’opera e le poche notizie che riguardano la sua mancata pubblicazione dopo l’effettiva consegna alla stampa, si dice convinta che fosse stata commissionata dal “Corriere della Sera” per la pubblicazione a puntate (trenta, secondo un appunto dell’autore). Alcuni titoli andarono dispersi, “smarriti nel caos scatenatosi in tutta Italia dopo l’8 settembre del 1943”, spiega la prefatrice. “Una macchina per scrivere storie”, così Oreste del Buono definiva Scerbanenco, narratore “in grado di scrivere quattro o cinque novelle, di mandare avanti due puntate di romanzi, di tenere due o tre rubriche di corrispondenza e di buttar giù, sempre nella stessa, unica settimana, un numero imprecisato di pezzi e pezzetti necessari al completamento di questa o quella testata”. Il corpus di romanzi e racconti dello scrittore ucraino naturalizzato milanese è sterminato e comprende opere dei generi più diversi (fantascienza, rosa, giallo, western), anche se la vera popolarità gli venne, un po’ tardiva, con il ciclo noir dedicato al personaggio, un medico radiato dall’Albo per aver praticato una eutanasia, Duca Lamberti. Di Scerbanenco e della sua vita avventurosa abbiamo già parlato recensendo “Venere privata” (potete cliccare sul titolo per saperne di più).
Lo spunto de “L’isola degli idealisti” è brillante e originale: sull’Isola della Ginestra, un piccolo scoglio in mezzo a un non precisato lago, vive placidamente, intorno agli anni Trenta, la famiglia (decisamente benestante) del bizzarro Celestino Reffi, medico non praticante con la passione per la matematica e per gli esperimenti insoliti (come riuscire a far contare il cane di casa), composta, oltre che da lui, da sua sorella Carla, scrittrice sena successo e dal loro padre Antonio, otorinolaringoiatra in pensione, dai cugini spiantati Vittorio Bras e da sua moglie Jole, dall’alano Pangloss e dalla servitù, tra cui spicca il custode Marengadi. La tranquillità della villa abbarbicata sullo scoglio è infranta, una sera, dall’irruzione di due ladri d’albergo, Guido e Beatrice, braccati dalle forze dell’ordine, che chiedono di venire nascosti per la notte e di poter riprendere la fuga il mattino successivo. Celestino accetta di dare loro asilo a patto che si trattengano sull’isola dove lui si occuperà di educarli all’onestà: se ne andranno solo se diventeranno persone per bene. Un altro dei singolari esperimenti del giovane Reffi, agli occhi degli altri famigliari, che ne prevedono l’inevitabile fallimento ma non si oppongono. Il susseguirsi degli avvenimenti non è però tanto facilmente immaginabile e i colpi di scena si susseguono. Magistrale Scerbanenco nel caratterizzare ciascuno dei personaggi e nel farli muovere in modo imprevedibile, fino a rovesciare i pronostici.
Lo spunto de “L’isola degli idealisti” è brillante e originale: sull’Isola della Ginestra, un piccolo scoglio in mezzo a un non precisato lago, vive placidamente, intorno agli anni Trenta, la famiglia (decisamente benestante) del bizzarro Celestino Reffi, medico non praticante con la passione per la matematica e per gli esperimenti insoliti (come riuscire a far contare il cane di casa), composta, oltre che da lui, da sua sorella Carla, scrittrice sena successo e dal loro padre Antonio, otorinolaringoiatra in pensione, dai cugini spiantati Vittorio Bras e da sua moglie Jole, dall’alano Pangloss e dalla servitù, tra cui spicca il custode Marengadi. La tranquillità della villa abbarbicata sullo scoglio è infranta, una sera, dall’irruzione di due ladri d’albergo, Guido e Beatrice, braccati dalle forze dell’ordine, che chiedono di venire nascosti per la notte e di poter riprendere la fuga il mattino successivo. Celestino accetta di dare loro asilo a patto che si trattengano sull’isola dove lui si occuperà di educarli all’onestà: se ne andranno solo se diventeranno persone per bene. Un altro dei singolari esperimenti del giovane Reffi, agli occhi degli altri famigliari, che ne prevedono l’inevitabile fallimento ma non si oppongono. Il susseguirsi degli avvenimenti non è però tanto facilmente immaginabile e i colpi di scena si susseguono. Magistrale Scerbanenco nel caratterizzare ciascuno dei personaggi e nel farli muovere in modo imprevedibile, fino a rovesciare i pronostici.
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