domenica 6 aprile 2025

TRAPPERS ALLA RISCOSSA

 
 


EsseGesse
TRAPPERS ALLA RISCOSSA
If Edizioni
2024, cartonato
320 pagine, 45 euro

Tutto bello, che altro dire? Belli i contenuti, i colori, l’apparato critico, la rilegatura, la carta, la qualità della stampa, la copertina (opera di Corrado Mastantuono). Il sottotitolo, “Le origini di Blek Macigno”, del resto, spiega quasi tutto. 
If Edizioni, che da tempo manda in edicola collane di albi dedicate agli eroi della EsseGesse, proposte in varie versioni e formati, e allargate alle avventure realizzate all’estero, confeziona un volume da libreria che raccoglie, a colori, i primi ventuno albetti di Blek Macigno originariamente pubblicati nel formato a striscia, in pratica l’intera prima serie (1954-1955). La cronologia del forzuto trapper conta trentatré serie (l’ultima è del 1967), quasi tutte composte, per l’appunto, da ventuno titoli. “Trapper alla riscossa” ci riconsegna dunque il Blek delle origini, ma anche le origini di Blek, che sono due cose diverse. Spiego perché. 
Nella prima avventura, il “gigante dai lunghi capelli biondi” (così lo definisce la didascalia d’esordio) scopre che la capanna di un suo amico, Lassiter, è stata data alle fiamme e l’uomo ucciso da assassini misteriosi. Si è salvato invece il figlio Roddy, di una decina d’anni, che da quel momento in poi, rimasto orfano, vieni praticamente adottato da Blek. Tuttavia, dal racconto è evidente che già Blek e Roddy si conoscono. Facciamo adesso un salto di settata anni. Nel maggio 2024 esce, curata dalla If, una serie a striscia inedita, intitolata “Il prequel”. Si tratta di tre albetti scritti da Nico Adami a partire da un’idea di Luca Barbieri, e illustrati da Raffaele Della Monica e Stefano Di Vitto (matite) e da Manlio Truscia (chine). Come suggerisce il titolo, vi si narrano gli avvenimenti di poco precedenti alla prima apparizione di Blek, e assistiamo all'incontro tra il colosso biondo e il ragazzino lentigginoso in cui i due fanno la reciproca conoscenza. 
A completare il volume giunge, opportunamente, una breve avventura realizzata dalla EsseGesse nel 1953, intitolata “Il piccolo trapper”, il cui protagonista è proprio Roddy, che agisce in solitaria, senza che Blek intervenga in alcun modo. Da notare come il trapper dal berretto di pelo viva le sue avventure negli anni della Rivoluzione Americana e abbia come suoi avversari, il più delle volte, le stesse Giubbe Rosse contro cui combatte anche il Comandante Mark, un altro personaggio della EsseGesse (1966). Due curiosità: la prima vignetta saga mostra il protagonista chino a guardare delle impronte sul terreno nella stessa identica posa (o quasi) di Zagor quando lo vediamo all’inizio de “La foresta degli agguati” (1961); inoltre, nell’ultima avventura fra quelle raccolte nel volume, Blek costringe il professor Occultis (la sua “spalla comica”, al fianco del colosso biondo fin dal sesto albetto a striscia) a tagliarsi i baffi per rendere più credibile un suo travestimento, anzi, glieli toglie lui stesso con un coltello, esattamente come fa lo Spirito con la Scure con Cico, chiamato a sostituire un certo colonnello Clark, in una avventura nolittiana del 1965.
Ho citato diverse volte la sigla EsseGesse dando per scontato che tutti sappiano che cosa significhi. Si tratta della firma, ottenuta dalle iniziali dei loro cognomi, con cui consegnavano alle stampe le loro opere Pietro Sartoris, Dario Guzzon e Giovanni Sinchetto, tre fumettisti torinesi uniti in sodalizio a partire dal 1950. Una sigla, quella della EsseGesse, divenuta leggendaria e popolare quanto i nomi dei loro eroi più famosi, Capitan Miki (1951) e il Grande Blek (1954), pubblicati entrambi dalla Casa editrice Dardo, fondata a Milano nel 1946 da Gino Casarotti.  Prima di cominciare a lavorare insieme, i tre avevano già realizzato alcune storie a fumetti per diverse case editrici. Giovanni Sinchetto, nato nel 1925, era stato il disegnatore di Fulmine Mascherato; Guzzon, classe 1926, aveva  firmato alcuni episodi di Cucciolo; Pietro Sartoris, infine, anch’egli del  1926, si era occupato dei disegni della collana “Tarman”, scritta da Amedeo Martini. Nel 1950, infine, i tre si uniscono in sodalizio per illustrare Kinowa, un personaggio scritto da Andrea Lavezzolo. Nel 1951 compare nelle edicole Capitan Miki, scrito e disegnato dai tre, seguito nel 1954 dal Grande Blek”. Il successo di Miki e Blek è enorme: grazie ai due personaggi, la EsseGesse si impone non solo nel mercato italiano, ma anche in quello europeo. Il trio torinese continua a realizzare le avventure del ranger e del trapper fino al 1965, quando lascia la Dardo, si mette in proprio e sperimenta un nuovo personaggio, Alan Mistero che non ha molta fortuna, suggerendo ai tre autori di riparare presso le edizioni Araldo di Sergio Bonelli, che pubblica l’ultima creazione di Sinchetto-Guizzon-Sartoris: il Comandante Mark. Nel curriculum dei tre, figura anche “Il cavaliere nero”, su testi di G.L. Bonelli.
Tra Miki e Blek, io ho sempre preferito il secondo: Miki è in fondo il classico ragazzino saputello che si muove sullo sfondo del classico West di maniera dei fumetti Anni Cinquanta; Blek invece è un "tipo": un colosso con i capelli lunghi e biondi e il torace offerto impavidamente alle intemperie, che agisce in uno scenario insolito delle foreste care a Fenimore Cooper, in un contesto storico inedito e interessante come quello della Guerra d'Indipendenza americana.


