domenica 27 gennaio 2019

BESTIARIO UMORISTICO





Tino Adamo

Luca Barbieri
BESTIARIO UMORISTICO
Elletì Edizioni
brossurato, 2018
128 pagine, p.n.i.


Ci sono dappertutto i colleghi battutisti. Quelli che in pausa caffè fanno ridere i presenti con i loro commenti salaci o i loro giochi di parole, sparati a raffica. Luca Barbieri l'hanno cacciato per questo dalla banca dove, prima di venire assunto in Bonelli come redattore, faceva l'impiegato. Lui racconta di essersene andato volontariamente perché appassionato di fumetti, ma tutti conoscono la verità. Adesso anche noi in Bonelli cerchiamo il modo di liberarcene: ne parliamo bene a quelli della Panini sperando che se lo accattino loro. Con Tino Adamo non c'è speranza: non lo vorrebbe nessuno, ci tocca tenercelo noi. Per farlo stare buono gli abbiamo dato da fare i Bonelli Kids. I due hanno stretto comunella e hanno realizzato un libro di battute grafiche: un bestiario di animali fantastici dai nomi storpiati o fraintesi. Il risultato è esilarante.

Nella mia prefazione (sì, perché c'è anche una mia prefazione: l'hanno chiesta a me perché sono il terzo battutista della Bonelli e mi considerano del club) ho citato il cartoonist Mort Walker che con lo pseudonimo di Addison ha disegnato, dal 1968 al 2000, una serie di strisce umoristiche intitolata “Boner’s Ark” con protagonisti gli animali di una sorta di Arca di Noè. Ma, restando in tema di fumetti, c’è anche lo “Zoo pazzo” di Mario Gomboli e Massimo Mattioli che suscitava l’ilarità dei lettori del “Corrierino”. Barbieri e Adamo, ci consegnano adesso un loro bestiario in cui si divertono a giocare, oltre che con le bestie, anche con le parole. Ed è questo il bello: come moderni dottor Moreau danno vita a creature che incrociano le specie viventi con i calembour. Isaac Asimov, uno che sia di humour che di parole se ne intendeva, soleva ripetere: “considero il gioco di parole la forma più nobile di umorismo”. Voleva dire che mentre gli scivoloni sulle bucce di banana o le torte in faccia sono un tipo di humour molto immediato, godibile anche da un analfabeta, il gioco di parole richiede non di rado, per essere perfettamente compreso, una certa cultura, una certa dimestichezza con le lettere, una certa raffinatezza di palato da parte del fruitore. Non mi resta che invitarvi la lettura delle scompiscianti vignette di Luca e Tino:vi assicuro che fanno ridere. Da montanaro qual sono, rido anche adesso pensando al Corilla di Montagna che canta lo jodel, o alla Montide Religiosa che si inerpica un cerca di un santuario alpino. Unico problema: il libro non è in vendita, per ora, se non dagli autori che lo promuovono in giro per le mostre, faticando come bestie e facendo faticare come bestie i loro lettori. Ma potrebbe esserci presto una distribuzione.

IL PREZZO DELL'ONORE




Fabrizio Accattino
Paolo Bacilieri
IL PREZZO DELL'ONORE
Sergio Bonelli Editore
2018, cartonato
130 pagine, 20 euro


