mercoledì 1 agosto 2018

INFERNO DEI VIVI




Gallieno Ferri
Guido Nolitta
L'INFERNO DEI VIVI
Sergio Bonelli Editore
2018, cartonato
210 pagine, 24 euro


Guido Nolitta (alias Sergio Bonelli) ha immaginato la serie di Zagor come un crocevia di generi e Darkwood come la terra della loro contaminazione. Eccolo perciò a sperimentare, in una storia uscita per la prima volta nel 1965, il genere carcerario: fa infatti rinchiudere il Re di Darkwood in una prigione di massima sicurezza, il sinistro carcere di Hellgate, detto “L’Inferno dei vivi”. L'avventura, fra le più celebri dell'intera saga, viene raccolta in un volume cartonato targato Bonelli che contiene anche il racconto immediatamente collegato, "Lo stregone scomparso, in cui si risolve il mistero legato all'esilio in una grotta dello sciamano Tawar, che salva la vita allo Spirito con la Scure all'inizio della vicenda. "L'inferno dei vivi" contiene tutti gli elementi che caratterizzano le storie ambientate dietro le sbarre, dove ogni uomo si trova a dover fare i conti con una realtà alienante e violenta in cui è facile perdere, prima della vita, la propria dignità e il proprio equilibrio mentale, abbrutendosi, soprattutto per chi è, o si ritiene, innocente e vittima di una ingiusta detenzione. Non ci sono dubbi che l’ansia di libertà sia uno degli istinti primari di ogni individuo, e dunque è particolarmente coinvolgente e angosciante assistere alla lotta disperata e talvolta eroica per non farsi annichilire e oltrepassare mura e reticolati, talvolta anche solo con lo spirito, come capita a certi illustri pensatori condannati da regimi illiberali, come testimoniano, per esempio, le lettere dal carcere di Antonio Gramsci (1891-1937) o la vicenda di Alexandros Panagulis (1939-1976) narrata da Oriana Fallaci in “Un uomo”. Del più celebre scritto di Silvio Pellico, “Le mie prigioni” (pubblicato nel 1832), si disse che costò all’Austria come aver perso una battaglia, in termini di propaganda ostile per il trattamento subito dal patriota italiano nel carcere asburgico dello Spielberg, in cui fu imprigionato tra il 1820 e il 1830. Di una tematica così forte era inevitabile che si impossessassero la letteratura, prima, e il cinema, poi. "L'infermo dei vivi" è anche ispirato, com'è consuetudine nolittiana, a film di argomento carcerario, quali “Carcere” (1930) e “Io sono un evaso” (1932) per citare soltanto un paio di pellicole che sicuramente hanno appassionato il cinefilo Sergio Bonelli. Ma alla base della storia ci sono anche, ovviamente, i tanti libri in cui si descrivono i trattamenti inumani a cui sono sottoposti i detenuti, da “I miserabili” di Victor Hugo a “Le mie prigioni” di Silvio Pellico. Letterario è, del resto, il trucco con il quale lo Spirito con la Scure riesce a fuggire dal penitenziario in cui è stato ingiustamente recluso: è lo stesso, infatti, con cui Dumas fa evadere il Conte di Montecristo dalla Fortezza di If e Salgari favorisce la fuga di Sandokan dalla nave di James Brook ne “Le tigri di Mompracem”. Sono numerosi i personaggi degni di nota in questa classica avventura rimasta nel cuore di tutti i lettori, dal colonnello Dillon al capitano Grayson, dal galeotto Johnny Mackett al dottor Hogan, colui cioè che aiuta lo Spirito con la Scure, convinto della sua innocenza. Proprio questo personaggio è destinato a far ritorno, insieme alla fortezza di Hellgate, in una storia del 1999 intitolata “La vendetta di Mortimer”. Si diceva di Tawar, lo stregone dei Tunican che salva Zagor da morte certa e che lo Spirito con la Scure aiuta nella seconda storia raccolta in questo volume, strettamente collegata con la prima. Anche