sabato 5 aprile 2025

IL MULINO DEL PO


Riccardo Bacchelli
IL MULINO DEL PO
Mondadori
Edizione Oscar 1979
tre volumi in brossura
2100 pagine complessive

La prima domanda che si pone il lettore, esitante davanti alla prospettiva di iniziare a leggere un’opera come “Il mulino del Po”, è: ma davvero vale la pena affrontare un romanzo in tre volumi, lungo oltre 2100 pagine complessive? Se vi interessa conoscere il mio parere, quello di uno che è felicemente giunto al termine dell’impresa, la risposta è: assolutamente sì. 
 
Mentre leggevo, il paragone che più mi veniva in mente era quello di accostare Riccardo Bacchelli (1891-1985) ad Alessandro Manzoni e di considerare “Il mulino del Po” la risposta novecentesca ai “Promessi Sposi”, più moderna e dunque arricchita da protagonisti che fanno sesso, da trame coinvolgenti che si intrecciano caratterizzati da personaggi vividi e non sempre adamantini, e di opposti schieramenti ideologici i cui conflitti permettono di affrontare tematiche sociali e descrivere le dinamiche e le tensioni politiche. Certo, Bacchelli non ha i meriti manzoniani riguardo alla nascita di una lingua italiana nazionale (che lui si ritrova già confezionata e che sa sfruttare al meglio), ed è sicuramente autore meno nobile ed influente, ma quante somiglianze fra i due scrittori, entrambi alle prese con il romanzo storico di ambientazione italiana, interessati alle vicende dei più umili inserite in contesti reali ricostruiti in maniera rigorosamente documentata, ambedue a fare i conti con la Provvidenza! La fede, in Bacchelli, è vista con maggior disincanto e non ci sono santi frati e illuminati vescovi, ma non si può narrare di contadini senza mostrare la loro religiosità. 

Lo scrittore bolognese diede alle stampe il suo romanzo, ambientato sulle rive del Po presso Ferrara, a spese proprie, tra il 1938 e il 1940. Il primo volume si intitola “Dio ti salvi” (660 pagine), il secondo “La miseria viene in barca” (680 pagine), il terzo “Mondo vecchio sempre nuovo” (790 pagine). L’opera venne poi riproposta in forma unitaria e definitiva nel 1957. Si narra la saga di quattro generazioni della famiglia Scacerni, e di una folta schiera di personaggi di contorno, a partire dalla disfatta di Napoleone in Russia (1812) fino alla Prima Guerra Mondiale (1918). Comincia con la battaglia sul Don e finisce con gli scontri sul Piave, non a caso fiumi, come quello che fa da sfondo a gran parte del racconto, il Po, descritto magistralmente in centinaia di pagine che ne raffigurano la potenza delle piene, la bellezza delle rive, la forza delle correnti, il suo mutar corso e forma, il suo essere amato e temuto da chi vive sulle sponde.
 
La sola lettura dei primi capitoli, ambientati durante la tragica ritirata delle truppe napoleoniche, permette di capire quale saranno i toni e il livello drammatico degli avvenimenti successivi, quelli innescati dall’incontro fra un giovane ferrarese arruolato a forza nell’esercito imperiale francese, Lazzaro Scacerni, e un capitano giacobino a cui salva la vita. Potrebbe essere un buon test, leggere le scene ambientate in Russia, per capire se andare avanti oppure no.  Sopravvissuto alla ritirata e rientrato a Ferrara, attraverso varie traversie Lazzaro diventa mugnaio, riuscendo nell’impresa di fabbricarsi un mulino galleggiante, all’epoca numerosi lungo il corso del Po, che funzionavano grazie alla forza della corrente del fiume. Comincia così una saga famigliare che vede succedersi varie generazioni e personaggi memorabili come Coniglio Mannaro (il cui vero nome è Giuseppe Scacerni, figlio di Lazzaro), Cecilia, il Raguseo, Princivalle, Berta, Orbino, lo Smarazzacucco Luca Virginesi, il latifondista Clapasson. Seguendone le vicende assistiamo alla Restaurazione, al governo del Regno della Chiesa sulle terre ferraresi, al contrabbando con quelle dell’altra riva in mano agli austriaci, poi ai moti risorgimentali, all’unità d’Italia, alle vessazioni del nuovo regno e in particolare all’odiatissima tassa sul macinato. Ma potenti sono anche le pagine riguardanti il propagarsi delle istanze socialiste, l’indizione dei primi scioperi, il boicottaggio verso i “crumiri”. 
 
