domenica 27 aprile 2025

WES SHERMAN

 
 
 
 
Raffaele Della Monica
WES SHERMAN
Cut-Up Publishing
Cartonato, 2024
180 pagine, 29.90

Immaginatevi la scena. Un prolifico e meticoloso disegnatore di fumetti passa tutta la giornata a disegnare le sceneggiature che gli arrivano dalla Casa editrice, e lo fa con tutta la cura e l’attenzione che gli viene richiesta da collaborazioni prestigiose e da lettori esigenti. Otto, dieci ore con la matita, il pennino, il pennello in mano. Giunge la sera, è ora di staccare. Uno sbadiglio, una stiracchiata, magari uno spuntino, poi l’autore si chiede: “cosa posso fare, adesso, per rilassarmi un po’?”. Semplice: riprende a disegnare, ma storie sue, di cui elabora anche il testo e i dialoghi e che pertanto gli permettono di andare, con la fantasia, esattamente dove vuole e non dove lo porta lo sceneggiatore di turno. Quel fumettista esiste e si chiama Raffaele Della Monica. Per anni, sono stato abituato a ricevere da lui volumi autoprodotti e stampati in poche copie distribuite in regalo agli amici, con storie a fumetti realizzate per divertimento. La maggior parte di quei racconti erano western e avevano per protagonista lo sceriffo Wes Sherman. Conosco pochi disegnatori con la voglia di disegnare di Raffaele, e di disegnare di tutto e di più, dai personaggi Disney ad Alan Ford, passando con disinvoltura dall’umorismo all’horror, da “Only West Baby” (serie di sua ideazione) a Gordon Link, Tex, Mister No, Zagor. 
 
A proposito di Zagor, conoscendo il forte desiderio di Della Monica di illustrare testi propri, l’ho assecondato inserendo nella saga un’avventura scritta e disegnata tutta da lui, “Braccati!”, lo Zenith Bis dell’estate 2023. E’ cosa assai rara che una storia dello Spirito con la Scure venga scritta e disegnata dalla stessa persona: in passato (all’inizio degli anni Sessanta) era accaduto soltanto con Gallieno Ferri, creatore grafico del personaggio. Eppure, avendo seguito per tanti anni la carriera di Raffaele, essendogli diventato amico, ho capito che poteva riuscirci benissimo, cosa che in effetti è accaduta. Un anno dopo, finalmente, grazie a Cut-Up Publishing, quattro storie di Wes Sherman, finora lette soltanto da pochissimi, vengono raccolte in volume. Storie che sono la quintessenza del western più classico, di cui evidentemente l’autore ha nostalgia. 
 
Ne ho parlato con Raffaele che mi ha risposto senza staccare la matita dal foglio. Ho preso appunti e in pratica lui vorrebbe che spiegassi quanto segue: «Wes, è leale, ligio al dovere e deciso. Non ama uccidere, ma se capita, lo fa senza scrupoli. Ha una assistente (Arleen), poco attraente e un po' maschiaccio. Una tipa tosta che lo sostituisce quando non c'è. Wes non è credente e spesso discute con il reverendo Mc Nelly del possibile Aldilà. Di volta in volta, Wes si avventura nei tipici paesaggi del West, senza precisi riferimenti. Le sue avventure hanno inizio con "L'oro di Luke", realizzato anni fa. Mi piace non dargli una precisa collocazione storica. Le sue sono avventure senza tempo. Mia intenzione è stata di fare una serie di storie semplici e assolutamente leggibili, con sentimenti autentici. Ne' dalla parte dei bianchi, ne' dalla parte degli indiani. Solo dalla parte dei buoni». Mi sembra giusto. Continua a fare fumetti, Raffaele. E ogni tanto facciamone ancora qualcuno insieme.

L’editore ha chiesto a me di scrivere la prefazione. Riporto qui sotto la biografia professionale di Della Monica compilata per quel testo introduttivo. Vi segnalo anche la mia recensione per il volumetto che raccoglie la serie “Only West, Baby!”: 
 
