lunedì 30 aprile 2018

BRIGITTE




Stefano Fantelli
BRIGITTE
Nicola Pesce Editore
2018, brossurato
290 pagine, 14 euro

"Brigitte vuole fare la disegnatrice di fumetti, le piace leggere romanzi, guardare le serie TV. Ed è una morta vivente". Accattivante fin dalle grida in copertina (o forse, sibili) e dalla grafica della medesima, si capisce subito che questo è un romanzo per young adults. Ovvero, per giovani lettori, per adolescenti o post tali. Tuttavia, come insegna Harry Potter, la narrativa young adults non è necessariamente per i millennials ma per chi si sente giovane dentro. "Brigitte" si fa leggere con piacere anche dai babbioni. E dai babbani. E' un romanzo horror ma non fa paura, anche se un po' di inquietudine la mette (del resto la protagonista non sarebbe una adolescente se non fosse inquieta). Brigitte comunque non è morta. È diversamente viva, come lei stessa preferisce essere chiamata. Non è neppure una zombie nella tradizionale accezione del termine. Non ricorda niente di cosa le sia accaduto, del perché abbia dovuto morire (forse è annegata? L’ha messa sotto un’automobile?) ma non è diventata una morta vivente per un misterioso virus o per un esperimento sfuggito di mano a uno scienziato pazzo. Perciò, il suo corpo obbedisce a regole diverse rispetto a quelle stabilite dalla tradizione. Perde pezzi come gli abitanti della Zona del Crepuscolo di Dylan Dog, e con accade a quelli lì anche i suoi si possono riattaccare cucendoli con ago e filo e facendo rientrare le ossa nelle loro sedi. Brigitte non racconta niente di quel che le sta succedendo ai genitori o ai nonni: quando mai una ragazza della sua età si confida con il papà o con la mamma, se non è proprio indispensabile? In fondo a lei basta cercare di vivere la storia d’amore che le sta facendo battere il cuore, anche se “vivere” e “battere il cuore” sono parole ben strane dette di una zombi, sia pure postmoderna. L’aggettivo “postmoderno” si usa quando si recuperano cose del passato in contesti all’avanguardia o contemporanei. Così, se qualcuno decide di raccontare in chiave attuale il mito del vampiro o dell’uomo lupo, prova a farlo cercando di immaginare come sarebbero quei mostri se esistessero sul serio e se si muovessero per le strade dei nostri giorni. Se gli zombi esistessero magari sarebbero proprio come Brigitte e non come quelli dei film e delle serie TV. Il vero dramma non è tanto quello di essere degli zombi, ma di doverlo nascondere. Di non poterlo dire a nessuno. Di rimanere soli con il nostro segreto. Stefano Fantelli è uno scrittore di razza, di solito crudo e crudele, in questo caso garbato e delicato nell'affrontare il tema dell'adolescenza (soprattutto trattato da un punto di vista femminile) e della formazione dell'io in modo originale, accattivante, coinvolgente. Il fatto che io mi sia occupato della prefazione (come Stefano si è occupato di introdurre le mie "Facezie") non comporta che questo sia un giudizio di parte. Complimenti anche all'editore, Nicola Pesce, che affianca ai suoi volumi a (e sui) fumetti anche testi di narrativa.

venerdì 27 aprile 2018

LO STAGNO DEI CAIMANI



Emilio Salgari
LO STAGNO DEI CAIMANI
E ALTRI RACCONTI PERDUTI
Bompiani
2018, cartonato,
192 pagine, 12 euro

Chi era Guido Altieri? A sentire Emilio Salgari, un giovane di cui lui era zio. Tant'è vero che quando sottoscrisse un impegno con la casa editrice Bemporad che lo vincolava a far cessare le pubblicazioni con quella firma, scrisse: "Il Signor Guido Altieri, mio nipote, non pubblicherà nessun lavoro col proprio nome, nel periodo di durata dei contratti che mi legano alla Ditta R. Bemporad & Figlio. Mi impegno ad assumere pienamente verso di voi quest'obbligo, in nome del mio nipote". Esistono anche lettere di Altieri al "Sig, Cav. Bemporad" in cui il medesimo parla di Salgari come di suo zio. In realtà è stato dimostrato come Guido Altieri, o anche Cap. Guido Altieri, fosse uno pseudonimo usato frequentemente da Salgari stesso, per racconti ma anche per romanzi, per non farsi concorrenza da solo e non inflazionarsi, oltre che per sfuggire a vincoli contrattuali che lo legavano in esclusiva (per esempio, quello con l'editore genovese Donath). Un interessante saggio sull'argomento, firmato da Giuseppe Bonimi e da Claudio Gallo, corredato per giunta da un bibliografia completa degli scritti di Altieri, compare in appendice a questa antologia che prende il titolo del primo dei racconti contenuti, "Lo stagno dei caimani". Antologia che comprende sì racconti rari o rarissimi (perché stampati su riviste dei primissimi del Novecento difficili da reperire) scritti da fantomatico Capitano, ma anche tre attribuiti ad altri pseudonimi salgariani come Enrico Bertolini e Giulio Retadi, quest'ultimo nome-de-piume di recentissima scoperta. Ci si è accorti del fatto che si tratta di Salgari perché "Giulio Retadi" è l'anagramma di "Guido Altieri" - e del resto lo stile lo conferma.
In tutto, nove eccellenti racconti, tra cui uno western e uno di fantascienza (va detto che come Altieri, Salgari aveva scritto un intero romanzo di science-fiction, "Le meraviglie del Duemila"). "Lo stagno dei caimani", quello western, che narra la vendetta di un pellerossa, Mocassino Sanguinoso, contro l'ucciso di suo padre, e la controvendetta della figlia di questi,Wallalka, benché innamorata del vendicatore, è davvero tosto. Ma anche "La lupa maledetta", di ambientazione greca, con un fratello che ruba con l'inganno la fidanzata all'altro e ne subisce poi l'ira funesta, si fa ricordare. Sempre sorprendente il nostro Emilio. O Giulio. o Guido, O Enrico.

