martedì 21 gennaio 2020

LA MISURA DEL TEMPO





Gianrico Carofiglio

LA MISURA DEL TEMPO
Einaudi
2019, 284 pagine
brossurato, 18 euro


I gialli di Gianrico Carofiglio con protagonista l'avvocato Guido Guerrieri, ma anche quelli con il maresciallo Fenoglio, mi fanno regolarmente pensare a un paragone, non so quanto azzeccato, con Ed McBain e il suo 87° distretto. Si dice di solito che McBain sia stato l'indiscusso maestro del "pollice procedural", cioè del caso poliziesco condotto mostrando le reali procedure della Polizia (un po' come in CSI, ma cinquant'anni prima)l, con tanto di riproduzione del moduli da compilare in uso nei commissariati. Anche Carofiglio, che ha fatto per anni il magistrato, conosce a menadito le procedure dei tribunali e delle autorità inquirenti e si può permettere di descriverle con cognizione di causa. Ma c'è dell'altro. McBain non si limita alle indagini, racconta anche, con indiscutibile talento, le vicende umane della vittima così come dei poliziotti del distretto da lui scelto come teatrino dei suoi romanzi. Allo stesso modo lo scrittore pugliese, a cui l'etichetta di "giallista" sta sicuramente stretta, scava nelle psicologie dei suoi personaggi e Guido Guerrieri finisce per essere qualcosa di più di un semplice investigatore. Ma coinvolgenti sono anche i risvolti che ci vengono mostrati della vita delle altre figure condotte sulla scena. McBain, infine, rende protagonista delle sue storie una città immaginaria, Isola (non si può non riconoscerci Manhattan). Carofiglio, allo stessi modo, ci va vedere Bari con i suoi occhi, così come ci permette di sentirne suoni, sapori e odori con gli altri sensi. "La misura del tempo" è un romanzo tipico della serie dedicata a Guido Guerrieri, e non svetta perché il livello di tutti è sempre alto. Mi sono trovato a riflettere su come mi sia emozionato attendendo la lettura della sentenza sul caso di Iacopo Cardace così come era accaduto negli altri gialli per gli altri casi. Sentenza che mi ha sorpreso più del solito, devo dire, senza anticipare nulla. Iacopo è il figlio del primo grande amore di Guido Guerrieri, Lorenza, una ragazza con cui trent'anni prima aveva avuto una storia e di cui poi aveva perso le tracce. E' in prigione dopo una condanna in primo grado per l'omicidio di uno spacciatore, e adesso c'è l'appello. Lorenzo si rivolge a Guido perché rovesci il verdetto. Il problema è che tutti sembra accusare Iacopo, e che Guido non è affatto convinto che il giovane, venticinquenne, sua innocente. Carofiglio usa la vicenda per dare uno spaccato sulle dinamiche interne alla magistratura e all'avvocatura, propone pagine di verbali, commenta le sentenze e, con l'escamotage di mostrare Guerrieri tenere un corso a dei giovani aspiranti magistrati, fa una lezione di diritto in punta di penna. Bene, bravo, bis.