in questo caso Nolitta cerca di cogliere di sorpresa i suoi lettori mescolando le carte e immaginando un incredibile personaggio quale il capo degli stessi Tunican, che ha cacciato Tawar della tribù e che si fa chiamare Mister-Mister. Il motivo per cui il nuovo capo dei Tunican ha rinunciato al suo vecchio nome indiano, Muso di Tamburo, in favore di un nuovo appellativo, è presto spiegato: “Se tutti gli uomini bianchi, che non valgono nulla, si chiamano Mister, – ha ragionato il sakem – io che valgo il doppio d ciascuno di loro, mi chiamerò Mister-Mister”. Il bizzarro personaggio, con un concetto tutto suo del modo con cui i pellerossa devono interagire con i bianchi, rientra perfettamente nella tipologia nolittiana e nel teatrino di personaggi insoliti che lo sceneggiatore va costruendo. E’ persino difficile etichettare la figura di Mister-Mister: è tragica o umoristica? Le maschere del dramma e della commedia, del resto, sono spesso interscambiabili, e Sergio Bonelli sembra volercelo dimostrare una volta di più. Il sakem dei Tunican ritiene che per contrastare il predominio dei bianchi, il popolo rosso debba assimilare gli usi e i costumi degli invasori: ma il suo tentativo, pur basato su un ragionamento non del tutto insensato, si riduce in uno scimmiottamento degli aspetti più deleteri della nostra “civiltà” e al rinnegamento dell’identità e delle tradizioni dei nativi. La lucida follia dell’ex Muso di Tamburo, deciso a eliminare gli oppositori, spiega anche il forzato esilio dello stregone Tawar nella gola in cui Zagor lo ha incontrato. Lo Spirito con la Scure aiuta Tawar a riprendere il suo posto a capo della propria gente, mentre Mister-Mister paga con la vita lo sbaglio essersi fatto irretire da una banda di imbroglioni bianchi. Il trentacinquenne Gallieno Ferri non è ancora al suo top ma ci sta rapidamente arrivando: colpisce la sua capacità di destreggiarsi fra i generi alternando il registro drammatico a quello comico (le gag di Cico si susseguono a ripetizione), e la meraviglia la maestria nel regalare emozioni con i cupi scenari della gola in cui Zagor cade ferito, l'attacco dei lupi, la drammatica evasione.
Due annotazioni. Qualcuno ha contestato il fatto che nella copertina Zagor abbia la scure che mancava nella copertina di Ferri originaria (aggiunta peraltro già anni fa nell'edizione di TuttoZagor, non inserita appositamente per questa). Il senso della contestazione è: se Zagor sta evadendo dal carcere non può avere la scure. Se per questo, nella copertina di Ferri l'eroe aveva la pistola. A rigor di logica non potrebbe avere neppure quella. M se è per questo non ha neppure la divisa da carcerato, segno che non sta evadendo. Questa scena non è tratta dalla storia ma è evocativa: l'eroe è riconoscibile dai suoi simboli (armi e costume) mentre cerca di compiere una missione in un carcere (o in una fortezza). Tutto qui. Se fosse stata una evasione avrebbe avuto la casacca a strisce. 
Un'altra contestazione è questa: il colore è quello dell'edizione della Collezione Storica di Repubblica, non è stata fatta una colorazione nuova. Ma in questo tipo di volumi non si fa mai la colorazione nuova. Si parte da una pubblicazione esistente e la si propone "nobilitata" in cartonato. E' questo il senso dell'operazione. Se fosse stata in bianco e nero sarebbe stato il bianco e nero dell'edizione da edicola. Qual è il problema? La contestazione avrebbe senso che ci fosse stato scritto: nuova colorazione. Ma non c'è scritto. L'appetibilità del prodotto (per chi lo apprezza) è nel formato e nella rilegatura da libreria. 


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