giovedì 26 aprile 2018

OH DIO MIO!


Anat Gov
OH DIO MIO!
Giuntina
2016, brossurato,
100 pagine, 10 euro

Scritto come un testo teatrale ma sicuramente da leggersi anche e soprattutto come un testo letterario (del resto i testi teatrali fanno parte a pieno titolo della letteratura), "Oh Dio mio!" è un piccolo capolavoro di umorismo yiddish ma certamente non si può etichettare come scritto comico. Anzi, il drammatico prevale, visti i temi trattati. L'autrice, israeliana di Tiberiade (1953-2012), mette in scena l'incontro impossibile tra un psicoterapeuta, Ella, madre di un ragazzo autistico di dodici anni anni, Lior, e un insolito paziente venuto a farsi psicanalizzare, che si rivela essere Dio. Il Creatore fa un po' di fatica a convincere Ella che si tratta proprio di Lui, ma poi, di fronte all'evidenza di tante cose di lei che solo Colui Che E' può sapere, la psicologa accetta il dato di fatto e, con grande professionalità comincia il suo lavoro. Dio sembra vittima di una sindrome depressiva, dato che le cose, con l'Uomo, non sono andate per il verso giusto. Ella scava con metodo freudiano cercando di capire se alla base del mal di vivere divino ci siano i genitori assenti, e provoca con veri e propri colpi ai fianchi la reazione del paziente, messo sotto accusa. Tanto per cominciare, perché il Creatore ha voluto creare? Si sentiva solo? "Cerchi di ricordare il momento prima della decisione". E poi, possibile che creato l'Uomo, al primo sgarro sia stato così brutalmente punito e abbandonato? E i dieci comandamenti? Perché il primo non è "non uccidere" ma "non avrai altro Dio all'infuori di me"? Paura dell'abbandono? E che dire dell'odio verso le donne, fatte partorire con dolore? Gelosia perché Adamo preferiva Eva a Lui? Dio finisce quasi per perdere le staffe. Alla base della depressione divina sembra esserci il pasticciaccio brutto accaduto con Giobbe. Prima di quel fatto, Dio interveniva, parlava, era presente; dopo, quasi scompare dalla Bibbia. Non parla più. Che accadde, veramente? Alla fine, però, anche Ella si rende conto di venire psicanalizzata da Dio, per il dramma che vive con il figlio autistico. E sembra che il confronto sia terapeutico per entrambi. Dio non può fare a meno dell'uomo e l'uomo non può fare a meno di Dio?

venerdì 20 aprile 2018

L'IDEA FISSA (IL TROIO 5)