Un vero libro di storia dentro il romanzo, con l’autore che si rivolge (manzonianamente) ai suoi venticinque lettori e approfondisce le questioni che le vicende sollevano riguardo alla politica, gli affari, le tensioni sociali. Bacchelli si dimostra espertissimo riguardo al modo di condurre i campi e ai rapporti che legavano i contadini dei vari poderi ai proprietari terrieri, rapporti che si evolvono nel tempo, con l’innovazione della mezzadria che non trova tutti concordi, anzi. Ferrato è l’autore anche nella nomenclatura esatta degli attrezzi dei mugnai, degli allevatori, dei carrettieri, dei calafati, degli sterratori. Tutti, sempre e comunque, poveri, minacciati dalle carestie e dalle piene, senza istruzione, vittime di ricorrenti epidemie. Un romanzo fluviale, è stato definito, in tutti i sensi. Sai che bella serie TV in tre stagioni ne verrebbe fuori oggi.



sabato 15 marzo 2025

IL NATALE DI FRA TINO

 

 
 
Athos
IL NATALE DI FRA TINO
Sbam!
2023, brossurato
80 pagine, 13 euro


Dopo aver dedicato, nel 2021, una prima antologia alle tavole di Fra Tino, la benemerita Sbam! aggiunge, due anni dopo, una seconda raccolta, questa volta a tema. Nel mezzo fra le due date c’è quella del quarantennale del personaggio, pubblicato a partire dal 1982 prima, e a lungo, sul “Giornalino” e poi ospitato su “Famiglia Cristiana”, sulle cui pagine ha potuto festeggiare i quattro decenni di ininterrotta produzione. Artefice dell’impresa, sia per i testi che per i disegni, l’emiliano (ma milanese di adozione) Atos Careghi (classe 1939), in arte Athos, vignettista all’opera a partire dal 1951 anche su varie altre testate (da “La Settimana Enigmistica” alla “Gazzetta dello Sport”). Fra Tino è un personaggio a fumetti sui generis, perché le nuvolette che danno il nome, in Italia, al fumetto stesso, proprio non ci sono: le tavole, essenziali anche nel tratto, sono rigorosamente mute. Eppure ciò che raccontano, nella stessa maniera di un film senza sonoro o dello spettacolo di un mimo, è immediatamente comprensibile anche (e soprattutto) dai bambini a cui principalmente sembra rivolgersi il delicato autore. Sembra, perché poi la poesia delle immagini riesce a sorprendere e far sorridere anche i più grandi. Il protagonista è un candido fraticello pelato, che vive con un piccolo gruppo di confratelli in un convento in cui ognuno è dedito alle proprie mansioni ma dove uno dei divertimenti è giocarsi scherzi a vicenda e soprattutto giocarne a Fra Tino, forse il più giovane, che però riesce ogni volta a ribaltare la situazione. Il fraticello  colora i fiocchi di neve, vede il bello e il poetico in ogni cosa,
ama ed è riamato dagli animali,come un novello San Francesco, però senza stigmate. Nonostante il saio indossato dai personaggi, non si nota un intento di propaganda religiosa o confessionale, ma è indubbio che le tavole di Athos, così solari e gioiose, solleticano la spiritualità e spingono a guardare con occhi incantati la realtà materiale. Si è detto che questa antologia è a tema: il tema è appunto, come suggerisce il titolo, quello delle festività natalizie. Una particolarità è che il volume si apre con la prima e unica storia lunga di Fra Tino, uscita nel 1990 (mentre il resto della produzione si sviluppa su singole tavole). 

domenica 9 marzo 2025

CICO STORY

 
 
 
Guido Nolitta
Gallieno Ferri
CICO STORY
Sergio Bonelli Editore
2024, cartonato, 2024
130 pagine, 24 euro

Scrive Sergio Bonelli: “Nel periodo  di tempo compreso tra il 1979 e il 1983, le limitate dimensioni della Casa editrice e la mia conseguente disponibilità di tempo libero mi indussero a dare sfogo a una vocazione che già si era manifestata tra le pagine avventurose e persino drammatiche della serie di Zagor che firmavo con lo pseudonimo di Guido Nolitta. Alludo alla possibilità di scatenare liberamente la mia vena ironica in un albo speciale in cui Cico assumeva il ruolo di protagonista assoluto”. 
 
