Si intitola "Il negromante e altri incubi". L'editore è Cut-Up. Gli autori sono Stefano Andreucci e il sottoscritto. Cartonato, 56 pagine, in bianco e nero, formato 21x30 cm, 14.00 euro. Si tratta del mio terzo libro con Cut-Up dopo "Dall'altra parte" e "Facezie", ma è il primo a fumetti. Raccoglie cinque storie di horror medievale pubblicate tra il 1990 e il 1991 sulla rivista "Mostri", che rappresentano i primi passi della mia carriera di sceneggiatore. Insieme a me compiva i suoi anche Stefano Andreucci, destinato a diventare uno dei migliori disegnatori del mondo (lo dico senza timore di venire smentito). Se siete curiosi di scoprire com'eravamo ai blocchi di partenza, non avete che da procurarvi il volume. Sono abbastanza certo che anche i cinque racconti siano divertenti, perché questo è il parere che continua a venirmi riferito, a distanza di quasi trent'anni, da tanti che li hanno letti. Il volume è preceduto da una (breve) prefazione di Paolo Di Orazio, protagonista della stagione di "Splatter" e delle pubblicazioni di quella gioiosa macchina da guerra che fu l'Acme di Francesco Coniglio e Silver, e da una (lunga) introduzione mia. Da quattro delle cinque storie illustrate da Andreucci ho tratto altrettanti racconti in prosa contenuti nell’antologia horror “Dall’altra parte”, una quinta è stata pubblicata negli Stati Uniti dalla rivista Brian Yuzna's Horrorama.
Nel 1990, mentre cercavo di entrare nel mondo del fumetto come sceneggiatore dopo aver coltivato fin dall'infanzia una grande passione verso gli eroi di carta nel ruolo di lettore, attendevo speranzoso gli esiti di un tentativo in corso con lo Spirito con la Scure. Ero però tutt’altro che certo di riuscire a portare a termine l’impresa con un risultato soddisfacente e niente garantiva che dopo il primo Zagor che Ferri stava disegnando avrei potuto scriverne altri. Incoraggiato dal riscontro positivo in casa Bonelli, decisi di tentare qualche altro colpo. A uno come me, abituato a recarsi tutti i giorni in edicola e non uscire prima di aver passato ai raggi X tutti gli scaffali, non era certo sfuggita la nascita di una nuova casa editrice chiamata ACME che aveva cominciato a mandare in edicola due testate horror in formato comic book, “Splatter” e “Mostri”, che non si limitavano a cavalcare l’onda del successo di Dylan Dog ma proponevano giovani autori di ottimo livello quali Stefano Andreucci, Bruno Brindisi, Roberto De Angelis, Luigi Siniscalchi e tanti altri. Perciò inviai all’indirizzo romano della redazione alcuni miei soggetti, incrociando le dita.
Non passò una settimana che ricevetti una telefonata. “Sono Francesco Coniglio”, disse il mio interlocutore. Non avevo mai visto Francesco di persona, ma il suo nome era una sorta di mito presso i fanzinari, dato che era stato, con Luca Raffaelli, uno degli artefici di una fanzine storica del comicdom italiano, “L’Urlo”, passata alla storia per certe contestazioni durante l’edizione di Lucca Comics del 1978. Che io conoscessi Coniglio di fama, dunque, era nell’ordine naturale delle cose. Che lui conoscesse me, invece, no. Eppure era così: Francesco disse di essere un fedele lettore di “Collezionare”, la rivista amatoriale che io dirigevo, e di essere sobbalzato nel leggere il mio nome quale autore delle proposte che gli avevo inviato, dato che apprezzava il mio lavoro ed era proprio in cerca di gente come me. Mi spiegò che l'ACME era sua e di Silver (il celebre autore di Lupo Alberto), che mi conosceva di fama per Collezionare, che sapeva tutto di me perché anche all'epoca era un personaggio attentissimo, con le mani in pasta dappertutto. Mi invitò a raggiungerlo a Roma nel più breve tempo possibile. Nel giro di pochi giorni, saltai sul treno e feci la sua conoscenza nella redazione dell’Acme. Mi trovai di fronte una persona straordinaria, sulla mia stessa lunghezza d’onda: grande appassionato di Zagor, pieno d’entusiasmo e di idee, rapidissimo nel prendere decisioni e nel mettere in campo progetti. Scoprii che non si era improvvisato editore con “Mostri” e “Splatter” ma che da tempo si occupava di fumetti erotici con la sigla EPP , curando comunque numerosissime altre iniziative editoriali. Mi disse che i soggetti che avevo inviato gli erano piaciuti e mi rimandò al responsabile delle sceneggiature che le avrebbe valutate nel concreto e che era Roberto Dal Prà: per me anche lui era un mito, lo sceneggiatore de "L'uomo di Mosca", di Jan Karta e di Anastasia Brown, di cui leggevo le storie sulla rivista Comic Art. Andammo a pranzo insieme io, lui e Roberto Dal Prà. Roberto mi approvò un soggetto, che io sceneggiai. Si trattava del primo di cinque racconti che poi furono disegnati da Stefano Andreucci e che uscirono sulla rivista Mostri. Racconti apparsi su numeri molto ravvicinati tra di loro: nel giro di sette-otto mesi uscirono tutti, come fosse una miniserie. Di Stefano all’epoca non sapevo nulla, scoprii solo a cose fatte chi aveva illustrato le mie storie. Anche lui, come me, era alle prime esperienze: si tratta dei nostri primi lavori. Si vedeva già però qualcosa in controluce.