IL TROIO 5
L'IDEA FISSA 
di Andrea Camerini
Edizioni del Vernacoliere

2010

Le scritte di copertina "Tutto a colori" e "Contiene un sacco di roba inedita" dovrebbero invogliare all'acquisto gli acquirenti esitanti, ma ovviamente io non ho avuto alcuna esitazione, anche se avevo già letto sul "Vernacoliere" tutte le storie già apparse . A questo punto servono però due parole proprio su questa mitica rivista, "Il Vernacoliere". E' vero che è stampata a Livorno e presenta testi in gran parte in livornese, ma si trova ormai in quasi tutta l'Italia (vedo sempre le irriverenti locandine persino nelle edicole milanesi) e decifrare il vernacolo toscano non è mai stato un problema per nessuno. Si tratta di un mensile satirico che alterna testi e disegni. Ovviamente, bisogna essere pronti a trovarsi di fronte di tutto, parolacce, oscenità e blasfemie. Però, si tratta sempre di un tipo di trivilialità "colta", di un registro stilistico, che va contestualizzato in una tradizione. Il "Vernacoliere" è dissacrante, demistificante, politicamente scorretto, anticlericale. E' "di sinistra" ma fa ridere anche quelli "di destra". Sulle pagine della rivista livornese è nato, per esempio, "Don Zauker" di Daniele Caluri ed Emiliano Pagani, il duo che oggi realizza "Nirvana" per la Panini (i nuovi Magnus & Bunker, li ho definiti io). Un altro pezzo da novanta della rivista, insieme a Federico Sardelli, è Andrea Camerini. Il quale è noto ben oltre i confini del "Vernacoliere" come regista di corti cinematografici e animatore di sigle TV (sono suoi quelle delle rubriche di "Striscia la Notizia", da "I nuovi mostri" a "Fatti e rifatti"). Di Andrea sono amico da una vita (anche se, in effetti, è un po' che non vado a trovarlo nel ristorante di famiglia che gestisce sul golfo di Baratti), ricordo ancora quando, giovanissimo, veniva a farmi vedere un suo fumetto con protagonista un antico etrusco. Da vent'anni, Camerini disegna, fra le altre cose, le avventure del Troio, di cui questa è la quinta raccolta. Un personaggio pessimo e negativo come pochi altri mai (battuto forse solo da Don Zauker), una sorta di coatto livornese, un tamarro al cacciucco, uno Zanardi labronico, ma anche uno che i coatti e i tamarri (e forse anche gli Zanardi) li stende con un rutto, perché lui, indiscutibilmente, è superiore. Trenta/trentacinque anni, bello e biondo, senza voglia di lavorare, totalmente disinteressato ai problemi del mondo se non ai suoi, che sono soltanto quelli di evitare le ire del babbo che lo vuol buttare fuori casa e di trovare compagnia femminile, con qualunque mezzo lecito e meno lecito. Dunque, è questa l'idea fissa del titolo, com'è facile capire fin dalla copertina che cita la locandina del film su Larry Flint. "Ner mondo c'è tanta superficialità e menefreghismo - dice il Troio - ma tanto a me m'importa una sega: mi basta trombà". Scrive Paolo Ruffini nella sua introduzione: "Si legge, si ride e poi ci si sente meglio: una catarsi che sgorga fluente in nome di un concetto molto più alto della libertà: la libertà di essere delle teste di cazzo".

mercoledì 18 aprile 2018

PYONGYANG






Guy Delisle
PYONGYANG 
Fusi Orari

2006
176 pagine
Come descrive il mondo Guy Delisle, nessuno.  L'ho scoperto anni fa seguendo l'autore nel suo viaggio a Pyongyang, la capitale della Corea del Nord, il paese più isolato del mondo, un luogo davvero ai confini della realtà. Anni fa, intendendo nel 2006 quando uscì in Italia il libro di graphic journalism "Pyongyang" realizzato nel 2003: vale a dire quando della Corea del Nord non parlava nessuno e Kim Jong-un non era ancora salito al potere (lo avrebbe fatto nel 2011). Delisle ha vissuto (praticamente guardato a vista) nella città coreana per due mesi, dovendo controllare la lavorazione di una serie di cartoni animati francese affidata agli intercalatori locali, lavoratori particolarmente a basso costo. Gli stranieri sono ammessi con il contagocce dal regime, vengono alloggiati tutti in due o tre alberghi da cui non possono uscire se non sotto scorta. Da questa esperienza, l'autore ha tratto un reportage a tratti esilarante, a tratti drammatico. E' incredibile il grado di alienazione in cui una dittatura (in questo caso, comunista) possa ridurre milioni di persone, costrette a vivere in funzione dello stato e nel culto del "caro leader", la cui immagine campeggia dovunque come l'occhio del Grande Fratello. E se qualcuno non ne spolvera l'icona in cornice obbligatoriamente posta in casa propria, può essere denunciato dal vicino e deportato con tutta la famiglia in un campo di lavoro. Spero proprio che Karl Marx avesse in mente ben altro. Ai nord coreani il regime fa credere che le opere del fondatore dello stato, Kim Il-Sung, vengono studiate nelle università di tutto il mondo e che stanno facendo proseliti in vista del trionfo planetario della sua ideologia. Scrive Delisle (pagina 74): "C'è una domanda che vorrebbero fare tutti gli stranieri che visitano questo paese, una domanda che ci guardiamo bene dal fare a voce alta, una domanda che alla fine ci rivolgiamo in silenzio da soli: ma ci credono veramente a tutte queste stronzate che cercano di propinargli?". Fra le stronzate c'è la convinzione che gli abitanti della Corea del Sud vorrebbero tutti riunirsi entusiasticamente a quelli del Nord e che sono gli Stati Uniti a impedirglielo con la forza. Intanto, a Pyongyang la notte non c'è luce (salvo che quella che illumina la statua del dittatore), nei negozi non c'è merce, nelle autostrade non circolano le macchine, ma l'esercito è potentissimo e si testano continuamente nuovi missili in grado di colpire il Giappone. Un libro divertente ed inquietante che dimostra una volta di più come il fumetto possa servire a raccontare qualunque cosa, anche a fare reportage giornalistici. 

martedì 17 aprile 2018

ONDE GRAVITAZIONALI





Sandro Ciarlariello
ONDE GRAVITAZIONALI
Edizioni Cento Autori
2017, brossura,
190 pagine, 12.80 euro