Un western davvero cattivo. Ma terribilmente coinvolgente, per quanto disturbante. Fabrizio Accattino è uno sceneggiatore "eccentrico", per usare una definizione di Mauro Marcheselli, direttore editoriale della Bonelli e curatore della collana "Le storie" quando questo fumetto venne messo in cantiere, per poi venire pubblicato, appunto, su quella serie da edicola (n° 31, aprile 2015), prima di questa nuova edizione cartonata di grande formato, destinata alle librerie. Ma "eccentrico" è soprattutto il disegnatore, quel Paolo Bacilieri da cui mai ti saresti aspettato un western e invece eccolo qua, a testimonianza della sua versatilità grafica pur nella fedeltà al proprio stile. Lester DurretIl e il suo amico Elzaphan McConnell detto Zip, sono due balordi ("squallidi banditi", li definisce tenente Robert Harper Goodloe) finiti non si sa come per vestire la divisa dell'esercito, ma pronti a disertare dopo aver violentato una giovane donna indiana e sgozzato la madre che intendeva difenderla, un crimine per cui vengono arrestati salvo riuscire a darsela a gambe. Per tutta una serie di vicissitudini, proprio il tenente Robert Goodloe si trova costretto a unirsi ai due durante una fuga nel deserto per sfuggire alla caccia degli indiani. Il terzetto giunge nel piccolo villaggio di El Cantito, dove gli abitanti credono che si tratti dei soldati da loro richiesti all'esercito per proteggerli da una banda di desperados da cui sono vessati. Tra Lester e Zip, è sicuramente il primo il più cattivo, una vera anima nera senza scrupoli, pronto a tutto, anche a derubare la chiesa di El Cantito. Zip invece sembra essere attratto dalla maestrina del paese mentre il tenente aspetta l'occasione giusta per arrestare i suoi due commilitoni, di cui sembra sodale mentre non vede l'ora di poterli consegnare alla corte marziale. Il finale, drammatico e a sorpresa, commuove e lascia l'amaro in bocca. Una storia da leggere.

sabato 26 gennaio 2019

IL MISTERO DEI TRE QUARTI




Sophie Hannah
IL MISTERO DEI TRE QUARTI
Mondadori
2018, cartonato,
300 pagine, 19.50 euro


Stavolta, pollice verso. Ho seguito volentieri Sophie Hannah nel suo temerario tentativo di proseguire, d'accordo con la famiglia Christie, la serie dei romanzi gialli con Hercule Poirot. Il primo da lei firmato, "Tre stanze per un delitto" (2014) mi ha convinto: la Hannah non era la Christie ma le faceva bene il verso. Il secondo, "La cassa aperta" (2016), scricchiolava e non convinceva del tutto, ma insomma ci si poteva stare. Il terzo, "Il mistero dei tre quarti" (2018) fa scuotere la testa. Eppure, si era partiti bene. Quattro persone ricevono una lettera apparentemente firmata da Poirot in cui il detective le esorta a confessare di aver ucciso un certo Barnabas Pandy, prima sia Poirot stesso a recarsi dai giudici con le prove inoppugnabili. Sennonché Poirot dichiara di non aver mai scritto quelle lettere e di non sapere chi sia Pandy. Anche un paio di destinatari ignorano completamente quel nome, gli altri due riferiscono che Barnabas era un ricco vecchietto verso la novantina, morto sì ma per cause naturali, nella sua vasca da bagno. Nessuno ha mai avuto dubbi sul suo decesso, avvenuto peraltro in circostanze tali da non poter lasciare pensare a un omicidio. I personaggi del coinvolti sono tanti e variegati, ben descritti dall'io narrante Edward Catchpool, ispettore di Scotland Yard, amico di Poirot. Non mancano caratteristi divertenti, come la ristoratrice Fee Spring, che chiede al detective belga di indagare sul furto di una sua ricetta segreta, e la zelante segretaria del giudice McCrodden, miss Mason. Le indagini interessano a tutto tondo la famiglia di Barnabas Pandy, figlie e nipoti, e altri dell'entourage. Peccato che, a un certo punto, la trama perda di vitalità, vengano a mancare i motivi di interesse, l'intreccio si complichi in modo artificioso, le psicologie si intornicino e, soprattutto, le spiegazioni finali non risultino né convincerti né sorprendenti.

giovedì 24 gennaio 2019

IO SONO ZAGOR





Nei primi giorni di novembre "Io sono Zagor" è stato presentato con successo nel corso di Lucca Comics: allo stand Bonelli il librone si è venduto molto bene. Insomma, l'impressione (per il poco che posso valutare io) è che l'iniziativa editoriale sia stata premiata dai lettori.

