martedì 31 ottobre 2023

HOLLY

 



Stephen King
HOLLY
Sperling & Kupfer
cartonato, 2023
520 pagine, 21.90 euro


Certo che Stephen King si è proprio innamorato della sua eroina Holly Gibney. Del resto lui stesso lo scrive nella sua “Nota dell’autore” in appendice al romanzo: “Ho voluto bene a Holly sin dall’inizio, e desideravo con tutto me stesso tornare a stare in sua compagnia”. E pensare che la Gibney era apparsa soltanto come personaggio secondario in “Mr. Mercedes” e nei successivi due volumi della trilogia. Successivamente, Holly fa altre due apparizioni, in “The Ousider” (2018) e in “Se scorre il sangue” (2020). E’ il caso di ripercorrere un po’ la sua, diciamo così, carriera. Cominciamo appunto con “Mr. Mercedes” (2014), in cui imperversa uno psicopatico, Brady Hartsfield, sulle cui tracce si mette l’anziano poliziotto in pensione Bill Hodges. Costui (un altro grande personaggio kinghiano), nel corso delle sue indagini, finisce per intessere una relazione sentimentale con Janelle Patterson, sorella di una delle vittime del serial killer. Ecco, Holly è la cugina di costei, che acquista maggior rilievo nel romanzo quando proprio Janelle viene uccisa dal pazzo. Si viene a formare così una squadra composta da Hodges, Holly, Pete Huntley (un ex collega di Bill) e Jerome Robinson, un ragazzo di colore che viene coinvolto solo perché, impegnato in piccoli lavori per Hodges (tipo rasargli il prato) finisce per dargli una mano in missioni sempre più impegnative e pericolose. Holly Gibney si occupa soprattutto nelle ricerche informatiche. Ad aiutare il gruppo c’è anche Isabelle Jaynes, una poliziotta intraprendente, che tornerà anche in altri romanzi, compreso “Holly”. Alla fine, Hartsfield finisce in coma e la Bill fonda l’agenzia di investigazioni private battezzata “Finders Keepers”. La sua squadra torna sulla scena con “Chi perde paga” (2016), sostanzialmente una specie di caccia al tesoro alla ricerca dei taccuini di un famoso romanziere, su cui era stata scritta la parte conclusiva, ancora inedita, di una saga letteraria di grande successo. Il collegamento con “Mr. Mercedes” non consiste soltanto nelle indagini della “Finders Keepers”, ma anche nel fatto che uno dei personaggi è il figlio di una delle vittime di Hartsfield, il quale resta sullo sfondo a dormire in ospedale in stato di coma. Ed eccoci al terzo titolo della trilogia, "Fine turno” (2016): qui, il serial killer si risveglia dal coma, scoprendosi dotato di poteri paranormali per colpa degli esperimenti che un medico, all’insaputa di tutti, ha condotto su di lui. Con l’aiuto di Holly, Bill Hodges, risolve definitivamente il caso ma, già malato di cancro al pancreas, muore. In un successivo romanzo, l’orrorifico “The Outsider”, Holly Gibney è la co-protagonista con il detective Ralph Anderson delle indagini su una sorta di creatura mutaforma che si nutre del dolore degli altri. La caccia a un’altra delle medesime creature, che ha preso l’aspetto di un giornalista televisivo sempre il primo ad arrivare sui luoghi delle disgrazie, è l’argomento di “Se scorre il sangue”, dove Holly è finalmente protagonista assoluta. Nel corso di tutte queste apparizioni, Stephen King ha costruito tutto un microcosmo attorno alla sua eroina, che potrebbe forse venire più efficacemente definita anti-eroina, visto che non è addestrata a combattere, è ipocondriaca, ha un rapporto conflittuale con la madre Charlotte, è insicura circa le proprie doti, si