Il 14 settembre del 2015, gli inteferometri del LIGO, negli Stati Uniti, hanno registrato per la prima volta le onde gravitazionali la cui essenza era stata ipotizzata da Albert Einstein cento anni prima. L'osservazione seguiva un colossale scontro fra due buchi neri in una galassia lontana, evento apocalittico che ha appunto scatenato un'onda cosmica che, viaggiando alla velocità della luce, è giunta fino a noi ed è stata captata grazie a un apparecchio finalmente messo a punto e tarato nel modo giusto (in passato non avevamo interferometri del genere e anche la prima versione del LIGO non aveva ottenuto risultati). In seguito, altri eventi del genere sono stati registrati e il continuo aggiornamento dei dati apre una porta in grado di farci affacciare su scenari che prima era possibile soltanto ipotizzare. Oltre a spiegare in maniera chiara che cosa sono le onde gravitazionali e com'è stato possibile osservarle, Sandro Ciarlariello (astrofisica molisano autore del blog "Quantizzando") traccia un quadro d'insieme comprensibile anche ai profani sull'evoluzione delle teorie legate alla gravitazione partendo da Faraday e passando per le principali scoperte astronomiche (buchi neri, stelle di neutroni, pulsar), ma soprattutto entusiasma il lettore su quanto sarà possibile scoprire in un prossimo futuro. Sembra davvero che siamo sul punto di grandi scoperte sull'origine dell'universo, la struttura della materia, la teoria unificata del tutto. Attendiamo curiosi.

venerdì 13 aprile 2018

ARTICOLO PER ALDA MERINI




Per colpa della scuola, soltanto a sentir dire la parola “poesia”, l’istinto è quello di darsela a gambe. Però, dài, mi sembra che almeno qui, su questo blog, l’argomento sia sempre stato trattato in modo accattivante (almeno, me ne illudo). Comunque sia, mi è tornata voglia di parlare di poesia perché per caso ho messo un CD nello stereo (ascolto ancora i CD e non la musica scaricata ebbene sì), ed era “Canzoni e cicogne” di Roberto Vecchioni: un doppio album live. Tra i brani, ce ne sono addirittura due dedicati ad altrettanti poeti (ma per me è un poeta anche lui, il cantautore), vale a dire “A.R.” (iniziali di Arthur Rimbaud) e “Canzone per Alda Merini”.

Addirittura, durante il concerto registrato nel disco, Vecchioni canta il suo pezzo e poi dice: “Signori, Alda Merini”. Al che l’anziana poetessa compare sul palco e legge due sue poesie. Applausi a scena aperta, perché le poesie, secondo me, sono fatte per essere ascoltate, prima che per essere lette. E se sono recitate bene, entrano nel cuore a tutti. Facciamo che di Rimbaud e della sua gamba ne parliamo un’altra volta e adesso provo a dire qualcosa sulla Merini. Giusto per inquadrare cronologicamente il personaggio, basterà dire che la poetessa è nata a Milano nel 1931 (il 21 marzo, per la precisione, vale a dire lo stesso giorno di Gallieno Ferri, quello che segna l’inizio della primavera), e sempre a Milano è morta nel novembre del 2009. Magari però che la storia della sua vita ve la leggete su Wikipedia.

Settantotto anni di esistenza, dunque, di cui alcuni passati in manicomio, alcuni accanto a Giorgio Manganelli, altri insieme a vari compagni che hanno tutti lasciato un segno su di lei e sulla sua poesia, oltre che ad averle dato diversi figli. La sua autobiografia si intitola "Reato di vita", ed è edita da Melusine. Nell'introduzione, la Merini ci viene descritta così: "Non ha telefono, Alda Merini, per trovarla bisogna fare una sorta di pellegrinaggio nei mille possibili luoghi sui Navigli che poeticamente abita col sui quotidiano errabondare tra vecchie librerie, fumose osterie, botteghe di artisti, cenciaioli, accattoni". 

Ecco l'idea della Merini sulla Poesia. 

O poesia, non venirmi addosso
sei come una montagna pesante
mi schiacci come un moscerino;
poesia non schiacciarmi
l'insetto è alacre e insonne
scalpita dentro la rete
poesia, ho tanta paura,
non saltarmi addosso, ti prego.

(Da "Poesie per Charles")


Su  "Reato di vita",si legge questo brano: "Io sono vissuta in un'altra epoca, quando si educava una donna a essere una madre, una moglie. D'Annunzio disse: 'la mano che regge la culla, è la mano che regge il mondo'. Credo che per ogni donna il fine erotico dell'amore è sempre il figlio. Non è una donazione sterile, è la passione corporea che però diventa materia, diventa possibilità di un figlio. Ci sono diversi tempi nell'amore, nella passione, ma la richiesta è quella di un figlio. Poi nasce la difficoltà, la divisione stressante in madre e amante così come quella del marito in padre". Ecco, queste parole mi sembrano il miglior corollario possibile a un’altra sua breve poesia che mi va di proporvi. E' meravigliosa, secondo me. Si intitola "Genesi" . E’ proprio una delle due che l’autrice legge al concerto di Vecchioni pubblicato su "Canzoni e cicogne".


Vorrei un figlio da te che sia una spada
lucente, come un grido di alta grazia,
che sia pietra, che sia novello Adamo,
lievito del mio sangue e che risolva
più quietamente questa nostra sete.