Ma di che cosa si tratta? Si tratta di un tomo cartonato di oltre 400 pagine, che la Bonelli mi ha chiesto di progettare, scrivere, curare e allestire anche per fare apripista ad altri volumi del genere dedicati a ulteriori personaggi. Ancora una volta Zagor parte per primo. Non esistevano modelli di riferimento, se non volumi Marvel tipo "Io sono Thor" o altri del genere: però  è facile radunare in una antologia le migliori storie di un supereroe che vive avventure lunghe 24 tavole ciascuna (per usare una lunghezza standard da comic-book), più difficile è selezionare "il meglio" traendolo da avventure lunghe cento, duecento, trecento pagine, come nel caso di Zagor, e farlo stare in quattrocento in totale. C'era poi il problema del target: a chi ci si sarebbe rivolti? Alla fine, dopo essermi scervellato per un paio di mesi durante l'estate, ho presentato il mio progetto che è stato approvato.

Volendo offrire un volo sulle ali di un’aquila a chi non conosce il personaggio, o a chi vuole ripescare nella memoria emozioni che hanno lasciato il segno, come sfogliando un album di ricordi, ma anche a chi desidera condividere con figli o nipoti il fascino di avventure che hanno fatto la storia del fumetto italiano, ho concepito “Io sono Zagor” come un libro in cui l’eroe di Darkwood si presenta in prima persona e propone una sorta di propria autobiografia  (scritta in prosa). Il racconto autobiografico però si interrompe per dieci volte e lascia spazio  alle pagine a fumetti più significative di alcune delle sue avventure dei primi dieci anni della sua vita editoriale. Quelli, cioè, del periodo delle serie a striscia (1961-1970), in seguito riproposte nella collana Zenith e in varie ristampe. 

Selezionare quali sequenze enucleare non è stato facile. In alcuni casi la scelta si è rivelata inevitabile (il primo scontro con Hellingen non poteva mancare), in altri si è cercato di non sovrapporsi a riedizioni integrali in volume già presenti in libreria e dunque storie di recente ristampate sono state escluse in favore di altre ugualmente interessanti. Le sezioni del libro con la voce dello Spirito con la Scure a fare da io narrante completano il quadro e possono offrire spunti per nuove letture, andando a ricercare altre storie negli scaffali della propria collezione, in libreria, tra gli arretrati disponibili o sulle bancarelle dell’usato.  Anche dare la caccia alle puntate di una saga a fumetti è, in fondo, un’Avventura.

Forse faremo un secondo volume dedicato alle avventure non citate o a quelle del periodo successivo al 1970. Nel racconto in prosa ci sono alcune novità riguardanti cose che non sapevamo del personaggio, e ho cercato di immaginarmi come Patrick Wilding commenterebbe o giudicherebbe certi avvenimenti, per trarne una conclusione, una lezione di vita (non una morale). Se siete curiosi dello "stile" con cui Zagor racconta la propria vita, qui di seguito trovare il mio incipit.