 
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L’esordio di Della Monica su Alan Ford avvenne con “Superciukissimo” (dopo alcune prove come inchiostratore e il rifacimento di “Ostix” per la collana “Il Gruppo TNT”). Da quel momento in poi lanciai gridolini isterici di giubilo ogni volta che uscivano albi illustrati dal salernitano: “Bellegambe Betty”,  “Una rosa per Bob”, “Il Numero Uno è morto” i miei preferiti, tra la ventina che portano la sua firma. Presto cominciai ad apprezzare un altro giovane disegnatore che venne ad affiancarsi a Raffaele, Giuliano Piccininno, anche lui di Salerno (o giù di lì: di Giffoni Valle Piana): tutti e due sarebbero finiti a lavorare con me a Zagor, un personaggio della Sergio Bonelli Editore. Ma questa è un’altra storia. Ci serve accennare a Piccininno, parlando di Della Monica, perché entrambi avevano frequentato la stessa palestra fumettistica, quella di un gruppo di autori salernitani riuniti attorno a una rivista amatoriale chiamata “Trumoon”, il cui primo numero è del 1981. Non a caso, nella seconda vignetta di tavola 76 dell’Alan Ford n° 171, su una parete di un bar leggiamo un cartellone pubblicitario che dice: “Trumoon Beer”. Sempre non a caso, Della Monica e Piccininno tra il 1985 e il 1986 si fanno aiutare con le chine da noi (accreditati) sugli albi alanfordiani, di Giuseppe De Nardo, Luigi Siniscalchi e Roberto De Angelis, tutti ragazzi (all’epoca) della banda salernitana solita riunirsi in Via Bastioni. “Trumoon”, il cui primo numero è datato 1981, su cui si sono fatti le ossa tutti gli autori della cosiddetta “scuola salernitana”, fra i quali, oltre ai nomi già citrati, figuravano anche Bruno Brindisi, Luigi Coppola e Daniele Bigliardo. Fra i personaggi nati dall’attività del gruppo ci sono gli scalcinati eroi western della serie comica “Texas Strangers”, disegnata da Raffaele con una grande verve umoristica (ci torneremo fra poco). Giuliano Piccininno, nella sua prefazione a una ristampa di questa breve saga, ricorda: "Via Bastioni è una stradina del centro storico di Salerno all'ombra della cattedrale romanica dove, nel 1977, un gruppo di ragazzi sconsiderati decise di aprire uno studio per produrre fumetti".  Tra il 1985 e il 1987, lasciato Alan Ford, Della Monica entra a far parte dello Staff di If: essendo molto versatile, disegna con disinvoltura per testate diversissime fra loro, come “Cucador”, “Masters of the Universe”, “Intrepido” e “Topolino”.  Il disegnatore aiuta quindi Franco Bignotti nella rifinitura di un episodio di Mister No, sempre per Mister No, realizza le matite inchiostrate da Roi e infine comincia a fare tutto da solo. Dopo una breve parentesi con una storia di Martin Mystère, Raffaele passa a Tex. In seguito, per un breve periodo lascia la Bonelli in favore della Dardo e di “Gordon Link” (una serie horror scritta da Gianfranco Manfredi), ma vi fa ritorno per dedicarsi a Zagor, Magico Vento e Shangai Devil. Ma è proprio nello staff dello Spirito con la Scure che il tratto pulito ed efficace del salernitano trova la sua collocazione più consona e proficua, divenendo negli anni un punto di riferimento per i lettori e per i colleghi illustratori. Lo testimonia ancor di più, però la caparbietà con cui convinse i suoi amici di “Trumoon” ad assecondarlo con un esperimento editoriale riconducibile sotto l’etichetta “Only West, Baby”. Raffaele Della Monica aveva una gran voglia di diventare editore di se stesso sulla scorta di ciò che aveva fatto Wally Wood in America (il paragone è di Giuseppe De Nardo). L'esperimento non ottenne i risultati sperati (e che avrebbe meritato) e i numeri usciti furono solo tre. C'è da chiedersi perché, nel 1990, gli autori dei "Only West Baby" abbiano voluto dedicarsi appunto solo al western: "Basta con questo West! Buttiamoci sui supereroi", consiglia Piccininno in una vignetta autoironica. La risposta, probabilmente, è che al cuore non si comanda, e Della Monica è innamorato del genere western. Quello più classico, avventuroso, pieno di polvere da paro e zoccoli di cavalli. Tant’è vero che, pur avendo da disegnare di tutto e di più, e impelagato fino al collo con le consegne delle tavole di Zagor, Raffaele ha continuato imperterrito a tempo perso (dice lui), a scrivere e illustrare storie del West, e a pubblicare in tiratura limitatissima, solo per gli amici, in pratica, le avventure di un suo eroe, Wes Sherman. In altre parole: dopo aver disegnato tutto il giorno, giunto a sera Della Monica si rilassa disegnando roba sua. In realtà fa anche dell’altro: dipinge. Quadri astratti, ma anche ceramiche con vedute della costiera sorrentina e persino affreschi con soggetti religiosi (chiedete al parroco del suo paese). La verità è che disegnatori si nasce e ancor di più fumettisti. Si finisce per vivere a fumetti, pensare a fumetti, sognare a fumetti. Sto scrivendo troppo per una prefazione ma, che volete, anche scrittori di fumetti, e sui fumetti, si nasce e io lo nacqui.