Tornai molte altre volte a Roma, incontrando personaggi incredibili come Greg (della coppia Greg & Lillo) che all’epoca lavorava come redattore della Acme e disegnava un esilarante fumetto dal titolo “I sottotitolati”. Ogni volta che vedevo Coniglio, tornavo a casa carico di cose su cui lavorare, avendo respirato l’aria effervescente di una redazione in cui si inventavano testate che erano proprio come quelle che io avrei voluto trovare in edicola: Torpedo, Cattivik, Lupo Alberto, Hard Comic Album, Animal Comic, Hey Rock, Ciacci, Zio Tibia. Alcuni progetti non arrivarono mai in porto, ma ci lavorammo. Qualche mese dopo, quando il nostro rapporto di collaborazione si fu consolidato, Francesco mi propose di trasferirmi a Roma a lavorare da lui. Lo ascoltai incredulo: si trattava di una vera e propria offerta di assunzione per fare il redattore della Acme. Fu in pratica il primo a convincersi che avevo la stoffa per essere utile in una Casa editrice. Era il lavoro che avevo sempre sognato. Chiesi quanto fosse lo stipendio. Era il normale stipendio per quel lavoro, né più né meno. Io però, a Firenze, avevo già un impiego e guadagnavo un po' meglio. Inoltre, trasferendomi a Roma avrei dovuto trovare un appartamento in affitto. Facendo due calcoli, capii che togliendo le spese per l’alloggio non mi sarebbe avanzato molto. Così rifiutai. Però sono sempre stato grato a Coniglio per quella dimostrazione di stima. Quando poi anni dopo mi proposero l'assunzione in Bonelli dissi di sì, e lasciai la Società Autostrade, ma questa è un'altra storia (che vi ho già raccontato). Però evidentemente era ormai nell'aria il fatto che io dovessi lavorare nel fumetto sul serio e Francesco aveva già intuito che sarei diventato un animale da redazione. Purtroppo, troppo presto, l'ACME chiuse, come varie altre Case editrici fatte e disfatte dal loro inventore, in un incredibile ottovolante di successi e fallimenti. C'erano trionfi, come quello mensili di Lupo Alberto o dei Simpson, poi tracolli come quelli di Torpedo. Sergio Bonelli divenne socio di Coniglio e Silver dado vita al marchio Macchia Nera, che sostituì quello dell'Acme e che aveva sede a Milano in Via Ferruccio 15, la vecchia sede dell’Audace. Coniglio mi chiedeva prefazioni per certe sue pubblicazioni, oppure di curarne alcune (come il volume della collana Acme Comics dedicato alle Sturmtruppen o la raccolta delle comiche di Cico & Trampy di Nolitta & Ferri). Fu lui a chiedermi di curare la Posta e le rubriche umoristiche di Cattivik, cosa che feci per lungo tempo con lo pseudonimo di Gustavo La Fogna. Poi io Francesco abbiamo preso strade diverse, ma siamo sempre rimasti in contatto.
Mentre presentavo i racconti per Mostri, provai anche a presentare dei soggetti per Splatter, che furono tutti bocciati. L’ACME però pubblicava anche Cattivik e chiesi se potevo proporre qualcosa anche per quel personaggio. Risposero subito “Eccome!”. Erano ben contenti, perché gli serviva gente spiritosa in grado di scrivere storie per il Genio del Male. Presentai primi soggetti, e in quel caso fu Vincenzo Perrone l’editor che mi guidò inizialmente. In breve cominciai a scrivere storie di Cattivik a tambur battente. A un certo punto Silver in persona mi chiese perché non cominciassi a scrivere anche qualche storia di Lupo Alberto. Non avevo osato chiederlo. Alla fine ho fatto 40 storie di Cattivik e poi ne ho fatte 40 di Lupo Alberto. Poi a un certo punto io stesso smisi, perché, dovevo occuparmi di Zagor. Io avevo da fare, loro avevano anche altri collaboratori e a un certo punto, in modo naturale, la cosa si è esaurita. Dopo tanti anni, il volume con Cut-Up mi ha permesso di recuperare le emozioni di quei giorni. Spero che capiti anche a voi.