lunedì 8 aprile 2024

GLI ZII DI SICILIA

 

Leonardo Sciascia
GLI ZII DI SICILIA
Adelphi
1992, brossurato
250 pagine, 18 euro


Se si pensa a Leonardo Sciascia (1921-1989), è facile ricordarlo come l’autore de “Il giorno della civetta” o di “A ciascuno il suo”. Forse, grazie al film che ne è stato tratto, anche di “Todo modo”. Più difficile sentirlo rammentare per un altro, pur notevole, romanzo: “Il consiglio d’Egitto”. Tutte opere di cui abbiamo parlato di questo spazio. Ma, secondo me, il libro più bello dello scrittore di Racalmuto è “Gli zii di Sicilia”, pubblicato nel 1958 nei “Gettoni” diretti da Elio Vittorini (altro scrittore siciliano di cui ci siamo occupati) e poi riproposto di nuovo nel 1960 con l’aggiunta di un quarto racconto oltre ai tre presenti nella prima edizione, il fondamentale “L’antimonio”. Già, perché “Gli zii di Sicilia” è una antologia di quattro romanzi brevi (o racconti lunghi, sempre difficile da distinguere), uniti da alcuni tratti comuni. Innanzitutto, i protagonisti sono tutti siciliani; in secondo luogo l’ambientazione è storica e i personaggi si confrontano con avvenimenti epocali di grandi trasformazioni politiche e sociali; terzo punto, ci sono dibattiti e confronti ideologici (fascismo e antifascismo, comunismo e clericalismo, potere baronale e movimenti liberali) ma che mostrano le contraddizioni di ogni posizione; infine, c’è di mezzo la guerra, vista (da lontano o da vicino) con gli occhi degli ultimi, inquadrata dal livello del suolo. Leonardo Sciascia è già il narratore straordinario che in seguito avrebbe, più che dimostrato, confermato di essere: non una parola di più, non una di meno; un stile caratterizzato da un periodare pulito, elegante, misurato, attento ai dettagli ma solo a quelli essenziali, coinvolgente, ironico, sommesso.
Il primo racconto, “La zia d’America”, racconta dello sbarco americano in Sicilia nel 1943 con la voce di un ragazzino che vede prima fuggire i tedeschi, poi smantellare le insegne del regime dalla piazza del paese, quindi togliere i gagliardetti mussoliniani dal bavero delle giacche, ascoltando anche i mugugni e le recriminazioni dei nostalgici in risposta alle aspettative di aiuti economici e di libertà dei compaesani, fino alla comparsa delle prime pattuglie alleate. A guerra finita, arriva in visita la famiglia di una zia emigrata in America che ha fatto fortuna nel commercio, con un “storo”, ma che disprezza la povertà e le mosche dei parenti siciliani.
Il secondo racconto, "La morte di Stalin", narra di un convinto comunista cresciuto nel culto di Stalin, da lui considerato il migliore degli uomini e la speranza dell'Umanità, salvo poi vederne crollare il mito e venire costretto dai suoi stessi compagni di partito a convincersi dei crimini del leader, così da perdere ogni punto di riferimento.
Il terzo romanzo breve è “Il quarantotto”, inteso come 1848, l’anno in cui cominciarono a germinare in Italia i primi movimenti che avrebbero portato ai moti risorgimentali e all’impresa di Garibaldi. Anche in questo caso l’io narrante è un ragazzino, figlio di un cocchiere al servizio di un barone, che, cresciuto, si arruola fra le fila garibaldine e vede il nobiluomo cambiare casacca e, da fervente borbonico, trasformarsi in liberale.
Il più bello dei racconti è però il quarto “L’antimonio”, il ci titolo fa riferimento al nome dato dagli zolfatari siciliani al gas che provoca esplosioni nelle miniere di zolfo. Proprio dopo essere scampato a una di queste esplosioni, il minatore protagonista decide di arruolarsi volontario nella Guerra di Spagna (1936-1939): nulla o quasi sa del perché là si combatta, sa solo che combattendo si guadagna ciò che basta a mantenere la famiglia e se si muore, si muore sotto il sole e non in una galleria sottoterra. Una volta al fronte, però, le cose cominciano a farsi più chiare davanti ai suoi occhi. Un testo illuminante, un capolavoro.

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