venerdì 20 maggio 2016

L’ARPA D’ERBA



L’ARPA D’ERBA
di Truman Capote
Garzanti
Collana Gli Elefanti
1996, brossurato 
140 pagine -  lire 14.000

“Se, uscendo dalla città, imboccate la strada della chiesa, rasenterete di lì a poco una abbagliante collina di pietre candide come ossa e di scuri fiori riarsi: è il cimitero Battista. Vi sono sepolti i membri della nostra famiglia, i Talbo, i Fenwick. Mia madre riposa accanto a mio padre e le tombe dei parenti e degli affini, venti o più, sono disposte intorno a loro come radici prone di un albero di pietra. Sotto la collina si stende un campo di saggina, che muta di colore ad ogni stagione; andate a vederlo in autunno, nel tardo settembre, quando diventa rosso come il tramonto, mentre riflessi scarlatti simili a falò ondeggiano su di esso ed i venti dell’autunno battono sulle foglie secche evocando il sospiro di una musica umana di un’arpa di voci”. Comincia così quello che in quarta di copertina viene definito “il capolavoro di Capote”. E con le parole di una delle protagoniste, Dolly, si spiega: “Senti? E’ un’arpa d’erba, che racconta qualche storia. Conosce la storia di tutta la gente della collina, di tutta la gente che è vissuta, e quando saremo morti racconterà anche la nostra storia”. 
E’ un po’ tutto qui il senso del breve romanzo: un labile spunto narrativo serve da cornice perché l’io narrante, il giovane Truman, racconti, saltando da uno all’altro, episodi di vita vissuta in una noiosa cittadina della campagna americana negli anni fra le due guerre. Il romanzo stesso, insomma, è l’arpa d’erba che sa la storia di tutta la gente della collina, e ne narra qualcuna. Orfano di padre e di madre e affidato a due biscugine, vecchie zitelle, Truman vive nella loro casa finché Dolly, una delle sorelle, litiga con l’altra, Verena, e si ritira a vivere, per ripicca, su una vecchia capanna costruita su un albero chissà da chi e chissà quanto tempo prima. Truman la segue con la governante di colore, Catherine. Al terzetto si unisce poi qualcun altro bizzarro individuo, e i rifugiati sull’albero subiscono il ripetuto intervento delle autorità costituite che vogliono farli tornare a casa. Poi Dolly muore di morte naturale e insomma, per Truman i pochi giorni trascorsi nella capanna restano il ricordo di una avventura adolescenziale. Fine della trama. Il resto sono divagazioni, elzeviri ed esercizi di stile. La noiosa cittadina è davvero noiosa.  Capote, secondo la quarta di copertina, racconta “un destino che si compone di mille frammenti: realtà e sogni infantili, pettegolezzi e  crudeltà di paese, grandi amori e tragiche passioni”. I grandi amori e le tragiche passioni in realtà non le ho viste, il resto sì, ma va bene così. E’ insomma uno di quei libri che si leggono, evidentemente, per seguire il fluire della prosa dell’autore, più che perché intrigati dalla trama.

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