sabato 26 aprile 2025

IL DESERTO DEI TARTARI

 

 
Dino Buzzati
Michele Medda
Pasquale Frisenda
IL DESERTO DEI TARTARI
Sergio Bonelli Editore
Cartonato, 2024
180 pagine, 25 euro

La prima cosa da precisare è che “riduzione a fumetti” non si dice. Il fumetto non “riduce” niente, racconta con altri codici e con altre tecniche (e, ovviamente, con altri autori, in altri spazi, su altri supporti). Men che mai si può parlare di “riduzione” di fronte alla versione a fumetti del “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati a opera di Michele Medda e Pasquale Frisenda. Definirlo “versione”, ma anche “adattamento”, rendono l’idea del tipo di lavoro compiuto dallo sceneggiatore sardo e dal disegnatore milanese sul romanzo buzzatiano, pubblicato nel 1940 e da allora considerato uno dei capolavori della letteratura italiana e mondiale. Tuttavia sussiste sempre il sospetto che “adattare” per il cinema, per il teatro o per il fumetto un testo letterario significhi farne il riassunto, fornirne il bignamino. E’ innegabile che certe volte è così. Tuttavia, in certi altri casi, le due opere, quella adattata e quella che ne è l’adattamento, finiscono per rifulgere entrambe di luce propria. Peraltro, “Il deserto dei tartari” rappresenta un banco di prova impegnativo al punto da darsi per vinti in partenza: sembra una montagna troppo difficile da scalare. Eppure, “qui si parrà la tua nobilitate”. Medda e Frisenda ci consegnano la loro Fortezza Bastiani, luogo fuori dal tempo (e dalla geografia) da cui sembra impossibile riuscire a fuggire perché chiunque, una volta entrato, perde la voglia di andarsene, castello kafkiano dove tutto è regolamento senza logica, e niente è più illogico delle regole militari. Una fortezza raccontata guardando Buzzati ma da testimoni che parlano un’altra lingua, in grado però di evocare e suscitare le medesime suggestioni, anzi, altre impercettibilmente diverse, ma a osservare meglio percettibilissime. Non è l’intreccio drammatico il punto di forza del romanzo (sebbene il dramma non manchi), non ci sono scene d’azione e battaglie, mancano perfino gli avversari da combattere. Eppure lo sceneggiatore riesce ad avvincere sfruttando alla perfezione gli strumenti messi a disposizione dalla nona arte, altrettanto perfettamente assecondato dal bianco e nero, e dal grigio, del disegnatore, capace di ricostruire scenari e moti d’animo con uguale maestria. Se era una sfida, è finita alla pari tra Buzzati e i due fumettisti. Belle, colte e raffinate la prefazione di Michele Masiero e la postfazione di Gianmaria Contro.




