sabato 7 ottobre 2023

IL GIORNO DELLA CIVETTA

 
 

 
 
 
Leonardo Sciascia
IL GIORNO DELLA CIVETTA
Adelphi
brossurato, 2002
137 pagine, 9,50 euro


Scritto da Leonardo Sciascia nel 1960 e pubblicato da Einaudi nel 1961, “Il giorno della civetta” è considerato il primo grande romanzo che racconta la mafia. In quegli anni, gran parte della politica e dell’informazione della mafia negava addirittura l’esistenza. In una nota, l’autore spiega che i fatti da lui narrati sono inventati “per esempio” ma che ce n’è uno vero, raccontato tale e quale a come è avvenuto: c’è infatti una scena ambientata nell’aula di Montecitorio in cui un viceministro, chiamato a rispondere a una interrogazione parlamentare circa l’ordine pubblico in Sicilia, replica sostenendo che i fatti di sangue che vi avvengono sono da attribuirsi alla criminalità comune, dato che dell’esistenza di una ramificata organizzazione mafiosa si favoleggia soltanto. Scrive Sciascia: «sulla mafia esistevano degli studi, studi molto interessanti, classici addirittura: esisteva una commedia di un autore siciliano che era un'apologia della mafia e nessuno che avesse messo l'accento su questo problema in un'opera narrativa di largo consumo». Ci voleva dunque che la letteratura facesse violenza all’omertà politica mostrando la civetta, animale notturno, ormai abituato a palesarsi anche di giorno (la citazione da cui nasce è il titolo è shakespeariana). Non solo Sciascia descrive dunque la Sicilia così com’è (nel bene e nel male) ma prevede l’infiltrazione mafiosa in tutto il territorio nazionale. Nel finale del racconto, uno dei personaggi dice infatti: «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia. A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno. La linea della palma… io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato. E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma». Come accade anche in “A ciascuno il suo”, di cui ci siamo occupati in questo spazio, il racconto potrebbe considerarsi un giallo: ci sono degli omicidi (ben tre), vengono svolte le indagini del caso, manca però il lieto fine. Il protagonista è il capitano Bellodi, un ufficiale dei Carabinieri di origini emiliane, convinto di poter condurre le sue inchieste con le stesse modalità in cui si svolgono a Parma, dov’è nato. E dimostra, nell’interrogare testimoni e sospetti con modi gentili che nascondono una grande finezza psicologica, un eccezionale acume. Collega tra loro i tre casi delle morti di Salvatore Colasberna, un imprenditore, di Paolo Nicolosi, un potatore testimone del delitto e di Calogero Dibella, informatore degli uomini della legge. Individua il sicario del rimo omicidio, il suo mandante che fa tacere il testimone, e il boss sopra di loro a cui si deve l’ordine di punire Dibella, don Mariano. Far confessare e arrestare i primi due gli è, per così dire, facile, ma quando tenta di mettere le mani su don Mariano, lo stesso maresciallo Ferlisi che gli fa da assistente si mette in mezzo con inaudita veemenza. Bastano pochi giorni di congedo in cui Bellodi fa ritorno a Parma per vedersi smontare tutta l’inchiesta con alibi costruiti a regola d’arte e ritrattazioni di testimonianze rese. Lo scoramento sembra convincere il capitano a restarsene al Nord e lasciar perdere la Sicilia. Ma… il finale è davvero bello e inquietante al tempo stesso. Sciascia (1921-1989) è un narratore straordinario, con una prosa musicale e ipnotica, fatta di poche parole che riducono il racconto all’essenziale dando però l’idea che sia stato detto tutto. Da leggere incantati. Fra le pagine memorabili, quella in cui don Mariano si rivolge così a Bellodi: «Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo.» Da “Il giorno della civetta” il regista Damiano Damiani ha tratto un film nel 1968.

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