sente orfana di Bill Hodgson, non ha l’aspetto di una top model, appare quasi dimessa, fragile. King la descrive piena di piccole manie, afflitta da un complesso di inferiorità, ligia alle regole e meticolosa, attenta, dotata di grande memoria e di capacità di osservazione, oltre a essere una specie di piccola maga del computer. In “Holly” la squadra della “Finders Keepers” è ridotta soltanto a lei e a Pete, soci alla pari, ma Pete è finito in ospedale per Covid (lo stesso Covid che uccide Charlotte all’inizio della storia), Jerome si trova in viaggio per gran parte del tempo convocato da un editore che vuol pubblicare un suo romanzo, e quindi la Gibney deve fare quasi tutto da sola. La morte della madre e ciò che inaspettatamente lascia in eredità alla figlia, costituisce una sottotrama al pari del rapporto che si crea fra Barbara Robinson (sorella di Jerome) e una centenaria poetessa (a dimostrazione di quanto a King piaccia approfondire le vite dei suoi personaggi, a costo a volte i perderci perfino troppo tempo, come segnala lui stesso nella “Nota dell’autore” riferendo di essere tenuto a bada dal proprio editor). Non ci sono elementi soprannaturali nel romanzo “Holly”, che risulta, tutto sommato, un thriller, forse un noir con venature horror. Un thriller di quelli che acchiappano già dalle prime pagine e poi non lasciano più il lettore. I “cattivi” si rivelano subito agli occhi del lettore, che si chiede però, pagina dopo pagina, come farà Holly a giungere fino a loro, dato che si nascondono dietro l’aspetto delle più insospettabili e indifese delle persone: due novantenni, marito e moglie, convinti che nutrirsi di carne umana possa prolungare la loro vita (in accordo, con leggende e tradizioni diffuse da secoli e per secoli). La detective, che vorrebbe prendersi una pausa dopo la morte della madre asfissiante e castrante, si convince invece, ad accettare una indagine sulla scomparsa di una ragazza, svanita nel nulla da alcuni giorni. Comincia così una serrata serie di scoperte colpi di scena ed eventi. Una lettura intrigante, una scrittura magistrale, una narrazione attraversata peraltro dall’imperversare del Covid, dei no vax e dai simpatizzanti di Trump. King, le cui idee in merito sono più che note, non si fa alfiere di una narrazione ideologica ma si limita a presentare personaggi da atteggiamenti omofobi, razzisti e antiscientifici e altri di segno opposto, caratterizzandoli semplicemente con efficaci dialoghi. Del resto, Holly non si addentra mai in nessuna discussione con chi non la pensa come lei, ne prende atto e basta. “Credo che la narrativa sia credibile al massimo grado quando coesiste con eventi, individui, perfino nomi di prodotti che appartengono alla vita reale”, scrive l’autore in fondo al romanzo. E continua: “La madre di Holly è morta di Covid, e la stessa Holly soffre di una lieve forma di ipocondria. Mi è sembrato naturale che avesse delle opinioni molto nette sul Covid e che prendesse tutte le precauzioni del caso. E’ vero che le mie opinioni sull’argomento coincidono con le sue, ma mi piace pensare che, se avessi scelto un personaggio contrario ai vaccini come protagonista o almeno come coprotagonista, avrei presentato in modo corretto le sue idee”. Unica nota negativa: se i due vecchietti assassini sono del tutto credibili, molto meno plausibile che ai due fratelli Robinson, Barbara e Jerome, riesca di pubblicare nello stesso momento un libro di poesie e un romanzo.