La vocazione umoristica e la vena ironica nolittiane erano perfettamente assecondate dal disegnatore Gallieno Ferri, in grado di passare dalle atmosfere più cupe (come quelle de “La casa del terrore” o di “Alba tragica”) a quelle assolutamente ilari delle gag e degli sketch di Felipe Cayetano Lopez Martinez y Gonzales (questo il nome completo del compagno di mille avventure dello Spirito con la Scure). Con l’albo fuori-serie intitolato "Cico Story", uno spin-off di 120 tavole della collana Zenith, uscito durante l'estate del 1979, si inaugurava non soltanto la collezione degli speciali di Cico, ma anche la consuetudine degli “speciali” bonelliani, di cui il volumetto “extra” dedicato al buffo messicano rappresenta appunto il capostipite. Il riscontro di pubblico fu così notevole, che Sergio Bonelli (autore dei testi con lo pseudonimo di Guido Nolitta, ma anche editore di se stesso) tornò all'arrembaggio per cinque estati consecutive. Dopo “Cico Story” escono con cadenza annuale “American Cico”, “Un pellerossa chiamato Cico”, “Cico Sceriffo” e quindi “Fanta Cico” (1983). Con questo gustoso divertissement spaziale (parodia dei classici della fantascienza) si chiude la sequenza degli albi chichiani firmati da Nolitta e Ferri, i successivi ventitré portano la firma di altre coppie di autori (ben venti, quella di Moreno Burattini e Francesco Gamba). Il volume di cui vedete la foto in apertura, presentato in occasione di Lucca Comics 2024, è la riedizione in volume cartonato e a colori dell’albo che nel 1979 vendette la bellezza di 173.861 copie, come lo stesso Bonelli dichiarò presentando il sequel, “American Cico”.

Nell’esilarante  “Cico Story” il nostro Felipe Cayetano ci viene prima mostrato bambino a Veracruz, sua città natale, e poi possiamo seguirlo in  rapida crescita attraverso varie peripezie, fino al momento in cui il buffo eroe decide di varcare la frontiera ed emigrare negli Stati Uniti. Una particolarità di “Cico Story” è quella di riallacciarsi, quanto a “cornice” o “pretesto” narrativo, a un caposaldo della saga dello Spirito con la Scure, vale a dire “Zagor Racconta”, l’albo in cui l’eroe di Darkwood racconta al fido messicano la storia della propria vita. All’interno, il pancione narra all’amico il suo passato nello stesso contesto in cui si era svolto l’altrui resoconto. Infine, resta da notare come alcuni dei parenti di Cico di cui facciamo la conoscenza in questo volume (come la sorella Maria) facciano ritorno in avventure della serie regolare (quali “Sangue Apache” o “Sulla pista del nemico”), mentre alcuni altri congiunti qui assenti (per esempio, il nonno farmacista) siano destinati a comparire in albi successivi della collana. 

Qui di seguito riporto una mia disamina del personaggio scritta come introduzione a una pubblicazione dedicata a Cico dalle Edizioni If.