domenica 19 gennaio 2020

IL CERCHIO CELTICO




IL CERCHIO CELTICO
Björn Larsson
Iperborea
2000, brossurato
420 pagine

Pubblicato nel 1992, “Il cerchio celtico” è il secondo romanzo dello scrittore svedese Björn Larsson (1953). Precede di tre anni il suo lavoro più conosciuto, e probabilmente il suo capolavoro, “La vera storia del pirata Long John Silver”, del 1995. Leggendo le noti biografiche dell’autore colpisce come entrambi questi libri siano stati scritti a bordo di un veliero, il “Rustica”, con il quale Larsson naviga in giro per il mondo (quando non è impegnato nelle sue lezioni di letteratura francese all’università di Lund). E a pensarci bene non potrebbe essere che così, perché si resta impressionati dalle descrizioni di traversate a vela, con ogni evidenza scritte da qualcuno che se ne intende e che ama il mare, anche quando si tratta di varcare passaggi impossibili come alcuni sulle coste della Scozia, attraverso muri d’acqua creati dalle correnti atlantiche che si scontrano con quelle del Mare del Nord. “Rustica” è anche il nome della barca a vela che fa sa protagonista, più dell’io narrante Ulf e degli altri personaggi, al “Cerchio celtico”, a bordo del quale vien davvero voglia di percorrere il Canale di Caledonia. Come vien voglia di partire immediatamente per le isole Ebridi o le Orcadi, di perdersi nel dedalo di isole della costa occidentale scozzese. Ulf è un provetto skipper (per passione, non per mestiere), che vive proprio a bordo del suo veliero ancorato, in inverno, in porto della Danimarca. E’ lì che si mi batte in un misterioso personaggio, MacDuff, giunto dalla Scozia sulle tracce di un catamarano di un finlandese di nome Pekka. E’ proprio Pekka a consegnare a Ulf il diario di bordo della propria imbarcazione, prima di scomparire nel nulla per essere poi ritrovato cadavere e con la testa tagliata. Ulf, insieme all’amico Torben coinvolto quasi per caso (coltissimo in storia e letteratura ma inesperto come marinaio), decide di ripercorrere all’indietro, con il “Rustica” la rotta di Pekka, il quale sembra aver scoperto una organizzazione segreta ramificata ovunque nelle terre che furono celtiche, i cui adepti non esitano a uccidere chi venga a sapere qualcosa dei loro piani. E in effetti Ulf e Torben vengono tampinati ovunque da gente tutt’altro che benintenzionata nei loro confrontri, gente che prima cerca di capire se gli occupanti del “Rustica” sono i diportisti che dicono di essere, poi passa decisamente a dar loro la caccia. La rotta del veliero conduce il lettore dalla Danimarca fino alla costa orientale della Scozia, attraverso il Mare del Nord, insidiosissimo in inverno (si dice, nel libro, che il Mare del Nord è il più grande cimitero di navi del mondo), poi su quella a Ovest. La setta del Cerchio Celtico predica la formazione di una nazione indipendente basata sul ripristino dell’antica potenza dei Celti, in Irlanda, Scozia, Paesi Baschi e Bretagna, dove le radici e la lingua dei popoli celtici vengono oppresse e perseguitate. Si scopre così, e c’è del vero, che esistono centinaia di Druidi moderni che perpetuano le conoscenze degli antichi (mai scritte, solo orali, com’era tradizione) e centinaia di ramificazioni e culti segreti, alcuni più oltranzisti, altri più moderati, tutti convinti comunque che esista un eterno presente celtico che le persecuzioni, politiche e religiose, non hanno mai trasformato in passato. Da un certo punto di vista, si può persino parteggiare per la causa di una nazione che rivendica il proprio diritto a esistere e al recupero della propria identità. Certo, se i metodi devono essere quelli dell’IRA o dei terroristi baschi, la simpatia va a farsi benedire.  Le avventure del “Rustica” permettono al lettore di approfondire la conoscenza dei Celti, e personalmente sono stato ben lieto di scorgere una qualche assonanza fra le mie due storie di Zagor con la setta dei “Servi di Cromm” e il Cerchio Celtico di Larsson. Singolarmente, il romanzo non ha una conclusione, Ulf e Torben a un certo punto interrompono le loro indagini e ciò che davvero stanno tramando i loro avversari non viene del tutto svelato: c’è un epilogo in cui si spiega qual è la sorte dei due navigatori e del “Rustica”, ma la minaccia della setta da cui sono stati braccati viene tutt’altro che sventata.

sabato 18 gennaio 2020

PASOL VOL 2





Luca Laca Montagliani
PASOL VOL. 2
Cut-Up Publishing
brossurato, 2019
326 pagine, 18.90 euro

Le strip di Pasol, divertente personaggio underground e crumbiano di Luca Laca Montagliani, sono apparse a partire dal 1998 sulla rivista alternativa "Orcodrillo" e poi in vari volumetti a lui dedicate dall'etichetta indipendente Annexia. Nel 2018 e nel 2019 Cut-Ut le ha raccolte in due volumi. Questo, il secondo, è quello della maturità del tratto grafico, più accattivante e pulito, e raccoglie anche omaggi di altri autori, tra cui l'insospettabile Sergio Bonelli. Ma c'è anche Marco Verni, che ha disegnato uno Zagor... pasolizzato. A me, Pasol fa molto ridere. Però, tanto per parlare di me e non di Luca Laca, a mio avviso fa ridere anche la prefazione che ho scritto. La riporto qui di seguito pari pari.