lunedì 30 ottobre 2023

LA FONTE DELLA GIOVINEZZA

 


Fabio Civitelli
Giorgio Giusfredi
LA FONTE DELLA GIOVINEZZA
Sergio Bonelli Editore
cartonato, 2023
52 pagine, 9.90 euro


La lettura del diciassettesimo cartonato di Tex “alla francese” (ma destinato all’edicola e venduto a un prezzo competitivo) richiede la conoscenza di alcuni antefatti, come ben dimostra la scure di Zagor al fianco di Aquila della Notte che si vede in quarta di copertina. Non a caso la Casa editrice di via Buonarroti ha pubblicato nel settembre 2023 il n° 9 di una collana denominata “Le grandi storie Bonelli”, intitolato “Le sette città di Cibola”, che raccoglie in unico volume un “classico moderno” zagoriano uscito originariamente suddiviso in tre albi, i numeri 355/356/357 di Zagor, dati alle stampe tra il febbraio e l’aprile del 1995, con i testi di Mauro Boselli e i disegni di Alessandro Chiarolla. “La fonte della giovinezza”, di Giorgio Giusfredi e Fabio Civitelli trova infatti in quell’avventura i propri presupposti. Lì, a partire da un primo episodio intitolato “Conquistadores”, facciamo la conoscenza del saggio sciamano Hopi chiamato Masewi e della sua giovane figlia Shumavi. Gli Hopi vengono però attaccati dai Navajos guidati dal fiero Nakai, i quali rapiscono sia il vecchio uomo della medicina che la ragazza perché rivelino l’ubicazione delle leggendarie Sette Città di Cibola. In una di esse, la Grande Città Rossa del Sud, si crede siano state nascoste le Tavole Sacre, sottratte molti anni prima dagli Hopi ai Navajo. Queste tavole, secondo la tradizione, garantirebbero la prosperità al popolo di Nakai. Le Sette Città, attribuite al misterioso popolo degli Anasazi, si rivelano invece una base di una civiltà antidiluviana, quella di Mu, nemica dell’altrettanto antica civiltà atlantidea (si gettano qui le basi di una lunga saga legata ad Atlantide, condotta negli anni, attraverso varie avventure, da Boselli e dal sottoscritto). Nella vicenda sono implicati anche dei bianchi senza scrupoli, inizialmente alleati di Nakai ma poi destinati a rivelarsi per quelli che sono: assassini e predoni. Zagor e Cico, gettatisi sule tracce del gruppo per liberare i due prigionieri, riescono invece a dimostrare valore, coraggio e nobiltà d’animo agli occhi dei Navajos, che finiscono per far causa comune con gli Hopi, i quali restituiscono le antiche Tavole Sacre. Masewi, grazie alle sue dori sciamaniche, riesce a prevedere un futuro prospero per i Navajos e profetizza: “Un grande capo bianco vi proteggerà dal male”. Il riferimento, naturalmente, è a Tex, che irromperà sulla scena una trentina di anni dopo (ed è questo il punto nodale che unisce gli universi narrativi dello Spirito con la Scure e Aquila della Notte, destinati ad alcuni altri incroci). Non solo: nel corso dell’avventura, Nakai e Shumawi si innamorano e Masewi benedice la loro unione. Fin qui, ciò che accade (riassunto molto in breve) nella storia di Zagor del 1995. Nakai, Shumavi e Masewi ricompaiono sulla scena in altre due avventure pubblicate sulla Collana Zenith: una prima volta nell’episodio immediatamente successivo a quello di cui abbiamo parlato finora, “La strega della sierra”, apparso diviso in due puntate sceneggiate dal sottoscritto (su soggetto di Boselli) e disegnate da Marco Torricelli; una seconda volta nel 2008, con la storia (sempre divisa su due albi) intitolata “L’orda del male”, scritta da Luigi Mignacco e illustrata da Gianni Sedioli. Ne “La fonte della giovinezza” Nakai e Shumavi tornano dunque per la quarta volta e lo fanno nel contesto delle avventure di Tex, invecchiati di trent’anni ma sempre in forma. Di Masewi ci viene invece mostrata, in retrospettiva, la morte, avvenuta per mano di sconosciuti assassini. E’ inseguendo costoro che Nakai trova, accanto ai loro cadaveri, uccisi da mani misteriose, una bambina messicana che adotta e a cui dà il nome navajo di “Sitsi”, che significa semplicemente “figlia”. La piccola è molto confusa riguardo all’accaduto. I ricordi però in parte riaffiorano e il desiderio di scacciare i fantasmi del passato la convince a lasciare Nakai e unirsi a un gruppo di uomini in cerca della mitica Fonte della Giovinezza, legata in qualche modo a quanto accaduto anni prima. Lascio volentieri al lettore scoprire il resto del racconto, però vanno spiegate le parole che Tex pronuncia a pagina 31, allorché Shumavi gli consegna la scure di Zagor, che potrebbe essergli utile: “Conosco questa scure e l’uomo a cui apparteneva”. Ora, sia Nakai che Shumavi hanno conosciuto Zagor, e questo l’abbiamo spiegato. Masewi ha profetizzato l’arrivo di Tex fra i Navajos, ed è accaduto. Ma come può Tex conoscere Zagor? La risposta, che i cultori dei due personaggi sanno benissimo, è contenuta in un albo speciale intitolato “Bandera!”, uscito nel 2021 (in occasione del sessantennale zagoriano) come supplemento della collana “Tex Willer”, che racconta le avventure del futuro Ranger ancora ventenne. In quella storia, scritta da Mauro Boselli e disegnata da Alessandro Piccinelli, viene mostrato l’incontro fra il maturo Zagor e il giovane Tex. Dunque, il Tex di una ventina di anni dopo che ritrova Nakai e Shumavi ricorda l’eroe di Darkwood al cui fianco ha combattuto in una serrata battaglia ambientata in Texas. “Bandera!” a sua volta è il sequel di una avventura zagoriana del 1995, “Texas Rangers”, di Boselli e Carlo Raffaele Marcello, anch’essa riproposta nella collana “Le grandi storie Bonelli” come vademecum per la lettura del team up. Insomma, gli universi dei due eroi stanno collidendo. In attesa di scoprire quali altri incroci uniranno le loro piste, complimenti a Giorgio Giusfredi e al magistrale Fabio Civitelli, noto per essere un certosino cesellatore e qui chiamato a rompere la tradizionale gabbia bonelliana. I colori sono di Laura Piazza.

