domenica 26 agosto 2018

DIMMI CHE CREDI AL DESTINO



Luca Bianchini
DIMMI CHE CREDI AL DESTINO
Mondadori Oscar absolute
2016, 256 pagine

brossura, 13.50 euro

E' difficile, per me, recensire un libro come questo, perché è impossibile parlarne male ma, allo stesso tempo, è impossibile consigliarne la lettura. Non si può neppure ritenerlo senza infamia e senza lode perché se è piaciuto in giro così tanto da divenire un bestseller qualche merito ce l'avrà e, del resto, è scritto in modo così carino che fa tenerezza, come si fa a infamarlo? Mi rifugio nella banalità: non è il mio genere. E' quel tipo di romanzo che magari piace ai fruitori di soap opera e di sitcom, con una Londra da telefilm (o da film con Hugh Grant) in cui gli immigrati italiani invece di lavorare da sguatteri senza tutele e garanzie (come descritto in un altro libro i cui ci siamo occupati, "108 metri") gestiscono un "Italian bookshop" o fanno i barbieri liberi di aprire e chiudere a piacimento per chiacchierare con la fioraia del negozio accanto o dare una mano, appunto, alla libreria di fronte. Ornella, la libraia, ha il tempo di passeggiare amabilmente per i parchi e sedersi sulla panchina a conversare della vita con il vecchio mister George che, guarda caso, passa il tempo leggendo Italo Calvino in lingua originale. I personaggi sono tutti ilari, leggeri, e anche se vivono i loro drammi il tono non diventa mai davvero drammatico. Persino le comunità di recupero per tossicodipendenti e la morte di un marito per droga sono raccontate all'acqua di rosa: si dà più importanza alla Patti innamorata di un giardiniere della comunità che all'incubo sicuramente vissuto da chi in quella comunità cerca di disintossicarsi. Ansie e angosce restano appena accennati, i personaggi vivono di aperitivi, birre al pub, chiacchiere con i vicini, corteggiamenti impacciati, messaggini telefonici, pettegolezzi: un teatrino di cui fa parte Diego, napoletano emigrato senza problemi se non quello di decidersi ad accettare la propria omosessualità (la accetta a Londra dove può dedicarsi alla libera caccia, mica a Napoli dove sarebbe stato più problematico). Il destino della libreria minacciata di chiusura, la storia d'amore di Ornella con il dirimpettaio Bernard, l'eredità attesa alla Patti, le pulsioni erotiche di Diego, sono tutti elementi di una commediola che a tratti può risultare anche divertente, ma che alla fine lascia con la fastidiosa sensazione di aver assistito a una rappresentazione inutile perché falsa: la vita non è così, Londra non è così, gli amori non sono così. Mancano i figli, il sesso, la miseria, il dolore, i litigi, le malattie, le violenze domestiche, il rancore, la cattiveria. Tutto è colorato di rosa, semplice, fru fru. Sarò cinico, ma del destino di nessun personaggio mi è importato nulla, dall'inizio alla fine.

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