domenica 18 novembre 2018

IL CLUB DUMAS



Arturo Pérez-Reverte
IL CLUB DUMAS
Tropea
1997, 384 pagine

Scritto nel 1993 da un giornalista spagnolo (poi divenuto scrittore a tempo pieno), "Il Club Dumas" è divenuto in breve un caso letterario nella penisola iberica e in Francia, prima di spopolare in mezzo mondo.Il motivo di tanto successo non stupisce chi abbia letto il libro. Che è eccezionale.  Innanzitutto l'autore è, indubbiamente, uno scrittore di razza, e i romanzi successivi (da quelli del ciclo del Capiran Alatriste a "La pelle del tamburo" o a "La tavola fiamminga") lo avrebbero confermato. Pérez-Reverte ha la capacità rara di essere colto ma accattivante, erudito ma non pedante, letterario ma non pesante, di spessore ma non prolisso. Sa scrivere bene, ma mette la sua penna al servizio della storia (e dunque del lettore) e non del bello stile fine a sé stesso (e non, dunque, della sua vanagloria).  A ciò si aggiunge l'ambientazione estremamente affascinante del romanzo, che è un giallo letterario, imbevuto di letteratura dall'inizio alla fine: il protagonista è lo spagnolo Lucas Corso, di professione "cacciatore di libri", vale a dire agente al servizio di importanti librai antiquari di mezza Europa che gli commissionano il recupero di incunaboli, prime edizioni, testi rari, codici e manoscritti. Pur non essendo egli stesso un collezionista, ma ritenendosi solo un "mercenario" della bibliofilia, Corso è un esperto del settore e seguendolo anche il lettore comincia a capire qualcosa della logica di un commercio e di una passione così particolare. A Corso capitano due incarichi in contemporanea, entrambi piuttosto singolari. Il primo è verificare l'autenticità di un manoscritto autografo attribuibile a Dumas di un capitolo dei "Tre Moschettieri" intitolato "Il vino d'Angiò". Il secondo, di controllare quale delle tre copie esistenti di un libro stampato a Venezia nel 1666 sia l'unico originale, dato che il tipografo, condannato dall'Inquisizione, giurò di averne lasciato un solo esemplare. Il libro in questione si intitola "Le nove porte" ed è un testo ritenuto demoniaco, e comunque riguardante formule per evocare Satana. Contiene nove incisioni, proprio confrontando le quali Corso non tarda ad accorgersi di una particolarità: i disegni sono stati modificati e sono diversi in ciascuno dei tre volumi. Proprio studiando il modo in cui le incisioni sono state cambiate e disposte si può arrivare al segreto contenuto nell'opera. Peréz-Reverte ha fatto in modo che le incisioni fossero riportate all'interno del libro in modo che ogni lettore possa arrivare da solo alla decifrazione del messaggio segreto svelato nel finale, allorché si scopre che le morti collegate al mistero delle Nove Porte sono opera dello stesso bibliofilo, Varo Borja, che ha dato l'incarico a Corso di scoprire il libro originale, l'unico utile per evocare il demonio. Demonio la cui presenza aleggia in ogni pagina del libro, sia sottoforma di inquietudine e di mistero che nei panni di una ragazza di cui Corso si innamora, Irene Adler, e che fino all'ultimo mantiene intatti i dubbi su chi sia veramente. Ma anche la vicenda del manoscritto di Dumas tiene con il fiato sospeso, e fino all'ultimo si crede che sia intrecciata con quella delle Nove Porte. Invece, alla fine, si scopre una verità del tutto diversa, molto letteraria: noi siamo ciò che leggiamo, e a volte le troppe letture possono farci fare collegamenti arbitrari, farci percepire diversamente la realtà, come Corso che vede tutte le vicende relative al "Vino d'Angiò" come orchestrate sulla falsariga dei "Tre Moschettieri". Davvero sorprendente la rivelazione di sia il "Richelieu" della vicenda. L'io narrante è un professore universitario studioso di Dumas e dei romanzi di appendice, la cui filosofia è del tutto condivisibile, come il suo disprezzo (che è anche il mio) per i romanzi in cui l'autore non parla altro che di sé stesso, e si crogiola nel proprio bello scrivere, dimenticando l'intreccio e l'avventura. Che anche Peréz-Reverte la pensi così è certo: altrimenti il portatore di queste idee non avrebbe parlato, pur essendo un personaggio fittizio, in prima persona. Peccato per il brutto film che da questo bel libro è stato tratto.


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