venerdì 25 aprile 2025

L'ALTRA PARTE




Vanna Vinci
L’ALTRA PARTE
Granata Press
Cartonato, 1993
70 pagine, 22.000 lire

Le volte in cui mi capita di essere invitato a parlare di come si raccontano le storie utilizzando i codici espressivi del fumetto, proietto sempre di fronte all’uditorio alcune vignette di Vanna Vinci. I disegni dell’autrice sarda non mancano mai di colpire gli astanti, che siano un pubblico maturo o scolaresche di ogni ordine e grado. Anzi, soprattutto i più piccoli rimangono affascinati di come, per esempio, un semplice sbuffo di vapore a forma di cuore che esala da una tazzina di caffè serva a farne percepire, attraverso gli occhi anziché il naso, l’aroma. Non è tutto qui, naturalmente: reputo magistrali un gran numero di tavole (per non dire tutte)  di Vanna, composte da vignette tanto eleganti e sofisticate quanto perfettamente al servizio del racconto, della narrazione, della storia. In un bel catalogo “Passaggi”, pubblicato in occasione di una mostra personale allestita del 2024 a Città di Castelli, una lunga intervista ripercorre la carriera della Vinci, iniziata sul finire degli anni Ottanta, e il titolo ben la riassume: “Il fumetto è una malattia”. “L’altra parte” è uno dei primissimi lavori dell’autrice, pubblicata prima sulla rivista “Nova Express”, diretta da Luigi Bernardi, e poi in volume da Granata Press (fra parentesi, che belli i volumi di Granata Press). Vanna è agli esordi, ma già c’è tutta la sua maestria, quella di "Lillian Browne", "Guarda che luna", "Tamara", "Frida", la Bambina Filosofica. “Io sono sempre il topo di campagna, a Milano non riuscivo a inserirmi”, racconta all’intervistatore parlando del suo primo giro, all'inizio dei Novanta, fra le case editrici milanesi in cerca di lavoro, forte dei suoi studi presso l’Istituto Europeo di Design di Cagliari, “ma propri lì, in solitudine, mi viene in mente la storia di una ragazza che è a Milano per un convegno, nello stesso hotel dove andavo io, e incontra questo tizio molto pallido, che poi si scopre essere un vampiro. Inizio a buttare giù il testo con la macchina da scrivere, senza alcuna cognizione di come si fa una sceneggiatura. Un testo con pochi dialoghi e un sacco di didascalie di pensiero”. Nasce così la storia, di uno strano tipo d’amore, di Agnese, studentessa in medicina, e del misterioso giovane rumeno Adrian Voda, inquietante e magnetico al tempo stesso. Agnese ne è turbata e attratta, lui, antesignano di Edward Cullen (il romanzo “Twilight” è del 2005), è un vampiro postmoderno che non dorme in una bara e non brucia alla luce del sole. La vicenda (segue un minimo di spoiler) minimale e priva di horror, avvicina sempre più Agnese ad Adrian e l’allontana dalla compagnia, che sembra alla ragazza sempre più fatua, dei suoi amici, fino all’accettazione di un’ “altra parte” della realtà, l’abbandono al mistero.


domenica 6 aprile 2025

TRAPPERS ALLA RISCOSSA

 
 