Un uomo, una donna e un bambino

Il mio nome è Patrick Wilding. Tutti mi conoscono però come Zagor, abbreviazione di Za-Gor-Te-Nay, che in lingua algonchina significa Spirito con la Scure. Quanto sto per raccontarvi chiarirà come sia accaduto che abbia cominciato a farmi chiamare così. Sono nato nei primi anni del Diciannovesimo secolo, è difficile anche per me dire esattamente quale (ma potrebbe essere lo stesso in cui Lewis e Clark iniziarono la loro esplorazione del Missouri), in una zona ancora selvaggia della Virginia occidentale, dalle parti di Wheeling, in quella che dal 1776 era stata chiamata Ohio County. In realtà non ho mai visto Wheeling né alcuna altra città fino all’età di quasi quindici o sedici anni, per dire come fossero lontani dalla civiltà i luoghi in cui ho vissuto per tutta la mia infanzia e la prima adolescenza. Là dove sono venuto al mondo sorgeva la capanna di tronchi che mio padre aveva costruito con le sue mani, lontana parecchie miglia da ogni altro luogo abitato, in una radura in mezzo alla foresta, sulla riva di un piccolo fiume chiamato Clear Water, poco più di un torrente che poi si getta nell’Ohio. Mia madre si chiamava Elizabeth Burton, era una immigrata irlandese di umili origini, salita da sola su una nave e sbarcata al porto di Boston, in cerca di fortuna e di lavoro, all’età di quindici anni. Proprio in quella città aveva conosciuto, alcuni anni dopo, un giovane trapper giunto dalle montagne dell’entroterra per stringere accordi d’affare con un mercante di pellicce. Quell’uomo si chiamava Mike Wilding, e sarebbe diventato mio padre. I due si innamorarono e si sposarono. Mike condusse Betty con sé e, dopo alcuni spostamenti, si stabilirono là dove vi ho detto. Non trascorse troppo tempo prima che io nascessi. 

domenica 13 gennaio 2019

I RACCONTI DI VALERIO BORTOLAZZI




Valerio Bortolazzi
I RACCONTI DI VALERIO BORTOLAZZI
a cura di Walter Dorian e Fabrizio Marongiu
Zagorianità
2018, brossurato, 104 pagine

Le strisce di Zagor della "Collana Lampo", tra il giugno 1961 e il giugno 1966, ospitarono, in appendice alle storie a fumetti anche alcuni racconti a in prosa a puntate, scritti da Valerio Bortolazzi. In totale queste “novelle” furono tredici. Erano racconti di stampo salgariano e quasi tutti di carattere marinaresco (Zagor non vi compariva). Nell’ordine, i titoli furono questi: “Fra due fuochi”, “Un mistero del mare”, “Attraverso l'Alaska”, “Una navigazione pericolosa”, “Come portare in salvo i miei uomini”, “Salvataggio”, “Una rara avventura di mare”, “Navigando lungo l'Oceano Indiano”, “Giubbe Rosse”, “Livingstone”, “Mark Twain”, “Mari proibiti”, “Marocco”. Un lettore particolarmente curioso interrogò Sergio Bonelli a proposito di Bertolazzi nel corso di un incontro con il pubblico durante nell’edizione 2011 di Cartoomics, a Milano (quella in cui si celebravano i cinquant’anni del personaggio). Venne chiesto chi fosse questo scrittore, visto che sembravano essersene perse le tracce. Bonelli rispose che lui stesso non sapeva che fine avesse fatto l’autore di quei racconti e, dopo tanto tempo, faticava persino a ricordare in che modo l’avesse conosciuto. Spiegò che all’epoca della “Collana Lampo” aveva la necessità di riempire gli albetti perché Gallieno Ferri non riusciva a garantire più di un certo numero di strisce. Di conseguenza cercava di rimpolparne lo spessore con altri fumetti, giochi enigmistici, la rubrica degli aforismi o quella degli aneddoti storici (“copiati da un vecchio libro”, testuali parole). Non si sa bene come, dove o quando, ma un giorno Sergio fece la conoscenza di un certo signor Valerio, in modo del tutto casuale (pare frequentassero lo stesso barbiere). Parlandoci, scoprì che costui coltivava ambizioni letterarie e dunque Sergio prese a palla al balzo: gli chiese se voleva scrivere racconti d’appendice. Bortolazzi accettò, nacque la collaborazione che durò qualche anno, poi la cosa finì lì e del misterioso Valerio non si seppe più nulla.
A distanza di tanti anni, i curatori della rivista "Zagorianità" (testata di informazione e critica sull'universo dello Spirito con la Scure) hanno raccolto tutti i racconti in unico volume, davvero gradevole da leggere e da sfogliare, illustrato com'è con affascinanti illustrazioni (numerose delle quali, a partire dalla copertina, realizzate appositamente da Mauro Laurenti). Una chiara prefazione spiega come Bortolazzi abbia pubblicato anche altri racconti in appendice alle strisce di "Giubba Rossa" e di "Un Ragazzo nel Far West". Walter Dorian sottolinea anche, introducendo l'antologia, come a un certo punto gli ultimi racconti abbiano, per così dire, cambiato genere: da avventure di drammi marinareschi o comunque legati a pericoli incombenti su viaggiatori e navigatori (uno ha una amboientazione italiana), si passi, anche se solo per poco, a testi didascalici di argomento storico (le Giubbe Rosse canadesi) o biografici (la vita di Mark Twain). Chissà se fu Sergio Bonelli a suggerire il cambiamento, prima di cessare di pubblicare questo tipo di materiale. Personalmente sono sempre rimasto gradevolmente impressionato dai racconti di Bortolazzi, e credo proprio che una antologia del genere se la meriti tutta. Un elogio ai curatori, che hanno realizzato un volume professionale, a testimonianza di come ormai le iniziative amatoriali possano compete per qualità con quelle di chi i libri li fa per mestiere. Il volume non ha distribuzione libraria ma va richiesto contattando il numero whatsapp 329-3041924 o scrivendo all’e-mail: zagorianit@libero.it.