Ah, se t'amo, lo grido ad ogni vento
gemmando fiori da ogni stanco ramo
e fiorita son tutta e d'ogni velo
vo scerpando il mio lutto
perché genesi sei della mia carne.
Ma il mio cuore, trafitto dall'amore
ha il desiderio di mondarsi vivo.

E perciò dammi un figlio delicato,
un bellissimo, vergine viticcio
da allacciare al mio tronco, e tu, possente
olmo, tu padre ricco d'ogni forza pura
mieterai liete ombre alle mie luci.

(da"Fiore di Poesia", Einaudi Tascabili)

Alda Merini è stata ricoverata per anni in manicomio perché stava male, soffriva di sindrome bipolare, la stessa patologia che ha afflitto altri grandi della letteratura, come Virginia WoolfCharles Baudelaire o Lord Byron. La poetessa ha sempre detto di non essersi sentita perseguitata, e le si deve credere. Semmai si lamentava che  i medici non le spiegassero meglio cosa le stava accadendo. Comunque bisognerebbe prima intendersi su che cosa sia una patologia e capire quali patologie si possono curare con il ricovero in una clinica psichiatrica e quali no. Per alcuni è una patologia l'ansia di libertà. Sotto tutti i regimi lo è, i manicomi degli stati totalitari sono pieni di pazzi che sono pazzi soltanto perché combattono il dittatore di turno. Per altri è patologia l'omosessualità. Per altri ancora, è pazzia l'arte. La Merini ha vissuto a lungo in povertà, prima che, nei suoi ultimi anni, un certo successo mediatico la risollevasse dallo stato di bisogno. Tra i suoi amori, va ricordato il pittore Charles, uno degli uomini che nel corso della sua vita ha amato disperatamente e perdutamente. Ecco una poesia per Charles: "Il canto dello sposo".

Forse tu hai dentro il tuo corpo
un seme di grande ragione,
ma le tue labbra gaudenti
che sanno di tanta ironia
hanno morso più baci
di quanto ne voglia il Signore
come si morde una mela
al colmo della pienezza.
E le tue mani roventi
nude, di maschio deciso
hanno dato più abbracci
di quanto ne valga una messe,
eppure il mio cuore ti canta,
o sposo novello
eppure in me è la sorpresa
di averti accanto a morire
dopo che un fiume di vita
ti ha spinto all'argine pieno.


(da "Vuoto d'amore", Einaudi, p. 60)

Sono molte le poesie straordinarie scritte dalla Merini per Charles. Un’altra che giudico stupenda è quella parla dei rumori dell'amore. Fatemela copiare, dopodiché potete andarvene, ve lo concedo.

La casa non geme più
sotto lo scricchiolio dei tuoi passi,
la casa non geme più
e datemi dei rumori
dei rumori pesanti
datemi i rumori di Charles;
datemi il suo pensiero
e il suo lento fuggire.
Ridatemi i rumori
della sua carne perfetta.

