sabato 22 novembre 2025

CHI (NON) L’HA DETTO


 Stefano Lorenzetto
CHI (NON) L’HA DETTO
Marsilio
2019, brossura
400 pagine, 18 euro

Il sottotitolo, “Dizionario delle citazioni sbagliate”, basta a spiegare di che cosa si tratta: un elenco, certosino e quasi maniacale, di false attribuzioni di frasi e sentenze di cui non si è controllata la fonte, compilato da un giornalista con gli occhi da nittalopo, Stefano Lorenzetto (1956) specializzato in interviste, collaboratore dello Zingarelli e con nel curriculum incarichi di responsabilità in vari quotidiani. La lunga introduzione dell’autore è un saggio (che da solo vale il prezzo del biglietto) sul lavoro di chi scrive per mestiere e per mestiere dovrebbe essere moralmente obbligato a faticare sulla conferma della fondatezza delle informazioni fornite ai lettori. Oltre a non diffondere fake news, giornalisti e articolisti, saggisti e oratori, dovrebbero non citare a vanvera. Lo spicilegio di Lorenzetto nasce da una collezione di errate paternità attribuite a questo o a quello solo per sentito dire, raccolte nel corso degli anni con lodevole pignoleria, analizzate una per una alla ricerca del vero titolare di una massima o di un detto memorabile. Se le citazioni sbagliate abbondano su libri e giornali, addirittura imperversano sui i blog e sui social. 

Lorenzetto procede ordinando per autore i personaggi a cui sono attribuite parole che non hanno mai detto, e che in molti casi neppure si sarebbero sognati di dire. Si comincia con Adorno e con una frase riguardante Auschwitz e i mattatoi che è invece da attribuire a Charles Patterson; si finisce con Thomas Watson, presidente della IBM e la sua previsione “penso che ci sia un mercato mondiale, per, forse, cinque computer” (dichiarazione di cui non c’è traccia nei suoi scritti e discorsi, né negli archivi della multinazionale). Si scopre che Goebbels non disse mai “quando sento la parola cultura metto mano alla pistola” (a pronunciare la frase fu un altro gerarca nazista, Baldur von Schirach, che la rubò al commediografo tedesco Hans Johst); ma anche Gesù Cristo dicendo (o come gli viene fatto dire dagli evangelisti) “prima che il gallo canti” citò Plauto che scrisse “prius quam galli cantent” nel “Miles gloriosus”; del resto nessuna fonte precedente a una biografia del 1789 riporta l’aneddoto secondo il quale Galileo Galilei nel 1633 avrebbe detto “eppur si muove”. Persino De Coubertin non è l’autore dell’aforisma “l’importante non è vincere, ma partecipare”, attribuibile invece al vescovo protestante Ethelbert Talbot. Si resta stupiti del fatto che il generale Cambronne non esclamò mai “Merde!” a Waterloo, mentre è risaputo che Conan Doyle non mise mai in bocca a Sherlock Holmes il tormentone “elementare Watson” e che a Machiavelli non si può attribuire la sentenza secondo la quale “il fine giustifica i mezzi”. Tutto molto divertente. Tuttavia alcune smentite sono opinabili: per esempio, Lorenzetto contesta l’attribuzione a Flaubert della frase “Madame Bovary sono io” solo perché la fonte sembra essere la testimonianza di una donna con la quale era in corrispondenza, e alla quale avrebbe appunto scritto così. Vien fatto di pensare che, tutto sommato, potrebbe essere vero. Un elemento a sfavore dell’autore sono le digressioni personali che talvolta egli si concede, prendendo spunto da una citazione per raccontare fatti propri scollegati con l’oggetto della discussione. Particolarmente sgradevole è il caso della frase “de mortuis nihil nisi bonum” (dei morti non dir nulla se non di buono, ovvero non parlare male dei defunti), attribuita a Kant mentre in realtà è di Diogene Laerzio, citata per sostenere che in realtà ci sono morti di cui è lecito dire peste e corna e dilungarsi sulle colpe parrebbe imperdonabili di uno scomparso, nel frangente Umberto Veronesi (che nulla c’entra con Kant e Diogene Laerzio). Comunque sia, il dizionario di Lorenzetto è gradevole, interessante, curioso e pieno di cultura. Soprattutto invita a non dare per scontato nulla di ciò che si legge, si sente dire e persino si dice.


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