FELIPE CAYETANO ECCETERA ECCETERA
di Moreno Burattini

Nessun personaggio bonelliano è così comico come Cico. Nessuno, soprattutto, così pienamente, compiutamente, complicatamente comico al pari di lui. Cico sembra, in realtà, un personaggio piuttosto semplice, tale da non aver bisogno di nessuna particolare disamina. Invece, le implicazioni e i piani di lettura da approfondire ci sono. Cercheremo di farlo, qui e nell’introduzione dei prossimi volumi. Il nostro eroe è messicano e in realtà non si chiama Cico (termine che in spagnolo, scritto con una acca in più, vuol dire “ragazzo”), ma Felipe Cayetano. Vanta poi una sfilza di cognomi degna delle migliori dinastie di Spagna. La lista più accreditata ne comprende tre: Lopez Martinez y Gonzales. Tuttavia, in altre circostanze l’elenco è fornito in modo diverso e in “American Cico” ne troviamo uno particolarmente esteso: Gonzales y Rodriguez y Martinez y Consalvo y Morales y Rosales y Ramirez y Hernandez y Esopinosa.   In ogni caso, gli indiani lo chiamano "Piccolo Uomo dal Grande Ventre".  E’ sulla breccia ininterrottamente dal 1961, anno in cui fece la sua prima apparizione insieme a Zagor, in un albetto a striscia intitolato "La Foresta degli Agguati", proprio quello con il quale inizia la saga dello Spirito con la Scure (così l’eroe viene chiamato dagli indiani della foresta di Darkwood, dove sono ambientate le sue storie). Potremmo spingerci anche molto indietro nel trovare i “tipi” popolari antichi e moderni di cui Cico è la “summa”. Senza scomodare Aristofane o Plauto, e neppure Boccaccio o Goldoni, si potrebbero citare Cervantes e il suo Sancho Panza. Buffo, grassottello, pasticcione nato, Cico sembra, a prima vista, un assistente improbabile per un eroe d’azione. Ma, nonostante sia tutt’altro che coraggioso, il panciuto messicano segue l’amico dovunque vada e qualche volta con un suo intervento riesce persino a toglierlo dai guai. Non lo si creda tuttavia una semplice “spalla” o, peggio, uno scudiero. Il pancione messicano è un personaggio in grado di tenere la scena anche da solo, quale perfetto personaggio umoristico. Per l’umorismo, del resto, Sergio Bonelli (creatore del personaggio nei panni del suo alter ego Guido Nolitta, il nome-de-plume con cui firmava le sue sceneggiature)  aveva un vero talento. La cosa non meraviglia chi abbia assistito a quegli incontri con il pubblico in cui un Sergio in piena forma intratteneva l’uditorio con la verve di un brillante cabarettista. Bonelli aveva innegabilmente una perfetta padronanza delle regole e dei tempi del comico. Con il microfono in mano e qualcuno disposto a starlo a sentire, Sergio era irresistibile. Sapeva cogliere il lato divertente di ogni circostanza, raccontare aneddoti con il talento di un cabarettista e condire di ironia (e autoironia) qualsiasi discorso. Di questa sua capacità di divertire il pubblico faceva parte anche una buona dote recitativa, fatta di borbottii e di mugugni infilati al momento giusto a corredo di sguardi e smorfie degne del miglior palcoscenico. Nessuna meraviglia, dunque, se quando vestiva i panni dello sceneggiatore di fumetti, Sergio non poteva fare a meno di infilare l’umorismo nelle sue storie. Grazie a Cico. aveva trovato il modo di dar sfogo alla sua vena comica. Gallieno Ferri, versatile creatore grafico del character, ha saputo fin dall’inizio assecondare l’estro nolittiano rivelandosi un maestro anche come disegnatore umoristico. Tutte le più classiche avventure dello Spirito con la Scure cominciano con dieci, venti, trenta, persino cinquanta tavole completamente dedicate agli sketch del simpatico pancione. La saga di Zagor, si badi bene, è densa di avventure epiche e drammatiche, ma con le scenette del messicano sempre a fare da contrappunto ai momenti di maggior tensione. A un primo, sommario esame, le caratteristiche e il ruolo del  pancione possono sembrare simili a quelle delle tradizionali macchiette comiche abbinate ai classici eroi dei fumetti degli anni Cinquanta. Salasso e Doppio Rhum, tanto per fare degli esempi, erano al seguito di Capitan Miki; Roddy e il Professor Occultis erano i giullari alla corte di Blek. Anche Gim Toro aveva amici spiritosi, così come Maschera Nera (un personaggio western di Max Bunker con un amico chiamato Slitta). La differenza fra Cico e altre “spalle” umoristiche del fumetto consiste non solo nella quantità della presenza sulla scena, ma anche nella sua qualità. Il pancione, nelle storie scritte da Nolitta, ingombra molto di più il palcoscenico rispetto ai colleghi. Uno dei suoi ruoli, ovviamente, è quello di fornire il punto di vista del lettore all’interno della storia (il classico ruolo del Watson utile a Conan Doyle perché Sherlock Holmes abbia qualcuno a cui spiegare tutti i suoi perché e i percome). Ma Cico fa anche da alleato, da commentatore, da diversivo, da motore dell’azione, da deus ex machina, da angelo custode, e soprattutto riesce a brillare comunque di luce propria. Fin dalla sua prima apparizione, Guido Nolitta,  ha concesso a Cico tutta la corda di cui il character aveva bisogno. Come se non bastasse, solo dopo cinque speciali dedicati a Cico, anche Zagor ne ha avuto uno tutto suo.



SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN

 
 

 
Andy Weir
SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN
Newton & Compton
2014, cartonato
380 pagine

