domenica 19 agosto 2018

SULLE FRONTIERE DEL FAR WEST



Emilio Salgari
SULLE FRONTIERE DEL FAR WEST
Mursia
1993 - cartonato
224 pagine -  lire 20.000

Chi crede che il nome di Emilio Salgari si debba associare solo agli scenari esotici e alle avventure di pirati malesi o caraibici, si sbaglia di grosso. Il più grande autore di romanzi d'avventura non si lasciò sfuggire un solo background su cui si potessero tessere le trame delle sue storie tese a trasportare il lettore (e sé stesso) lontano dall'Italia provincia del Mondo, e coinvolgerlo in una sarabanda di eroici furori e di ardimentose imprese. Così abbiamo romanzi ambientati in Australia, in America Latina, al Polo Nord, nella Cartagine dei tempi di Annibale, e addirittura nell'Anno Duemila. Non potevano mancare romanzi western: la frontiera americana gli offriva suggestioni irresistibili. "Sulle frontiere del Far West" è il primo romanzo di un ciclo destinato a chiudersi nel breve volgere di due titoli: avrebbe avuto un seguito con "La Scotennatrice" - anche se ci sono racconti vari western scollegati, come "lo stagno dei caimani" da poco ristampato e di cui ci siamo occupati. Magari il ciclo avrebbe potuto avere perfino ulteriori sviluppi se l'autore non fosse morto suicida nel 1911, appena tre anni dopo l'uscita dell'opera (avvenuta appunto nel 1908). La data di pubblicazione di questo testo lascia davvero meravigliati, perché considerando la disinformazione imperante in Italia, fino a pochi decenni fa, sulla realtà delle lotte fra uomini bianchi e uomini rossi, e sugli usi e costumi di questi ultimi, si stenta a credere che Salgari potesse essere così ben documentato. Ancora per tutti gli Anni Cinquanta, fumetti come Tex fornivano dei pellerossa una descrizione per sentito dire, mediata in gran parte dai film western. Editori come Bonelli si sono lamentati che fino a tempi recenti mancassero nel nostro paese libri attendibili e documentazioni iconografiche sui nativi del nord-America. Salgari, invece, in un'epoca in cui né radio né televisione potevano fornirgli spunti e notizie, dove verosimilmente non si traducevano libri d'oltreoceano che in percentuali millesimali, si dimostra informatissimo. Cita nomi di tribù e nomi di capi indiani, descrive le capanne e gli oggetti d'uso comune dei pellerossa chiamandoli addirittura con i nomi originali (wigwam, tomahawk, sakem, squaw, mocassino, yampa, calumet). Così come in lingua originale sono molti vocaboli in inglese e spagnolo giustamente ritenuti intraducibili in italiano: fazenderos, bowie-knife, grizzly, gambusino, leperos, squatters e chi più ne ha più ne metta.
Vero é che alcune ricostruzioni peccano un po' d'ingenuità, e che comunque tutta la vicenda non ha il carisma della plausibilità storica (basti pensare che vi compare un personaggio, Yalla, che un capotribù donna), tuttavia Salgari ce la mette tutta per inserire gli avvenimenti da lei narrati nel contesto delle vere guerre indiane, tant'è che nel finale gli eroi del romanzo vengono salvati dall'arrivo del colonnello Chivington sulle rive del Sand Creek. Chivington a dire il vero non è passato alla storia come un eroe, e il Sand Creek rimanda la memoria a una strage di innocenti, ma chissà di quali informazioni poteva disporre Salgari sul suo conto e in ogni caso quello che compare in questo romanzo è un personaggio immaginario, o quanto meno possiamo considerarlo tale.
Tanto sfoggio di documentazione fa venir voglia di sapere quali fossero le fonti dell'autore: già molti dei commentatori di racconti come "I Misteri della Jungla Nera" si sono meravigliati di come sembri che Salgari abbia veramente visitato il delta del Gange. In "Sulle frontiere del Far West", il buon Emilio non si smentisce: lo stile è sempre il solito, il ritmo serrato, le scariche di fucileria sono sempre "formidabili" e la situazione costantemente disperata.  Anche il plot è salgariano: il colonnello Devandel, fatto prigioniero dai Sioux, ha dovuto sposare la figlia del capo, Yalla, per salvare la capigliatura. E’ probabile che Giovanni Luigi Bonelli abbia attinto da qui lo spunto per il matromonio indiano fra Tex e Lilith, sia pure trasformandolo in tutt’altra cosa.  Da lei ha avuto un figlio, ma appena gli è stato possibile è fuggito tornando fra i bianchi. Ha messo su una fattoria, si è unito in nozze regolari con una donna della sua razza, ha avuto altri due figli. Ma Yalla non ha dimenticato il torto subito, e vuole vendicarsi della fuga del marito. Anche lei si è risposata, e ha avuto una figlia: Minnehaha. Approfittando della rivolta di Sioux e Arrapahoes, punta sulla fattoria di Devandel per ucciderlo insieme ai suoi figli. Devandel, appreso del piano di Yalla mentre è impegnato altrove, invia tre suoi uomini a mettere sull'avviso i suoi. Comincia così una lotta contro il tempo e un forsennato inseguimento nella prateria, che ha la scena più bella nella rocambolesca fuga dei bianchi attraverso i cunicoli pieni di grisou di una miniera di carbone. Nel finale, Yalla riesce comunque a catturare sia Devandel che i figli, e sta per ucciderli con la tortura quando arriva Chivington (a dire il vero, un po' troppo frettolosamente). Yalla muore a Sand Creek, ma Minnehaha sopravvive e intende portare a termine la sua opera, vendicando così anche la madre. Ma questo avverrà ne "La Scotennatrice".

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