DO RE MI PASOL LA SI
di Moreno Burattini

Quando Luca Laca (un nome che è tutto un programma) mi ha chiesto di scrivere una prefazione a un suo volume su Pasol, credevo si riferisse a Pasolini. In fondo, i giovani moderni scrivono “xché” invece di “perché” e “qnd” al posto di “quando”, perciò poteva essere che Pier Paolo Pasolini venisse abbreviato in “Pasol”. Soprattutto da un esponente della cultura underground pubblicato su riviste alternative e assimilabile nello stile grafico ai graffitari che insozzano i muri. Ho accettato con entusiasmo, ma mi sono preso del tempo, prima di consegnare: ho voluto rileggermi “Petrolio”, “Scritti corsari” e “Ragazzi di vita”, per farmi trovare ferrato sulla materia. Del resto, sono un professionista delle introduzioni. Mi chiedono introduzioni per libri di tutti i tipi, a ogni piè sospinto, in genere volumi semiclandestini di piccoli editori mai sentiti nominare prima, ma comunque introduzioni. Ho all’attivo più introduzioni io di Rocco Siffredi. Del resto sono un ragazzo disponibile e di bocca buona, perciò se qualcuno mi chiede di introdurre, io introduco. Dunque, fatto il ripasso sulla produzione pasoliniana necessario alla bisogna, mi sono messo a leggere Pasol chiedendomi, dopo le prime tavole, quando fosse entrato in scena Pasolini. O quando, in qualche vignetta, si fosse fatto riferimento a lui. In effetti qua e là qualche trovata più scatologica, qualche turpiloquio e qualche raffigurazione della fauna umana delle periferie mi ha fatto pensare che cominciassero le allusioni prodromiche alla trattazione della biografia del grande regista, poeta e scrittore cantore delle borgate e dei borderline metropolitani. Poi però, alla fine, mi sono convinto che Pasolini non c’entrasse niente. Ecco. Più che deluso, mi sono ritrovato allarmato. E adesso di che parlo? Naturalmente, un vero professionista della prefazione non si può tirare indietro alla prima difficoltà. Bisogna improvvisare. Millantare credito. Scrivere frasi che suonino bene senza dire niente. Ma, a dire il vero, qualche bel concetto da esprimere me lo sono appuntato. Però Luca Laca mi chiede di introdurre il secondo volume di Pasol e non il primo (resta il mistero di come possa esserci un secondo volume dopo un primo del genere). La prima introduzone, scopro con sorpresa, è affidato a Davide Barzi. Ora, com’è possibile che il più grande introduttore del mondo (cioè io) debba venire DOPO un Davide Barzi qualsiasi? Ma, quel che è più grave, Luca Laca mi invia in lettura il testo (pfui, testo, figuriamoci) di Barzi. E che scopro? Che quel che dice lui è esattamente quel che volevo scrivere io. Così non vale. Ma non è finita. Mi metto a leggere tutte le tremende avventure di Pasol (se non fossi il professionista che sono avrei solo finto di averlo fatto) e mi appunto quattro concetti in croce da poter esprimere. Ma ecco che scopro, in mezzo al primo volume, ben occultati ma presenti, commenti di Ferruccio Giromini, di Michele Ginevra e addirittura di Carlo Chendi. Giromini scrive che la volgarità che contraddistingue Pasol è un mezzo e non un fine; Ginevra aggiunge che i testi sono forti ma non gratuiti e comunque trattano dell’incomunicabilità tra uomo e donna; Chendi conclude che Laca ha dei temi comici perfetti e che fa ridere (in realtà per far ridere un ilare e faceto come Carlo ci vuol poco). Confronto queste riflessioni con le mie: uguali! Hanno già detto tutto loro. Ma insomma! Come si fa a chiedere una introduzione a qualcuno dopo che già mezzo mondo ha detto la sua e si è accaparrato tutte le cose da dire? Per non parlare dello stesso Luca Laca che ha presentato se stesso, e di Pagani & Caluri che dicono la loro su questo secondo volume (vengono dopo di me, come vedrete, ma hanno scritto prima, e il concetto che esprimono è l’ultimo e definitivo: Laca è un cretino – dopodiché, novantadue minuti di applausi). In pratica, non mi è rimasto da dire niente. Se volete, però, vi posso parlare di Pasolini.