Roberto Alfatti Appetiti
I FUMETTI CHE HANNO FATTO L'ITALIA
Giubilei Regnani Editore
2014, brossurato
170 pagine, 14 euro
“Diciamolo ad alta voce: i fumetti hanno condizionato il costume e a volte persino annunciato le rivoluzioni sociali. Nel secolo breve, hanno incendiato le anime più di quanto siano riusciti a fare paludati maître à penser”. Queste parole racchiudono, in buona sostanza, il senso e la morale dell’intero saggio, che ne è la dimostrazione argomentata, ricca di esempi. Senza procedere necessariamente in ordine cronologico (pur partendo dal 1908 e dal “Corriere dei Piccoli”), ma saltando da autore ad autore, da personaggio a personaggio, sulla base dei collegamenti di idee e dei corto circuiti, Roberto Alfatti Appetiti (giornalista di rara competenza in campo fumettistico) percorre un entusiasmante itinerario attraverso le testate, gli eroi e i disegnatori che hanno fatto discutere, sono stati processati, hanno infiammato i cuori e sono divenuti dei simboli, ma anche sono stati usati per battaglie ideologiche o combattuti dagli avversari politici.
Non c’è spazio per i fumetti edulcorati e “rassicuranti”: Alfatti Appetiti sceglie di parlare di quelli che hanno creato tumulto. A cominciare dagli eroi in camicia nera di Antonio Rubino o da quelli americani importati da Mario Nerbini, che entusiasmavano anche i figli di Mussolini, nonostante l’autarchia culturale imposta dal regime. “Eccetto Topolino”, non a caso, si dice abbia ordinato lo stesso Duce censurando tutti i comics d’Oltreoceano tranne quelli disneyani.
Fra gli italici autori fascistissimi di cui la damnatio memoriae imposta dal dopoguerra ha impedito si celebrasse l’opera, viene ricordato Gino Boccasile le cui Signorine, secondo Antonio Faeti, “rappresentano una pietra filosofale dell’erotismo”. Da esse nasce Pantera Bionda, la Tarzan in (succinta) gonnella di Gian Giacomo Dalmasso, che giunge alla fine degli anni Quaranta a gettare scompiglio tra la gioventù e viene fatta rivestire dal Tribunale. Meno male che negli anni Sessanta arriveranno prima Satanik e poi Isabella a gettare le fondamenta della liberazione sessuale a fumetti. Anch’esse, insieme ai “neri” che affrontano per la prima volta i temi scabrosi della corruzione e del malaffare, destinate comunque a subire denunce e sequestri.
Ma a far palpitare i cuori ci sono anche eroi come Capitan Miki e Tex, che (ognuno gettando il proprio seme) alle saghe della Storia del West e di Ken Parker. E come non parlare della grande stagione delle riviste? Linus ed Eureka, di sinistra l’una e di destra, forse, l’altra, però con i Peanuts (il cui autore era un conservatore) sulla prima e le Sturmtruppen (il cui autore non era un conservatore) sulla seconda, e con Benito Jacovitti cacciato dalla redazione linusiana perché anticomunista ma anche dal Diario Vitt perché passato a illustrare il Kamasutra. Interessanti anche i capitoli su Reiser, sul Commissario Spada (e sui collegamenti con gli Anni di Piombo), fino ad arrivare a parlare di Ranxerox e di Andrea Pazienza, esaminati in modo non banale e con un’ottica diversa da quella preconfezionata che si usa di solito. Ma perfino i Puffi e Tintin fanno discutere, in questo caso grazie ai paladini del politicamente corretto (giustamente derisi da Alfatti Appetiti) che ce l’hanno con la presunta apologia dell'”utopia totalitaria” rappresentata dalla comunità di Peyo, agli ordini del dittatore Grande Puffo e propugnatrice degli ideali della purezza di sangue (la razza ariana incarnata dalla Puffetta bionda), ma anche con il presunto “fascismo” di Hergé. Insomma: la storia dei fumetti viene analizzata, in modo brillante, alla luce dell’impatto ideologico e della sua forza di incidere sui dibattiti e sui costumi. Sentiti e commoventi i ricordi dell’autore riguardo le due figure a cui è dedicato il saggio: Luigi Bernardi e Sergio Bonelli.