EsseGesse
TRAPPERS ALLA RISCOSSA
If Edizioni
2024, cartonato
320 pagine, 45 euro

Tutto bello, che altro dire? Belli i contenuti, i colori, l’apparato critico, la rilegatura, la carta, la qualità della stampa, la copertina (opera di Corrado Mastantuono). Il sottotitolo, “Le origini di Blek Macigno”, del resto, spiega quasi tutto. 
If Edizioni, che da tempo manda in edicola collane di albi dedicate agli eroi della EsseGesse, proposte in varie versioni e formati, e allargate alle avventure realizzate all’estero, confeziona un volume da libreria che raccoglie, a colori, i primi ventuno albetti di Blek Macigno originariamente pubblicati nel formato a striscia, in pratica l’intera prima serie (1954-1955). La cronologia del forzuto trapper conta trentatré serie (l’ultima è del 1967), quasi tutte composte, per l’appunto, da ventuno titoli. “Trapper alla riscossa” ci riconsegna dunque il Blek delle origini, ma anche le origini di Blek, che sono due cose diverse. Spiego perché. 
Nella prima avventura, il “gigante dai lunghi capelli biondi” (così lo definisce la didascalia d’esordio) scopre che la capanna di un suo amico, Lassiter, è stata data alle fiamme e l’uomo ucciso da assassini misteriosi. Si è salvato invece il figlio Roddy, di una decina d’anni, che da quel momento in poi, rimasto orfano, vieni praticamente adottato da Blek. Tuttavia, dal racconto è evidente che già Blek e Roddy si conoscono. Facciamo adesso un salto di settata anni. Nel maggio 2024 esce, curata dalla If, una serie a striscia inedita, intitolata “Il prequel”. Si tratta di tre albetti scritti da Nico Adami a partire da un’idea di Luca Barbieri, e illustrati da Raffaele Della Monica e Stefano Di Vitto (matite) e da Manlio Truscia (chine). Come suggerisce il titolo, vi si narrano gli avvenimenti di poco precedenti alla prima apparizione di Blek, e assistiamo all'incontro tra il colosso biondo e il ragazzino lentigginoso in cui i due fanno la reciproca conoscenza. 
A completare il volume giunge, opportunamente, una breve avventura realizzata dalla EsseGesse nel 1953, intitolata “Il piccolo trapper”, il cui protagonista è proprio Roddy, che agisce in solitaria, senza che Blek intervenga in alcun modo. Da notare come il trapper dal berretto di pelo viva le sue avventure negli anni della Rivoluzione Americana e abbia come suoi avversari, il più delle volte, le stesse Giubbe Rosse contro cui combatte anche il Comandante Mark, un altro personaggio della EsseGesse (1966). Due curiosità: la prima vignetta saga mostra il protagonista chino a guardare delle impronte sul terreno nella stessa identica posa (o quasi) di Zagor quando lo vediamo all’inizio de “La foresta degli agguati” (1961); inoltre, nell’ultima avventura fra quelle raccolte nel volume, Blek costringe il professor Occultis (la sua “spalla comica”, al fianco del colosso biondo fin dal sesto albetto a striscia) a tagliarsi i baffi per rendere più credibile un suo travestimento, anzi, glieli toglie lui stesso con un coltello, esattamente come fa lo Spirito con la Scure con Cico, chiamato a sostituire un certo colonnello Clark, in una avventura nolittiana del 1965.
Ho citato diverse volte la sigla EsseGesse dando per scontato che tutti sappiano che cosa significhi. Si tratta della firma, ottenuta dalle iniziali dei loro cognomi, con cui consegnavano alle stampe le loro opere Pietro Sartoris, Dario Guzzon e Giovanni Sinchetto, tre fumettisti torinesi uniti in sodalizio a partire dal 1950. Una sigla, quella della EsseGesse, divenuta leggendaria e popolare quanto i nomi dei loro eroi più famosi, Capitan Miki (1951) e il Grande Blek (1954), pubblicati entrambi dalla Casa editrice Dardo, fondata a Milano nel 1946 da Gino Casarotti.  Prima di cominciare a lavorare insieme, i tre avevano già realizzato alcune storie a fumetti per diverse case editrici. Giovanni Sinchetto, nato nel 1925, era stato il disegnatore di Fulmine Mascherato; Guzzon, classe 1926, aveva  firmato alcuni episodi di Cucciolo; Pietro Sartoris, infine, anch’egli del  1926, si era occupato dei disegni della collana “Tarman”, scritta da Amedeo Martini. Nel 1950, infine, i tre si uniscono in sodalizio per illustrare Kinowa, un personaggio scritto da Andrea Lavezzolo. Nel 1951 compare nelle edicole Capitan Miki, scrito e disegnato dai tre, seguito nel 1954 dal Grande Blek”. Il successo di Miki e Blek è enorme: grazie ai due personaggi, la EsseGesse si impone non solo nel mercato italiano, ma anche in quello europeo. Il trio torinese continua a realizzare le avventure del ranger e del trapper fino al 1965, quando lascia la Dardo, si mette in proprio e sperimenta un nuovo personaggio, Alan Mistero che non ha molta fortuna, suggerendo ai tre autori di riparare presso le edizioni Araldo di Sergio Bonelli, che pubblica l’ultima creazione di Sinchetto-Guizzon-Sartoris: il Comandante Mark. Nel curriculum dei tre, figura anche “Il cavaliere nero”, su testi di G.L. Bonelli.
Tra Miki e Blek, io ho sempre preferito il secondo: Miki è in fondo il classico ragazzino saputello che si muove sullo sfondo del classico West di maniera dei fumetti Anni Cinquanta; Blek invece è un "tipo": un colosso con i capelli lunghi e biondi e il torace offerto impavidamente alle intemperie, che agisce in uno scenario insolito delle foreste care a Fenimore Cooper, in un contesto storico inedito e interessante come quello della Guerra d'Indipendenza americana.


sabato 5 aprile 2025

IL MULINO DEL PO


Riccardo Bacchelli
IL MULINO DEL PO
Mondadori
Edizione Oscar 1979
tre volumi in brossura
2100 pagine complessive

La prima domanda che si pone il lettore, esitante davanti alla prospettiva di iniziare a leggere un’opera come “Il mulino del Po”, è: ma davvero vale la pena affrontare un romanzo in tre volumi, lungo oltre 2100 pagine complessive? Se vi interessa conoscere il mio parere, quello di uno che è felicemente giunto al termine dell’impresa, la risposta è: assolutamente sì. 
 
