IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI
di Giorgio Bassani
Universale Economica Feltrinelli
2012, brossurato
220 pagine, 9 euro
Ipnotico, affascinante, rilassante e inquietante al tempo stesso: quando un libro riesce ad assorbire totalmente il lettore e farlo entrare nelle proprie pagine è una magia che esorcizza la realtà e dona un rinfrancante senso di benessere. Chiusa l'ultima pagina del libro, mi sono posto la domanda che indubbiamente preme dentro a chiunque lo legga per tutta la durata del romanzo: è esistito davvero, il giardino dei Finzi-Contini? O Bassani si è inventato tutto? Facendo ricerche in rete, si scopre che il dibattito è controverso. Ne parleremo fra un attimo. Prima, due informazioni sullo scrittore e sulla sua opera più nota, resa tale grazie anche al film omonimo diretto da Vittorio De Sica.
"Da molti anni desideravo scrivere dei Finzi-Contini – di Micòl e di Alberto, del professor Ermanno e della signora Olga – e di quanti altri abitavano o come me frequentavano la casa di corso Ercole I d'Este, a Ferrara, poco prima che scoppiasse l'ultima guerra. Ma l'impulso, la spinta a farlo veramente, li ebbi soltanto un anno fa, una domenica d'aprile del 1957", così comincia il prologo del romanzo, uscito in realtà nel 1962, anno in cui vinse anche il premio Viareggio.
Giorgio Bassani era nato a Bologna nel 1916, da genitori ebrei, ferraresi. A Ferrara, la città che fa da sfondo (o da protagonista) ai suoi principali racconti, trascorse l'infanzia e la giovinezza. Sfuggito alle persecuzioni fasciste dopo essere entrato in clandestinità, trascorse a Roma il resto della vita come scrittore e uomo pubblico. Proprio dalla sua esperienza degli effetti nefasti delle tragiche leggi razziali nasce "Il giardino dei Finzi-Contini".
La trama è esile e si può raccontare in poche parole. L'anonimo io narrante, che si può tranquillamente identificare in Bassani stesso pur non essendolo, è un giovane ebreo ferrarese, nato in una famiglia borghese, benestante ma non ricca. L'appartenenza alla comunità israelitica e le comuni frequentazioni scolastiche lo fanno diventare amico di Alberto e Micòl Finzi-Contini, rampolli invece di una famiglia altolocata e dalle grandi risorse economiche, proprietaria di una villa e di un enorme parco. Tutti e tre i giovani sono studenti universitari, e si trovano a passare insieme l'estate del 1938 giocando quasi tutti i giorni a tennis nel campo privato dei Finzi-Contini. Con loro una varia compagnia di coetanei, tra cui spicca il milanese Giampiero Malnate, di idee marxiste. Il gruppo discute di politica, di letteratura, di musica, dei rispettivi studi. Su di loro grava però il giro di vite delle leggi razziali volute da Mussolini e l'incubo del regime hitleriano. L'io narrante si innamora di Micòl e costei sembra in un primo tempo dargli corda o incoraggiarlo, ma poi, al ritorno di una sua lunga assenza (per la laurea, conseguita a Venezia), quando lui si dichiara, la ragazza cambia atteggiamento e, dopo un lungo tergiversare, lo respinge, confessandogli che preferirebbe non vederlo più. Malnate aiuta l'amico respinto a superare la delusione d'amore, standogli vicino per tutta l'estate del 1939. Questi riesce effettivamente a dimenticare Micòl, convincendosi però, alla fine, che lei abbia una relazione segreta proprio con Malnate.
Il romanzo si conclude con la fine del rapporto del protagonista con la ragazza, ma a questo punto siamo già all'invasione della Polonia da parte di Hitler, che scombina le idee anche dei marxisti che non si sarebbero aspettati un mancato intervento da parte di Stalin. Un epilogo racconta in breve della morte di Alberto per linfogranuloma, della fine di Giampiero Malnate, arruolatosi nel 1941 nel corpo di spedizione italiano inviato in Russia e non tornato mai più, e della deportazione nei campi di sterminio del'intera famiglia Finzi-Contini, catturata nell'autunno del 1943 dai nazifascisti.
Il fascino del romanzo non sta tanto, dunque, nel succedersi di drammatici avvenimenti (le vicende storiche più tragiche restano alluse) ma nella ricostruzione emotiva di un periodo storico su cui incombeva la catastrofe, visto con gli occhi dei giovani di allora. Bassani riesce a rendere in maniera superlativa gli effetti delle leggi razziali la cui applicazione, inizialmente disattesa, si fa via via sempre più stringente, mentre i ragazzi ebrei ci appaiono per quel che sono, inseriti perfettamente nel tessuto sociale, informati, collegati con il circuito delle idee internazionali, pieni di voglia di vivere, di desideri, di curiosità: le persecuzioni si mostrano perciò insensate, folli, assurde negli effetti prima ancora che nelle premesse. Viene inoltre ricostruita la vita ferrarese dell'epoca, si scopre quanto effervescenti fossero i cinema, i teatri, i ristoranti, persino le case chiuse, un minuto prima che la Guerra spazzasse via tutto. La lingua di Bassani è curata e gradevole, musicale e puntuale al tempo stesso. Perfetta.
Ma alla fine, quel che lo scrittore racconta è vero oppure no? E' ormai acquisito che tutto nacque dall'esperienza diretta di Giorgio Bassani sulle persecuzioni e sulle deportazioni nei campi di sterminio degli ebrei di Ferrara, ma i personaggi sono di fantasia. O meglio, ognuno di essi fa riferimento a più di una persona realmente esistita. In particolare, però, una figura ben identificabile è Silvio Finzi-Magrini, che sarebbe l' uomo la cui vicenda ha ispirato in Bassani la figura di Ermanno Finzi-Contini, capostipite della casata e padre di Micòl. Chi era allora proprio costei? Prima di morire, la narratrice Roseda Tumiati ricordò: «Riassume un certo numero di donne che Bassani ha amato e frequentato. Noi abbiamo pensato potesse essere mia sorella Caterina, bionda, occhi celesti, dolcissima. Giorgio ne era innamorato. Ne ha amata un' altra: piccola, enigmatica, affascinante. Ce n' era un' altra a Bologna che giocava bene a tennis». Insomma, un gioco di sovrapposizioni in un romanzo che non si può fare a meno di leggere.
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