Si dice, di solito, che “era meglio il libro”. Nel caso di “The Martian”, pubblicato negli USA nel 2014 (dopo una prima edizione autoprodotta in ebook uscita nel 2011) e tradotto in italiano nello stesso anno, non sono così certo che si possa ripetere la frase fatta. Questo soprattutto perché la forza delle immagini della versione cinematografica che Ridley Scott ha tratto nel 2015 dal romanzo aggiunge e non toglie emozioni alle pagine di Andy Weir (classe 1972). Ma, di certo, “The Martian” è un gran bel libro, e se una volta tanto forse è “meglio il film” è per i meriti della pellicola e non per demerito del racconto scritto. Che, anzi, approfondisce di più gli aspetti scientifici di ogni singola soluzione trovata dall’astronauta Mark Watney, interpretato sullo schermo da Matt Damon. Astronauta creduto morto durante una tempesta di sabbia che costringe i suoi compagni, giunti in missione esplorativa sul Pianeta Rosso, a lasciare il suolo marziano in modo drammatico e frettoloso. Ma Watney in realtà è vivo e si trova solo su Marte, impossibilitato persino, inizialmente, a comunicare con la Terra. Si tratta indubbiamente di una versione spaziale del Robinson Crusoe di Daniel Defoe, con un naufrago che cerca di sopravvivere con i pochi mezzi a sua disposizione. Weir descrive minuziosamente gli stratagemmi di Mark per ricavare una scorta di acqua, di ossigeno, di cibo, sulla base di tecnologie e procedimenti scientificamente plausibili. Seguiamo Watney nel suo (riuscito) tentativo di coltivare patate nel terreno del pianeta alieno, e ci viene in mente il racconto “I fondatori” (Founding Fathers) scritto da Isaac Asimov nel 1965 in cui sono i cadaveri degli astronauti naufragati su un pianeta inabitabile a fertilizzare il terreno e a creare le condizioni per la terraformazione grazie alle specie vegetali da loro coltivate. Ma tra i precedenti c’è anche il romanzo “Martirio lunare” (The Moon is Hell!”, 1950) di John W. Campbell, che descrive la lotta per sopravvivere in un ambiente ostile, quello lunare, di un gruppo di astronauti in attesa di una spedizione di soccorso. Spedizione di soccorso che anche Mark Watney attende per centinaia di “sol” (così sono chiamati i giorni marziani), dovendo percorrere migliaia di chilometri sul suolo di Marte per raggiungere il punto da cui venire prelevato. Ciò che colpisce è non soltanto la lucidità con cui il naufrago affronta uno alla volta i problemi che gli si parano davanti, ma anche la sua incrollabile fiducia di riuscire a superarli. Mancano, e questo un po’ dispiace, le pagine che indaghino invece sui dubbi e lo sgomento dell’uomo di fronte alla concreta possibilità di una morte imminente. Mark sembra non avere una famiglia a cui pensare (ha due genitori a malapena citati), una donna che lo aspetta, un gruppo di amici di cui avere nostalgia, a parte l’equipaggio di colleghi a cui cerca di ricongiungersi. Questo anche perché la descrizione di ciò che Watney fa è affidata a quanto lui stesso racconta in un diario giornaliero in cui si limita ad annotare i fatti e non le emozioni. Il narratore diventa invece impersonale quando lo scrittore descrive ciò che accade sulla Terra. Comunque sia, è meglio il film, ma anche il romanzo è tanta roba.



lunedì 24 febbraio 2025

SUPPLEMENTO AL DIZIONARIO ITALIANO

 

Bruno Munari
SUPPLEMENTO AL DIZIONARIO ITALIANO
Corraini Editore
2024, brossurato
120 pagine
 
 
Senza questo supplemento, il vostro dizionario di italiano è incompleto. Come tutti sanno, infatti, gli italiani non si esprimono soltanto con le parole ma anche (a volte soprattutto) con le mani, con l'espressione degli occhi o del volto, talora con l'atteggiamento di tutto il corpo. Bruno Munari (1907-1998), che pubblicò questo aureo libretto per la prima volta nel 1963, sottolinea per esempio che la risposta "no" assume diversi significati se si alzano le sopracciglia, se si pronuncia guardando da un'altra parte, se si sporge il labbro inferiore, se si rivolge verso un oggetto la mano aperta, eccetera. Un primo catalogo di gesti fu pubblicato a Napoli nel 1832 dal canonico Andrea de Jorio, con il titolo "La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano" (maestri in materia, infatti, i partenopei). Si trattava di un tomo di 380 pagine di testo con sole 19 illustrazioni. Munari, centotrentuno anni dopo, può avvalersi di una cinquantina di fotografie per definire una selezione (minima e indispensabile) di altrettante pose del corpo e delle mani, scartando quelle oscene e volgari.  Ogni foto è corredata da una breve descrizione tradotta in quattro lingue, a uso e consumo di visitatori stranieri. 
Qualche esempio delle voci (cercate di immaginare come tradurreste voi con la mimica): "E' un dritto", "Io non so niente", "Silenzio",  "Non me ne importa",  "Pieno di gente", "Minaccia", "Rabbia", "Se l'intendono". 
Non si può non annotare come il "Supplemento al dizionario italiano" sia soltanto uno dei libri geniali, insoliti, creativi di Bruno Munari, come i "Libri illeggibili" (in cui le parole spariscono per lasciare spazio alla fantasia) o quelli "tattili". Artista poliedrico nato come pittore futurista Munari è poi diventato fucina di idee e di forme diverse di espressione, dai lavori di grafica alle installazioni delle “macchine inutili”.  C’è lui dietro la grafica di collane di libri che ho frequentato nelle mie letture, ma sarebbe lunghissimo esaminarne la sterminata prodzione artistica, letteraria, saggistica, fotografica, di design. 
 
 
 

sabato 22 febbraio 2025

50 SFUMATURE DI MARTIN


Valentino Forlini
50 SFUMATURE DI MARTIN
Amys
2024, brossurato
140 pagine, p.n.i.
 