domenica 8 ottobre 2023

FREAKS

 

 

Akimitsu Naruyama
FREAKS
Logos
Prima Edizione 2000
brossurato – 190  pagine -  euro 14,90


Akimitsu Naruyame, nato a Tokio nel 1966, ha iniziato a ricercare e collezionare vecchi libri e vecchie fotografie dell’Occidente durante i suoi studi a Parigi e in Belgio. In questo libro vengono raccolte immagini fotografiche di fine Ottocento e di inizio Novecento riguardante lo sfruttamento dei freak da parte di circhi e spettacoli itineranti. L’introduzione dell’autore si conclude con queste parole: “Le persone raffigurate in questo libro rappresentano solo una piccola parte dei fenomeni vissuti nel XIX e agli inizi del XX secolo. La loro fama diede loro almeno la sicurezza economica, ma la maggior parte delle persone affette da anomalie se la passava molto peggio. Di solito erano condannati a brevi vite di povertà, fame e isolamento. Le fotografie di questo libro appartengono a un tempo ormai passato. Grazie a Dio”. Colpisce molto, a proposito di Dio, quanto scrisse nel 1945 William Bradley Smith, nato nel 1908 e noto come “Aloa, il ragazzo serpente”, che aveva un pelle simile a quella di un rettile: “Dio nella sua infinita saggezza ha ritenuto opportuno crearmi in questo stato pietoso, Egli deve aver avuto le sue ragioni, e io non metto mai in dubbio le Sue opere”. L’introduzione inquadra molto bene il fenomeno dello sfruttamento a fine di spettacolo di persone deformi o nate con malformazioni genetiche o incredibili particolarità fisiche. La maggior parte delle fotografie sono opera di Charles Eisenmann, i cui soggetti preferiti erano appunto le persone affette da anomalie. Le immagini sono  impressionanti: si comincia con persone enormemente grasse o incredibilmente magre, poi ci sono nani e giganti, gemelli siamesi e uomini con tre gambe o con un parassita emergente dal proprio corpo, passando poi per tutta una gamma di terribili malformazioni. Questa raccolta di foto mi ha ispirato una storia di Zagor, "Ombre nella foresta" (2009).

sabato 7 ottobre 2023

IL GIORNO DELLA CIVETTA

 
 

 
 
 
Leonardo Sciascia
IL GIORNO DELLA CIVETTA
Adelphi
brossurato, 2002
137 pagine, 9,50 euro