Mentre leggevo, il paragone che più mi veniva in mente era quello di accostare Riccardo Bacchelli (1891-1985) ad Alessandro Manzoni e di considerare “Il mulino del Po” la risposta novecentesca ai “Promessi Sposi”, più moderna e dunque arricchita da protagonisti che fanno sesso, da trame coinvolgenti che si intrecciano caratterizzati da personaggi vividi e non sempre adamantini, e di opposti schieramenti ideologici i cui conflitti permettono di affrontare tematiche sociali e descrivere le dinamiche e le tensioni politiche. Certo, Bacchelli non ha i meriti manzoniani riguardo alla nascita di una lingua italiana nazionale (che lui si ritrova già confezionata e che sa sfruttare al meglio), ed è sicuramente autore meno nobile ed influente, ma quante somiglianze fra i due scrittori, entrambi alle prese con il romanzo storico di ambientazione italiana, interessati alle vicende dei più umili inserite in contesti reali ricostruiti in maniera rigorosamente documentata, ambedue a fare i conti con la Provvidenza! La fede, in Bacchelli, è vista con maggior disincanto e non ci sono santi frati e illuminati vescovi, ma non si può narrare di contadini senza mostrare la loro religiosità. 

Lo scrittore bolognese diede alle stampe il suo romanzo, ambientato sulle rive del Po presso Ferrara, a spese proprie, tra il 1938 e il 1940. Il primo volume si intitola “Dio ti salvi” (660 pagine), il secondo “La miseria viene in barca” (680 pagine), il terzo “Mondo vecchio sempre nuovo” (790 pagine). L’opera venne poi riproposta in forma unitaria e definitiva nel 1957. Si narra la saga di quattro generazioni della famiglia Scacerni, e di una folta schiera di personaggi di contorno, a partire dalla disfatta di Napoleone in Russia (1812) fino alla Prima Guerra Mondiale (1918). Comincia con la battaglia sul Don e finisce con gli scontri sul Piave, non a caso fiumi, come quello che fa da sfondo a gran parte del racconto, il Po, descritto magistralmente in centinaia di pagine che ne raffigurano la potenza delle piene, la bellezza delle rive, la forza delle correnti, il suo mutar corso e forma, il suo essere amato e temuto da chi vive sulle sponde.
 
La sola lettura dei primi capitoli, ambientati durante la tragica ritirata delle truppe napoleoniche, permette di capire quale saranno i toni e il livello drammatico degli avvenimenti successivi, quelli innescati dall’incontro fra un giovane ferrarese arruolato a forza nell’esercito imperiale francese, Lazzaro Scacerni, e un capitano giacobino a cui salva la vita. Potrebbe essere un buon test, leggere le scene ambientate in Russia, per capire se andare avanti oppure no.  Sopravvissuto alla ritirata e rientrato a Ferrara, attraverso varie traversie Lazzaro diventa mugnaio, riuscendo nell’impresa di fabbricarsi un mulino galleggiante, all’epoca numerosi lungo il corso del Po, che funzionavano grazie alla forza della corrente del fiume. Comincia così una saga famigliare che vede succedersi varie generazioni e personaggi memorabili come Coniglio Mannaro (il cui vero nome è Giuseppe Scacerni, figlio di Lazzaro), Cecilia, il Raguseo, Princivalle, Berta, Orbino, lo Smarazzacucco Luca Virginesi, il latifondista Clapasson. Seguendone le vicende assistiamo alla Restaurazione, al governo del Regno della Chiesa sulle terre ferraresi, al contrabbando con quelle dell’altra riva in mano agli austriaci, poi ai moti risorgimentali, all’unità d’Italia, alle vessazioni del nuovo regno e in particolare all’odiatissima tassa sul macinato. Ma potenti sono anche le pagine riguardanti il propagarsi delle istanze socialiste, l’indizione dei primi scioperi, il boicottaggio verso i “crumiri”. 
 
Un vero libro di storia dentro il romanzo, con l’autore che si rivolge (manzonianamente) ai suoi venticinque lettori e approfondisce le questioni che le vicende sollevano riguardo alla politica, gli affari, le tensioni sociali. Bacchelli si dimostra espertissimo riguardo al modo di condurre i campi e ai rapporti che legavano i contadini dei vari poderi ai proprietari terrieri, rapporti che si evolvono nel tempo, con l’innovazione della mezzadria che non trova tutti concordi, anzi. Ferrato è l’autore anche nella nomenclatura esatta degli attrezzi dei mugnai, degli allevatori, dei carrettieri, dei calafati, degli sterratori. Tutti, sempre e comunque, poveri, minacciati dalle carestie e dalle piene, senza istruzione, vittime di ricorrenti epidemie. Un romanzo fluviale, è stato definito, in tutti i sensi. Sai che bella serie TV in tre stagioni ne verrebbe fuori oggi.