Una chicca. Ma prima di spiegare perché, due parole sul percome. Innanzitutto, il Martin a cui allude il titolo è Martin Mystére, il Detective dell'Impossibile creato nel 1982 da Alfredo Castelli (1947-2024). Poi, Amys significa Amici di Martin Mystére, una benemerita Associazione Culturale con oltre venti anni di attività legata alla passione per il BVZM e il BVZA (Buoni Vecchi Zii Martin e Alfredo). Il volume che vedete in foto è stato pubblicato senza scopo di lucro, né l'autore né i curatori del progetto hanno percepito compensi, il ricavato della vendita risulta devoluto all'Associazione VIDAS (cito testualmente, "che ha permesso ad Alfredo Castelli di vivere con dignità i suoi ultimi giorni"). Veniamo all'artefice, Valentino Forlini, che si presenta efficacemente nella sua introduzione: cremonese, classe 1970, grafico e illustratore poliedrico (Lazarus Ledd, Samuel Sand, Erinni, Goccianera, John Doe, Nathan Never, Disney), animatore e character designer, attivo anche all'estero. Di che cosa si tratta? Di una galeria di "interpretazioni" di Martin Mystère, ma anche di Java e di Diana, visti come se fossero stati disegnati da altri (ben cinquanta) fumettisti diversi. Si comincia con Winsor McKay, si passa a Schulz,  e poi Jacovitti, Sio, Zerocalcare, Mordillo, Hergé, Kirby, Silver, Altan, Watterson, Smythe, Aragones, Hart, Quino, Walker, Toriyama, Segar, Carnevali, Haring, Uderzo, Groening, Miyazaki, Peyo, Bonvi, Hanna & Barbera... e ne ho citati soltanto alcuni. Di ogni autore di cui Forlini ha preso in prestito lo stile viene fornita una scheda di presentazione. Ci si diverte un sacco, tornano alle mente tanti ricordi, si ha la conferma una volta di più di quanto sia variegato, meraviglioso, immenso, magico il mondo del fumetto. E vien fatto di pensare che Castelli stesso ha sempre allargato i confini del microcosmo di Martin Mystére invadendo con ogni sorta di mezzo i cortili e i regni dei vicini di casa. Soprattutto, vien fatto di pensare che se ne avesse avuto il tempo, prima o poi un libro del genere l'avrebbe commissionato a Forlini lui stesso.
 

lunedì 6 gennaio 2025

NOVE

 
 

 
Marco Ciardi
NOVE
Il Mulino
2024, brossurato
184 pagine, 14 euro

Il già ricco elenco dei titoli pubblicati da Marco Ciardi si arricchisce di questo aureo libretto, gradevolissimo da leggere, stuzzicante per curiosità e informazioni, emozionante per la quantità di ricordi condivisi in cui io e quelli che mi assomigliano finiamo per riconoscerci. Professore di Storia della Scienza all’Università di Firenze, saggista e divulgatore, appassionato di fumetti, Ciardi si inserisce, con il suo “Nove”, in una collana curata da Umberto Bottazzini intitolata “Storie di Numeri”, in cui ogni volume è affidato a un diverso autore che sceglie un numero su cui dire qualunque cosa voglia. Il teologo Gianfranco Ravasi si occupa, non a caso, del tre, il chimico e giallista Marco Malvaldi del dodici, giusto per fare degli esempi. Per quanto la numerologia colleghi il nove al tre (tre per tre fa nove) e dunque alla Trinità, Ciardi non se ne occupa per motivazioni mistiche o religiose. “L’idea di attribuire delle proprietà ai numeri, pur se caratterizzata da una nobile tradizione (che giustamente va studiata e compresa dal punto di vista storico), non ha alcun valore scientifico”, spiega l’autore. Quali sono dunque i collegamenti di “Nove” con gli argomenti indicati dal sottotitolo “storie di sport e fumetti, musica e scienza”? Il primo nasce dalla passione per il calcio: “sono sempre stato un numero 9”, rivela il prof, facendoci scoprire una militanza non occasionale nella squadra del Firenze Ovest e un certo numero (superiore a nove) di reti segnate. L’aneddotica personale di Ciardi sfocia però in una ricostruzione storica del come e del perché il 9 fosse (una volta) quello del centravanti, fino alla rievocazione delle partite della (sua e nostra) vita e delle figure dei giocatori più significativi con addosso quella maglia. Riguardo alla musica, due diversi capitoli sono dedicati a “Revolution 9”, la meno beatlesiana delle canzoni dei Beatles (contenuta nel nono, guarda caso, album della band, “The White Album”) e alla Nona di Beethoven, con un condivisibile rimpianto per la riproduzione HI-FI su impianti che oggi sono sostituiti da auricolari collegati allo smartphone. Si giunge poi alla “nona arte”, quella del fumetto, con tutta una serie di ricordi legati all’importanza che avevano i comics nella vita (e nella crescita) dei ragazzi di un tempo, quando venivano considerati spazzatura ed erano snobbati dagli intellettuali, salvo poi giungere oggi al riconoscimento pressoché unanime della loro valenza artistica. Un capitolo a parte è dedicato a Thor e ai “nove mondi” della mitologia norrena nella reinterpretazione marveliana (ma anche in quella Disney). Il sesto capitolo è intitolato “Thornton Square” perché è al numero civico 9 di quella piazza londinese che si svolge la fosca vicenda di “Angoscia” (Gaslight), diretto da George Cukor negli anni Quaranta, film scelto per parlare del cinema thriller e noir, alla Hitchcock, e giudicato da Ciardi come quello che più lo ha impressionato. Si passa poi i “nove spettri dell’anello” e dunque a parlare di Tolkien, e poi al nono pianeta del sistema solare, Plutone, successivamente retrocesso a poco più di un asteroide (per cui i pianeti sono rimasti in otto) e dei suoi insospettabili rapporti con Lovecraft. Infine, il nono capitolo è dedicato alla serie TV “Deep Space Nine” e quindi alla saga di Star Trek. Passione, erudizione, divulgazione, multidisciplinarietà, interconnessioni, cultura scientifica e pop, memoria storica e costume: nove elementi di interesse per un libretto illuminante e divertente. Che alla fine mi porta a considerare che io sono nato nel 1962, anno le cui cifre sommate danno 18, ma 1+8 = 9, e a chiedermi che numero sceglierei io se mi chiedessero un libro del genere. Dato che il 7 (giorno della mia nascita) è già stato preso da Raphael Ebgi, così come il 10 (il numero perfetto secondo Pitagora, essendo la somma di 1,2,3 e 4), scelto da Luisa Girelli, non restano che il 42 (la risposta universale secondo Douglas Adams) o il 52. Quello dello Zenith, naturalmente.