Scritto da Leonardo Sciascia nel 1960 e pubblicato da Einaudi nel 1961, “Il giorno della civetta” è considerato il primo grande romanzo che racconta la mafia. In quegli anni, gran parte della politica e dell’informazione della mafia negava addirittura l’esistenza. In una nota, l’autore spiega che i fatti da lui narrati sono inventati “per esempio” ma che ce n’è uno vero, raccontato tale e quale a come è avvenuto: c’è infatti una scena ambientata nell’aula di Montecitorio in cui un viceministro, chiamato a rispondere a una interrogazione parlamentare circa l’ordine pubblico in Sicilia, replica sostenendo che i fatti di sangue che vi avvengono sono da attribuirsi alla criminalità comune, dato che dell’esistenza di una ramificata organizzazione mafiosa si favoleggia soltanto. Scrive Sciascia: «sulla mafia esistevano degli studi, studi molto interessanti, classici addirittura: esisteva una commedia di un autore siciliano che era un'apologia della mafia e nessuno che avesse messo l'accento su questo problema in un'opera narrativa di largo consumo». Ci voleva dunque che la letteratura facesse violenza all’omertà politica mostrando la civetta, animale notturno, ormai abituato a palesarsi anche di giorno (la citazione da cui nasce è il titolo è shakespeariana). Non solo Sciascia descrive dunque la Sicilia così com’è (nel bene e nel male) ma prevede l’infiltrazione mafiosa in tutto il territorio nazionale. Nel finale del racconto, uno dei personaggi dice infatti: «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia. A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno. La linea della palma… io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato. E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma». Come accade anche in “A ciascuno il suo”, di cui ci siamo occupati in questo spazio, il racconto potrebbe considerarsi un giallo: ci sono degli omicidi (ben tre), vengono svolte le indagini del caso, manca però il lieto fine. Il protagonista è il capitano Bellodi, un ufficiale dei Carabinieri di origini emiliane, convinto di poter condurre le sue inchieste con le stesse modalità in cui si svolgono a Parma, dov’è nato. E dimostra, nell’interrogare testimoni e sospetti con modi gentili che nascondono una grande finezza psicologica, un eccezionale acume. Collega tra loro i tre casi delle morti di Salvatore Colasberna, un imprenditore, di Paolo Nicolosi, un potatore testimone del delitto e di Calogero Dibella, informatore degli uomini della legge. Individua il sicario del rimo omicidio, il suo mandante che fa tacere il testimone, e il boss sopra di loro a cui si deve l’ordine di punire Dibella, don Mariano. Far confessare e arrestare i primi due gli è, per così dire, facile, ma quando tenta di mettere le mani su don Mariano, lo stesso maresciallo Ferlisi che gli fa da assistente si mette in mezzo con inaudita veemenza. Bastano pochi giorni di congedo in cui Bellodi fa ritorno a Parma per vedersi smontare tutta l’inchiesta con alibi costruiti a regola d’arte e ritrattazioni di testimonianze rese. Lo scoramento sembra convincere il capitano a restarsene al Nord e lasciar perdere la Sicilia. Ma… il finale è davvero bello e inquietante al tempo stesso. Sciascia (1921-1989) è un narratore straordinario, con una prosa musicale e ipnotica, fatta di poche parole che riducono il racconto all’essenziale dando però l’idea che sia stato detto tutto. Da leggere incantati. Fra le pagine memorabili, quella in cui don Mariano si rivolge così a Bellodi: «Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo.» Da “Il giorno della civetta” il regista Damiano Damiani ha tratto un film nel 1968.

venerdì 6 ottobre 2023

DELITTO IMPUNITO

 
 