giovedì 12 aprile 2018

LA VENDETTA DEL DIAVOLO





Joe Hill 
LA VENDETTA DEL DIAVOLO
Sperling & Kupfer
2012, cartonato 
390 pagine



Ogni autore dovrebbe essere scelto per quel che è e non per quello a cui assomiglia, però non  si può non leggere "La vendetta del diavolo" senza tenere in considerazione il fatto che Joe Hill è il figlio di Stephen King (il suo nome per esteso è Joseph Hillstrom King). Va detto che gli fa onore aver scelto uno pseudonimo che lo differenzia dal padre e aver rivelato la sua identità solo dopo il successo dei suoi primi lavori. Nei ringraziamenti de "La vendetta del diavolo", Stephen King non è neppure rammentato. Eppure il racconto grida trasuda kinghianità da tutte le virgole: romanzo di formazione, mito dell'infanzia, amori adolescenziali, scontro con la realtà crudele del mondo degli adulti, continuo flashback tra passato e presente, presenza della magia e degli incantesimi di forze arcane, cattive amicizie con coetanei crudeli che crescendo diventano infidi ancora di più: sembra di leggere "It", "Carrie" o "A volte ritornano". Hill non riesce a staccarsi dall'immaginario del padre (anche su uno dei personaggi del romanzo ha la casa piena dei libri di Dean Koontz). Fa un po' sorridere il tentativo della Sperling & Kupfer di spacciare per "thriller" (così dice la scritta in copertina) un romanzo horror che comincia così: "Ignatius Martin Perrish vide il proprio riflesso nello specchio sopra il lavabo e si rese conto che durante il sonno gli erano spuntate le corna. Dalla sorpresa fece un balzo all'indietro e si pisciò sui piedi". Come incipit, lo trovo straordinario: impossibile, almeno per me, non andare avanti e scoprire il perché di quella trasformazione e come il protagonista decide di affrontarne le conseguenze. La prima parte del libro mostra appunto la scoperta da parte di Ig Perrish (una persona fino al giorno prima assolutamente normale, e con un passato di ragazzo buono e irreprensibile) della sua nuova condizione di demone umano dotato di sconvolgenti poteri, il più disturbante dei quali è l'incapacità di chiunque, di fronte a lui, di mentire e l'assoluta necessità di confidargli, anzi, tutti i più inconfessabili segreti. Così, Ig si rende conto di come nessuno dica realmente quello che pensa e come tutti condividano, appunto perché umani, ipocrisie, bassezze, debolezze e turpitudini: per la gioia di Freud, molte delle confessioni riguardano pulsioni sessuali e istinti di sopraffazione. Ma Ig non si sta trasformando in un diavolo per caso: c'è un motivo, legato a una casa su un albero da lui scoperta nel bosco quando era poco più che un ragazzo insieme alla fidanzatina Merrin, l'amore della sua vita. Una casa in cui i due fecero l'amore giurandosi che sarebbero rimasti insieme tutta la vita, e che però, dopo, scomparve: o almeno, non furono più in grado di ritrovarla. Un altro forte personaggio del romanzo è Lee, l'amico del cuore di Ig, a cui il giovane Perrish si sente legato per sempre perché l'altro, una volta, lo ha salvato dalle acque del fiume in cui lui stava per annegare. In apparenza, Lee è solo un ragazzo strano: in realtà è sociopatico e psicopatico, abituato a fingere e mentire, in grado di manipolare chi gli è vicino e fargli credere qualunque cosa. E' Lee il vero diavolo della storia, mentre Ig è un angelo ingenuo. Le cose cambiano quando Merrin, improvvisamente, tronca la storia con Ig che dura da anni e Ig litiga di brutto con lei per andarsene disperato a ubriacarsi. La ragazza sembra avere una storia con un altro. Il mattino successivo, Merrin viene trovata morta, uccisa dopo uno stupro. Ig è il rampollo di una famiglia facoltosa e gli avvocati pagati dal padre lo scagionano dopo che è stato accusato del'omicidio della ragazza. Ma, come il giovane Perrish scopre dopo che gli sono spuntate le corna e tutti gli dicono la verità, non c'è persona in città e nella sua famiglia che non lo ritenga un colpevole che l'ha fatta franca. Grazie ai suoi nuovi poteri, tenendosi nascosto come un reietto, Ig comincia a indagare per proprio conto, scoprendo come sono andate veramente le cose. E alla fine le corna che gli sono cresciute in testa si rivelano ciò che serve per saldare i conti con i veri assassini. Non solo: ci si rende conto come l'opera dell'apparente diavolo sia positiva non solo perché vendica Merrin (che aveva deciso di lasciare Ig covando un segreto ben diverso da quello che si poteva immaginare), ma perché aiuta a trovare la giusta strada e la giusta soluzione ai loro problemi a diverse persone travagliate e imprigionate in una vita che non è quella che vorrebbero: l'aspetto demoniaco non è necessariamente collegato al male assoluto, anzi. Il racconto è ipnotico e coinvolgente, anche se la prima parte è migliore della seconda e, alla fine, la posta in gioco è minimale: alla base di tutto c'è un solo omicidio da risolvere (anche se ci sono altre morti abbastanza sconvolgenti che restano sullo sfondo). Insomma: bravo Joe Hill, ma ne hai di strada da fare prima di poter competere con il tuo papà. 

lunedì 9 aprile 2018

IL MERCANTE DI LIBRI MALEDETTI





Marcello Simoni
IL MERCANTE DI LIBRI MALEDETTI
Newton Compton
351 pagine, 2011

Siccome sono un sostenitore della mia stessa massima seconda la quale i film di serie B sono meglio di quelli di serie A, non si potrà ritenere offensivo il giudizio per cui "Il mercante di libri maledetti" è un B-novel. Del resto, se un romanzo vince il Premio Bancarella (è successo nel 2012), dà vita a una trilogia, arriva in testa alle classifiche e ci resta a lungo, viene tradotto in mezzo mondo, qualche merito ce lo avrà. Di sicuro, si legge con divertimento e non mancano i colpi di scena. Va detto che se si fa il confronto con "Il nome della rosa" (a cui per certi aspetti si potrebbe paragonare) non c'è trippa per gatti e lasciamo perdere. Se si fa il confronto con Dan Brown (il paragone è meno facile ma la religione, la caccia al tesoro e le società segrete ci sono), vince ancora Dan Brown. Se la partita è fra Simoni e Matilde Asensi, quella dell' "Ultimo Catone", allora lo scrittore italiano se la può giocare. Protagonista de "Il mercante di libri maledetti" è Ignazio da Toledo, avventuriero dal passato turbinoso, specializzato nel commercio di reliquie e di antichi manoscritti nei primi anni del Duecento (quando lo vediamo entrare in scena è il 1218). Al suo fianco ha il giovane francese Willalme de Béziers, scampato ancora bambino al massacro di Beziers (1209) durante la guerra contro i Catari, unitosi alla crociata dei bambini, finito tra i pirati musulmani e quindi salvato da Ignazio che ne fa la sua guardia del corpo. Ma Ignazio Toledo, reduce da lunghi viaggi e in particolare da alcune peripezie in Terra Santa, è in realtà un uomo in fuga braccato dai sicari di un tribunale segreto noto come Saint-Vehme. La caccia all'uomo era cominciata nel 1205 quando lui e il suo amico e socio in affari, padre Vivïen de Narbonne, erano entrati in possesso di un libro, l'Uter Ventorum, che, a quanto si dice, consente di evocare gli angeli e attingere alla loro sapienza. Il libro è per di origine pagana e gli angeli sono divinità di religioni orientali: da cui l'accusa di pratiche negromantiche. Vivïen de Narbonne si crede morto, ucciso dai giustizieri di Dominus (il gran capo della Saint-Vehme) Ignazio cerca di far perdere le proprie tracce finché proprio Vivïen si fa vivo con una misteriosa lettera che lo mette sulle tracce dell'Uter Ventorum, da lui diviso in quattro parti e nascosto lungo il Cammino di Santiago. Naturalmente anche Dominus cerca di impossessarsi del testo magico, mentre la vicenda è complicata dalle trame di un altro personaggio misterioso, un monaco dal volto sfregiato noto come Scipio Lazarus. Ci sono i classici enigmi da decifrare che conducono in luoghi sempre diversi sulle tracce del libro da recuperare, i riferimenti a fatti storici (l'assedio di Tolosa da parte dei crociati, la morte di Simone IV di Montfort), gli assassini dal coltello sguainato, le storie d'amore e di morte, le trame nei monasteri. Soprattutto, ci sono parole come gualdrappa o brando, che fanno andare in brodo di giuggiole.