domenica 5 gennaio 2025

TEORIA DI GESU’

 


Michael Onfray
TEORIA DI GESU’
Ponte alle Grazie
2024, brossurato
260 pagine, 18 euro

“Il libro più atteso di Michel Onfray, annunciato da oltre vent’anni”, si legge in quarta di copertina. In effetti, per chi abbia letto il formidabile saggio in cui il filosofo francese smonta Freud (“Crepuscolo di un idolo”, 2011) o il  suo “Trattato di ateologia” (2005), vederlo confrontarsi con i Vangeli è effettivamente irresistibile fonte di curiosità e di interesse.  Il sottotitolo italiano di questo libro è  però fuorviante: “Gesù Cristo è esistito davvero?”. Fa credere, cioè, che l’intento dell’autore sia quello di dimostrare o smentire l’esistenza storica di Gesù. Argomento interessante, oggetto di altri libri, come quello di Bart Ehrman “Gesù è davvero esistito?”, del 2013 (Mondadori), in cui si ribadisce un fondamento storico della figura del Cristo, indipendentemente dal fastello di tradizioni, di miti e credenze che nei secoli ci si è costruito sopra. Ma, leggendo “Teoria di Gesù”, non pare proprio che sia questo aspetto, quello della storicità del personaggio, l’interesse della disamina di Onfray, che si occupa di altro. E’ vero che il filosofo francese parte dall’assunto che “di prove non ce ne sono, a meno di non voler credere che gli evangelisti siano degli storici e non degli apologeti”, tuttavia dicendo questo Onfray si limita a riferire una suo scetticismo riguardo alle fonti a cui altri sono invece maggiormente o decisamente disposti a prestare fiducia. Non propone nessuna dimostrazione della non esistenza di un predicatore o un capopopolo nella Giudea e nella Galilea sotto la dominazione romana, dalla cui figura abbia tratto origine il cristianesimo. Quello che Onfray secondo me fa, o si propone di fare, è costatare come ogni elemento della narrazione attorno a Gesù corrisponda a precedenti narrazioni, talvolta risalenti a miti e leggende antichissime, bibliche e non bibliche. Quando l’autore scrive: “Gesù non è mai esistito storicamente ma solo come concetto”, si riferisce all’idea di Gesù che ci è stata tramandata, l’unica che ci è dato in effetti di conoscere. “La sua esistenza è solo l’effetto di una elettrolisi di tipo spirituale, intellettuale, filosofico, simbolico, allegorico e metaforico, e tutto nel solco dello sviluppo di una storia vecchia di duemila anni. Parliamo di una creatura ideale”. Onfray, con il suo metodo analitico ben noto a chi conosce le sue opere precedenti, esamina i passi dei Vangeli scovando e segnalando le fonti precedenti che li hanno ispirati. Miracoli, parabole, insegnamenti hanno tutti precisi rimandi a qualcosa di antecedente. Perfino l’imperatore Vespasiano, secondo Svetonio e Tacito, aveva compiuto miracoli restituendo la vista ai ciechi e guarendo paralitici ma naturalmente non è da un’aneddotica di questo tipo di cui fa usa Onfray che, con erudizione, indica i passi dell’Antico Testamento (i tanti topoi veterotestamentari) collocati dietro o alla base, per esempio, della parabola dei vignaioli, o segnala come, nei Vangeli, Gesù si nutra solo di simboli (pane, pesce, agnello). “I quattro evangelisti saccheggiano i mattoni dell’Antico Testamento con il progetto di costruire il proprio Tempio chiamato Gesù”, conclude il filosofo francese. Questo, indipendentemente dal fatto che la figura del Cristo si basi su una persona davvero vissuta.