 
Georges Simenon
DELITTO IMPUNITO
Adelphi
brossurato, 2023
192 pagine, 18 euro


Che Georges Simenon (1903-1989) non sia soltanto l’autore dei gialli di Maigret, è cosa risaputa. Che spesso i suoi romanzi senza Maigret siano ancora migliori di quelli con, lo sanno benissimo tutti coloro che ne hanno letti alcuni. Chi lo ha fatto non avrà mancato di notare come in molti di essi (non in tutti) ci sia comunque un risvolto giallo, o noir, sia pure sottotraccia. É il caso de “L’uomo che guardava passare i treni”, de “La camera azzurra”, de “Il piccolo libraio di Archangelsk” e, anche, di questo “Delitto impunito”, datato 1953. Tuttavia, come spesso capita in Simenon, non è l’aspetto poliziesco, qui ridotto davvero al minimo, a irretire il lettore. E’ sbalorditivo come lo scrittore riesca a descrivere ambienti e personaggi con il minimo delle parole, quelle necessarie a creare il coinvolgimento. Il protagonista di “Delitto impunito” ambientato in una prima parte in Belgio negli anni Venti e nella seconda negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, è Élie Waskow, giovane studente ebreo nativo di Vilnius, trasferitosi a Liegi per frequentare la facoltà di matematica nella locale università. Ha trovato alloggio presso la signora Lange, una affittacamere che vive dando a pigione le stanze della propria casa a inquilini solitamente spiantati. Il più spiantato di tutti è proprio Élie, che non ha neppure i soldi per scaldare la propria stanza e dorme con il cappotto addosso. Élie è un tipo decisamente strano, taciturno, introverso, che sembra covare un sordo rancore contro il mondo per la sua povertà ma al tempo stesso rifiuta ogni forma di aiuto, fa un punto d’orgoglio di non essere in debito verso nessuno. Per di più è brutto, con gli occhi sporgenti, i capelli crespi e rossi, del tutto incapace di instaurare una relazione con le donne che pure lo attirano. La signora Lange, per esempio, ha una figlia, Louise, di cui Élie è segretamente innamorato facendo di tutto, però, per non darlo a vedere. Tuttavia, nel microcosmo dei pensionanti lo studente lituano si è ricavato una nicchia, una tana, che sembra assicurargli di non essere disturbato, dato che lo star chiuso in se stesso sembra essere la cosa per lui più importante. Ma tutto cambia quando in casa Lange giunge Michel Zograffi, un rumeno che prende in affitto la stanza più bella e meglio riscaldata, potendola pagare senza difficoltà perché è il rampollo di una famiglia ricca. Non solo: Michel è bello, simpatico, sorridente, felice. Tutto il contrario di Élie. Per di più comincia ad andare a letto con Louise, caduta come una pera matura fra le sue braccia, lei che non ha mai degnato Waskow di uno sguardo. La signora Lange lo coccola e lo porta in palmo di mano. «Lo ucciderò», comincia a ripetersi Élie, come un mantra che finisce per ossessionarlo. Élie, deve eliminare quel¬l’intruso che è venuto a sconvolgere il suo universo, un uomo «felice in tutto e per tutto, sempre e comunque, in ogni momento della giornata». E gli eventi precipitano. Non si può rivelare cosa succede senza rovinare il gusto di scoprirlo a chi non abbia letto il libro, però si può dire che la scena si sposta bruscamente dalla Liegi prima della Guerra alla Carlson City, in Arizona, del Dopoguerra. Lì, Élie ha trovato di nuovo un rifugio. Ma il passato torna a perseguitarlo nel modo più imprevisto, fino a un finale improvviso e sconvolgente. Il tutto raccontato da un narratore che non si riesce a smettere di ascoltare, e che nobilita il noir con la sua scrittura.

giovedì 5 ottobre 2023

GIANCARLO BERARDI UN NARRATORE FRA LE NUVOLE

 
 
 

 
 
Autori Vari
GIANCARLO BERARDI
UN NARRATORE FRA LE NUVOLE
Lo Scarabeo
cartonato, 220 pagine
2023


