venerdì 8 marzo 2024

TODO MODO


 
 
Leonardo Sciascia
TODO MODO
Adelphi
brossurato, 2003
124 pagine, 10.45 euro


Credo sia impossibile recensire efficacemente “Todo modo” di Leonardo Sciascia (senza pretendere che queste mie brevi annotazioni si possano dire a pieno titolo recensioni e men che mai efficaci) evitando di accennare al finale e dunque di svelarlo facendo quel che si suole dire “dello spoiler”, peccato tanto più grave quando si tratta di un giallo. Tuttavia, è sommamente vero che il romanzo non si esaurisce nel suo risvolto poliziesco, e forse (anzi, sicuramente) questo aspetto è ciò che meno importa all’autore. Quindi, il fatto di conoscere come va (o non va) a finire non dovrebbe scoraggiare nessun lettore, di certo in grado di apprezzare comunque tutto il resto. Dunque, mettiamoci d’accordo: questa arzigogolata premessa valga come avviso contro lo spoiler: qui di seguito rivelerò il nome dell’assassino (e cercherò di spiegare perché non possa fare a meno di argomentarci sopra). 
Cominciamo dall’autore e dal titolo. Leonardo Sciascia (1921-1989) intitolò così il suo quinto romanzo, ambientato negli anni Settanta e uscito nel 1974 (il primo, “Il giorno della civetta”, è del 1961) utilizzando l’inizio di una citazione dagli “Esercizi spirituali” di Sant’Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti: "todo modo para buscar la voluntad divina" cioè "ogni mezzo per cercare la volontà divina". Degli insoliti “esercizi spirituali” che coinvolgono amministratori, notabili e uomini d’affari, sotto la guida dell’ineffabile don Gaetano (vero protagonista del racconto) fanno per l'appunto da sfondo all’intero romanzo, a significare evidentemente la commistione tra la Chiesa e la politica. Il punto di vista laico e non compromesso, quello di Sciascia parrebbe di poter dire, è rappresentato dall’io narrante, di cui si sa soltanto che è un famoso pittore, uomo curioso oltre che di cultura, attento osservatore della realtà come si richiede appunto da chi faccia il suo mestiere. 
Lo scenario è quello di un moderno albergo costruito inglobando un antico romitorio, l’Eremo di Zafer (sulla cui ubicazione non ci sono indizi). Qualcuno fra i commentatori ha notato che negli anni Sessanta e Settanta a Zafferana Etnea si ritiravano periodicamente in ritiro, per così dire, spirituale i maggiorenti della Democrazia Cristiana. Lecito dunque ipotizzare un riferimento con gli “esercizi spirituali” di una settimana organizzati ogni anno da don Gaetano, costruttore dell’albergo (e di altre strutture simili, a dimostrazione della sua abilità nell’avere le mani in pasta e nel saper gestire gli affari mondani oltre quelli religiosi). Invitati a prendervi parte sono un gruppo di esponenti dei potentati, ministri e cardinali e via via scendendo fino a direttori di banca, avvocati e imprenditori. Per alcuni di loro, non si sa chi, è l’occasione per far alloggiare nell’hotel anche le amanti (e infatti il pittore nota cinque donne sole, dall’espetto provocante e appariscente, che già alloggiano nell’Eremo di Zafer prima ancora che arrivino gli ospiti, e si tratta di persone non registrate alla reception: don Gaetano chiude un occhio). Per tutti, la settimana serve a concordare affari, spartirsi mazzette, chiedere e scambiare favori. Il pittore finisce per caso nell’albergo: cerca un luogo per sostare una notte durante un viaggio, viene a sapere del raduno che sta per aver luogo e, incuriosito, chiede a don Gaetano di potersi trattenere qualche giorno in più nonostante la struttura non sia, per la settimana degli “esercizi”, aperta al pubblico. Le conversazioni fra il celebre artista e il prete, che dietro l’aspetto dimesso cela una cultura in grado di rivaleggiare con quella di dotti e porporati, sono affascinanti e inquietanti al tempo stesso, come gli occhiali pince nez che il religioso porta sul naso, identici a quelli indossati dal demonio in un antico dipinto custodito nel suo studio. Il romanzo si tinge di giallo allorché in una breve successione di pochi giorni vengono commessi due omicidi tra gli ospiti dell’hotel, e il procuratore Scalambri impedisce a chiunque di allontanarsi, dimostrandoti comunque soltanto in grado di scoprire, grazie a un Commissario che lo assiste, un giro di mazzette che la prima vittima, il senatore Michelozzi, stava distribuendo a tutti gli altri del gruppo. Nessun progresso invece sull’identità dell’assassino. Il pittore si rivela indagatore ben più dotato ma nulla rivela al lettore, se non che ha capito tutto in seguito a certi sopralluoghi alla ricerca di prove. Quali siano queste prove, però, non lo si sa. Anche se, a dire il vero, non mancano le allusioni. Il romanzo si conclude, in pratica, con un terzo omicidio: quello di don Gaetano. Un vero colpo di scena! Peccato che la soluzione del giallo, con la ricostruzione dei fatti e dei moventi, e la rivelazione del nome dell’assassino, o degli assassini, non ci sia. Qualcuno ha ipotizzato che l’io narrante sia il colpevole almeno dell’uccisione di don Gaetano, e appunto i suoi non detti, simili a quelli di Agatha Christie ne “L’assassinio di Roger Ackroyd”, nascondano le sue effettive mosse. In effetti il pittore, in una frase sibilliana che sembra detta per scherzo, dice di essere per l'apputo lui l'assassino. Io sono di parere diverso, ed ecco cosa ho annotato nel mio diario (da buon grafomane, ne tengo uno): «Finisco di leggere “Todo modo”, restando molto perplesso. Scrittura magnifica, personaggi interessanti, trama che invoglia a proseguire nella lettura, poi improvvisamente un finale aperto in cui tre delitti restano senza spiegazione e si dice espressamente che l’assassino non si troverà mai. Naturalmente capisco che a Sciascia interessi di più, o solamente, alludere al malaffare, ai delitti e agli intrighi del sottobosco della politica (ben rappresentati dal gran burattinaio don Gaetano, prete misterioso e affascinante nella sua ambiguità), di cui non si riesce mai a venire a capo, ma un giallo senza colpevole grida vendetta al cospetto di Dio. Secondo me, l’assassino è lo stesso don Gaetano che da ultimo si è suicidato, vistosi sul punto di venire coinvolto nello scandalo delle mazzette scoperto nel corso del romanzo. Del resto una pistola viene trovata accanto al suo cadavere, a poca distanza dalla sua mano (per di più, una pistola da tutti ricercata dopo il primo delitto, e misteriosamente scomparsa: adesso invece non è stata nascosta). L'ipotesi del suicidio viene fatta ma subigto scartata ma apparentemente soltanto perché non si infaghi il buon nme di don Gaetano o perché non si può ritenere un uomo di tanto spessore capace di una bassezza, ma il titolo del romanzo è "todo modo", "con ogni mezzo", anche quelli più estremi, e che c'è di più estremo del suicidio?». Sciascia comunque mette in bocca ai suoi personaggi due affermazioni: che la verità con sarà mai scoperta, ma anche che, come la “lettera rubata” di Edgar Allan Poe, è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno la vede.

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