giovedì 5 aprile 2018

DARKWOOD MONITOR




Stefano Bidetti
Francesco Pasquali
DARKWOOD MONITOR
SCLS
2018, brossurato

314 pagine


Nel marzo del 1998 nacque a Roma l'Associazione Culturale Zagor Club, diretta da Giuseppe Pollicelli e da lui gestita con il fondamentale contributo di Daniele Bevilacqua e Sergio Climinti. Nell'aprile immediatamente successivo venne pubblicato il primo numero di una rivista denominata "Darkwood Monitor", destinata al pubblico degli appassionati zagoriani. Fino al marzo del 2000 ne uscirono in tutto sette numeri, con una crescita costante della foliazione e della qualità dei testi e delle illustrazioni. Ogni fascicolo proponeva una doppia copertina inedita (la prima fu di Massimo Pesce) e un ricco carnet di interviste, approfondimenti, recensioni, anticipazioni. I testi erano frutto del lavoro di un variegato gruppo di appassionati, molti dei quali già impegnati con un'altra rivista chiamata "Dime Press" (Stefano Priarone, Angelo Palumbo, Giampiero Belardinelli e altri ancora). Io contribuiti con il romanzo a puntate, "Le mura di Jericho", poi raccolto in volume da Cartoon Club. Nella sua prefazione, Pollicelli attribuisce a me l'idea di aver suggerito la nascita del Club e di "Darkwood Monitor", io sono sicuro solo di aver incoraggiato Giuseppe e il suoi gruppo e di aver fatto da "agente all'Avana" in casa Bonelli. Tutti i numeri della rivista vengono comunque riproposti in questo volume curato da Stefano Bidetti e Francesco Pasquali del forum SCLS. Dire che è imperdibile per ogni zagoriano che si rispetti, è dir poco.

mercoledì 4 aprile 2018

UNA QUESTIONE PRIVATA





Beppe Fenoglio
UNA QUESTIONE PRIVATA
Einaudi
2014, brossurato
130 pagine, 12 euro