Questo volume non è soltanto il bel catalogo della mostra dedicata a Giancarlo Berardi che è stata allestita a Città di Castello nel settembre 2023 (mostra praticamente tutta quanta riprodotta nelle illustrazioni del ponderoso tomo), ma rappresenta ai miei occhi di saggista chiamato a scrivere uno degli articoli contenuti all’interno, il modo di saldare un debito che ho con lo sceneggiatore genovese, senza il quale indubbiamente la mia vita sarebbe stata diversa. Ritengo di avere dei debiti anche con altri maestri del fumetto italiano, naturalmente, e alcuni li ho, per il poco che ho potuto, a mio modo saldati (dando alle stampe per esempio saggi su Sergio Bonelli, Gallieno Ferri, Max Bunker, Giovanni Ticci, Paolo Eleuteri Serpieri). Ma a Berardi, di cui pure mi sono occupato scrivendo saggi e articoli e perfino dedicandogli un capitolo della tesi di laurea, continuavo a sentire di dovere qualcosa, un “grazie” più argomentato di quanto avessi fatto finora, che non ritenevo sufficiente. Non sono sufficienti neppure le ventisei pagine a mia firma contenute nel catalogo “Un narratore fra le nuvole”, ma se non altro si sommano alle altre scritte da Vincenzo Mollica, Pietro Alligo, Paolo Bertolazzo, Gianni Brunoro, Claudio Ferracci, Gianni Di Pietro, Roberto Guarino, Matteo Pollone, Chiara Cristilli, Daniele Barbieri, Marco Grasso e Daniele Bevilacqua. Quest’ultimo è stato convocato per compilare la fumettografia berardiana (tra cui si trovano racconti “insospettabili” di Diabolik, del Piccolo Ranger e per il “Corriere dei Piccoli” e “Horror”). “Insospettabili” anche le notizie riferite da Marco Grasso che si occupa del Berardi musicista, autore peraltro (e regista) di uno spettacolo teatrale dedicato a Jimi Hendrix. Lo stesso Berardi ci stupisce non solo mostrandosi in veste di illustratore e nei panni di autore di racconti in prosa e di intense poesie, ma anche annotando ricordi e tirando fuori dai cassetti foto d’epoca (una, esposta pure in mostra, addirittura con il giovanissimo sottoscritto). Un volume, dunque, bello da sfogliare (è illustratissimo) e da leggere. Riassumerlo qui sarebbe impossibile, però, forse, riportare l’inizio del mio articolo, “Un autore in cerca di sei personaggi” può servire a far meglio capire che cosa ha rappresentato Giancarlo per me. Eccolo qui di seguito.

Ho scoperto Ken Parker piuttosto in ritardo rispetto alla sua prima uscita (giugno 1977), e precisamente con l'albo intitolato "Il poeta" (n° 38, aprile 1981). Non so dire perché non mi ci fossi accostato prima. In ogni caso, quell’albo mi colpì moltissimo. Potrei dire che mi turbò. Era qualcosa di diverso da qualunque western avessi letto. Di diverso, in realtà, anche al di là del genere. Decisi di rintracciare i numeri arretrati che mi erano sfuggiti. Me li procurai in un negozietto di fumetti usati e, in attesa di leggerli, li tenevo sul comodino. Ricordo che guardavo quella pila con il vago senso di angoscia di chi sa che, facendo qualcosa, poi dovrà soffrire. Infatti spesso la concludevo la lettura con il groppo alla gola ed emotivamente sconvolto. "Butch l'implacabile", "Cronaca", "Diritto e rovescio", "Lily e il cacciatore"... tutti albi che mi hanno lasciato il segno, sui quali ho sofferto per quanto erano coinvolgenti. Rammento di aver versato una lacrima sul finale di Alcune signore di piccola virtù. Qualcosa del genere mi è successo con l'ultima avventura di Ken Parker. Ultima in tutti i sensi, quella in cui la saga si conclude, uscita come volume finale dell'edizione definitiva mondadoriana, mandata in edicola settimanalmente in tomi che hanno raccolto tutto quanto era già uscito, più appunto l'episodio inedito Fin dove arriva il mattino (2015). Ho temporeggiato finché ho potuto, sapendo che leggere mi avrebbe oppresso il petto.
Dopo Lungo Fucile ho scoperto i personaggi precedenti di Giancarlo Berardi e, naturalmente, ho seguito i successivi: Tiki, L’uomo delle Filippine, Sherlock Holmes, Giuli Bai, Marvin, Julia, per citarne sei come quelli del dramma di Luigi Pirandello (evitando di contare i protagonisti della serie "Welcome to Springville" o i comprimari dei tanti microcosmi che ruotano attorno ai titolari di testata). In Berardi mi sono imbattuto quando ero già ventenne e credevo di essere ormai scafato. Si è trattato di un innamoramento maturo e consapevole, insomma. Inutile dire che ho cercato di carpirne i segreti, visto che mi proponevo di fare il suo stesso mestiere. Ancora più inutile è dire che non ci sono riuscito, anche se Decio Canzio una volta, quando già quel mestiere avevo cominciato a farlo, mi ha detto che “berardeggiavo”. Se dovessi circoscrivere in una frase ciò che ho imparato da Berardi, citerei: “Una buona storia è quella con dei buoni personaggi”, che ricordo di aver letto in una sua intervista.