"Chi non legge avrà vissuto una sola vita, la propria", scrisse Umberto Eco. Chi legge, invece, potrà vivere anche pezzi di quelle altrui, distribuite sull'arco di tremila anni di storia della letteratura. E' questa la sensazione che rimane al termine del romanzo "Una questione privata" di Beppe Fenoglio. Leggendolo, è come aver visto con gli occhi del protagonista, il partigiano badigliano Milton, uno squarcio della guerra civile combattuta attorno ad Alba durante la Resistenza. Calarsi nei panni di uno che c'è stato davvero, in un certo tempo e in un certo luogo (come c'è stato Fenoglio, partigiano a partire dal gennaio del 1944), vuol dire però vedere gli avvenimenti con occhi diversi da quelli di chi scrive i libri di storia. Vuol dire combattere anche per "questioni private", vedere la guerra dalla parte della gente comune, assistere a drammi e crudeltà spicciole e quotidiane che sfuggono alle analisi statitistiche, ideologiche e dei massimi sistemi. Milton, passando davanti alla casa ormai abbandonata (gli abitanti sono sfollati) della ragazza di cui è innamorato, Fulvia (anch'essa fuggita), viene a sapere dalla donna che fa da custode dell'edificio che la giovane aveva una tresca con Giorgio, un amico di Milton, partigiano anche lui. Milton decide di scoprire se è vero: vuol chiederne conto a Giorgio. Ma Giorgio è stato catturato dai fascisti, probabilmente verrà processato e fucilato. Bisogna liberarlo. Milton crede di poterci riuscire catturando un ufficiale nemico e proponendo uno scambio. Ma lo fa soprattutto, appunto, per una "questione privata". Come privata è la diatriba fra due popolane, una fascista e una simpatizzante per i partigiani, la seconda delle quali denuncia la prima a Milton come amante di un sergente camicia nera che il partigiano riesce in effetti a far prigioniero mentre fa visita alla donna. L'uomo però muore e la sua uccisione fa scattare la rappresaglia fascista contro due giovanissime staffette della Resistenza, di appena quattordici anni, fatte prigioniere in precedenza. Del resto, non è che i partigiani stessi, stando a Fenoglio, facessero sconti: Milton è un partigiano "azzurro" e a un certo punto si reca dai "rossi" a chiedere "in prestito" un ostaggio da scambiare con Giorgio. I Rossi non ce l'hanno perché loro i fascisti li fucilano subito (anzi, il prete chiamato per confessare la loro ultima vittima si lamenta di doverlo fare sempre lui, e chiede che qualche volta tocchi a un suo collega). Insomma, la tensione, i drammi, gli episodi sono tanti, tutti coinvolgenti e sconvolgenti, tutti vissuti da gente comune, da combattenti semplici, nella quotidianità di una guerra così vicina (neppure vent'anni prima che nascessi io) da non sembrar vero. Il romanzo non si conclude: finisce in modo brusco (Milton fugge inseguito dalle pallottole nemiche) ma non serve una conclusione diversa, ha già capito che la verità è nelle cose che ha capito, che ha saputo, e cioè che Fulvia l'ha tradito con Giorgio, oppure che neppure si è trattato di un tradimento, perché promesse d'amore non ce n'erano mai state. La vita è fatta di questioni private. Sul fatto che il libro sia incompiuto c'è una lunga diatriba critica: di sicuro uscì postumo nel 1963 dopo la prematura morte di Fenoglio, che in vita aveva dato alle stampe soltanto tre altri romanzi. Aveva scritto che dopo quest'ultimo lavoro avrebbe detto "basta" ai partigiani, e si sarebbe dedicato ad altre tematiche. Non fece in tempo in farlo. La conclusione manca volutamente o la morte dell'autore ne ha imposta una, incerta come incerta è la vita?

domenica 1 aprile 2018

I COMPAGNI D'AVVENTURA DI ZAGOR 2




Ivo Pavone
Stefano Bidetti
I COMPAGNI D'AVVENTURA DI ZAGOR 2
(LA GRANDE CACCIA)
SCLS
2018, brossurato

284 pagine

"I compagni di avventura di Zagor" è il titolo di un tomo piuttosto voluminoso (esattamente come questo) pubblicato nel 2016 dal forum zagoriano SCLS a cura di Stefano Bidetti e di Francesco Pasquali. Quel libro ristampava iintegralmente e in grande formato le sette storie che, tra il giugno 1961 e il giugno 1966, apparvero in appendice alle strisce di Zagor. Storie che con Zagor, beninteso, non avevano niente a che vedere, se non il carattere avventuroso e il taglio "bonelliano". In pratica, su ogni albetto dello Spirito con la Scure comparivano, al termine della tradizionale puntata dedicata al Re di Darkwood, altre poche strisce che portavamo avanti, alcuni passi alla volta, racconti diversi, peraltro non necessariamente western ("L'ultimo Incas", disegnato da Carlo Cossio, si svolge in Amazzonia). L'ultima storia, "La grande caccia", disegnata da Ivo Pavone, iniziata nell'ottobre del 1964, si interrompe improvvisamente un anno e mezzo dopo, senza nessuna spiegazione se non quella, fornita dagli stessi Zagor e Cico che si rivolgono al lettore con due balloon, della cessazione dovuta al fatto che da quel momento in poi tutto l'albetto a striscia sarebbe stato dedicato alle loro avventure, senza spazio per altri eroi. Peraltro, "La grande caccia" era approdata su Zagor dopo essere cominciata nell'aprile del 1964 sulle pagine di Tex: dunque una storia particolarmente sfortunata e difficile da seguire. Dalle strisce del Ranger del Texas passa a quelle dello Spirito con la Scure, e su Zagor si interrompe sul più bello per motivi misteriosi. A due anni di distanza, Stefano Bidetti (anche lui dedicatosi a una "grande caccia") è stato in grado di rintracciare il seguito dell'avventura troncata a metà, pubblicata integralmente in Francia nel 1965 dalle Editions LUG, a puntate, sulla rivista "Hondo". Sorprendentemente, dopo le 346 strisce pubblicate in Italia (115 tavole) si è scoperto che in totale l'avventura contava ben 257 pagine, dunque noi italiani ne conoscevamo soltanto un terzo. Da qui l'idea di dare alle stampe un secondo volume (sempre con copertina inedita di Alessandro Chiarolla) destinato a proporre agli zagoriani, a distanza di oltre cinquant'anni, la parte mancante (tradotta per l'occasione). Ovviamente anche la parte nota è stata ristampata. Il racconto, peraltro, è un onestissimo western, persino avvincente se si vuole, disegnato nel 1958 da un grande illustratore quale Ivo Pavone. Intervistato riguardo "La grande caccia", Pavone è del parere che i testi siano di Alberto Ongaro (recentemente scomparso), anche se non può dirsene certo. Il che, se fosse vero, nobiliterebbe ancora di più l'opera.