sabato 12 gennaio 2019

IO NON HO PAURA



Niccolò Ammaniti
IO NON HO PAURA
Einaudi
Einaudi Tascabili – Stile Libero
2001 brossurato
220 pagine -  lire 16.000

Nell’estate del 1978, in un paesino immaginario della più remota campagna del Sud Italia, Acqua Traverse, un bambino di nove anni, Michele Amitrano, scopre per caso, giocando con gli amici, il buco (nel sotterraneo di una casa abbandonata) dove è nascosto un suo coetaneo, Filippo, rapito e tenuto legato in condizioni animalesche. La storia che ne segue è narrata, in modo peraltro molto abile, con gli occhi appunto di un bambino che poco si rende conto della reale portata della sua scoperta, ed tutto filtra alla luce delle sue letture (tra cui persino Tex Willer, con lui che si identifica in Tiger Jack) e dei suoi giochi (persino il segreto di cui è deposotario diventa merce di scambio per avere da un amico la squadra Subbuteo del Lanerossi Vicenza). Fra i rapitori del piccolo Filippo c’è anche il padre di Michele, e un po’ tutti i grandi di Acqua Traverse sono in qualche modo coinvolti. Azzeccate e coinvolgenti le caratterizzazioni dei vari personaggi, da Felice chiaramente omosessuale senza consapevolezza (ma quando canta Mina senza sapere di essere osservato lo fa in falsetto), al vecchio Sergio, mente del sequestro, passato attraverso molti anni di galera per rapina, agli amici di Michele, soprattutto quello soprannominato il Teschio, prepotente e spaccone, e Salvatore, o Barbara, a cui già cominciano a crescere i seni e i peli pubici. Ma ben riuscita è anche, e soprattutto, la descrizione della famiglia di Michele, con il padre camionista che tutto sommato è un povero cristo, sfigato e mosso soprattutto dal desiderio di garantire alla famiglia un futuro migliore, la madre sempre in attesa degli eventi ma innamorata di quel marito, la sorellina Maria. E bella la resa del paesaggio meridionale, e del caldo che soffoca tutto. L’inconsapevolezza dei rischi che il piccolo Michele corre tornando a far visita a Filippo crea una grande tensione nel lettore, che invece è ben conscio di quanto potrebbe accadergli. La storia non racconta che pochi particolari del sequestro di Filippo, ed è piuttosto quella dello stesso rapimento vissuto dai figli di uno dei sequestratori, in questo sta l’originalità e l’interesse. Il finale è drammatico e imprevedibile (se non lo conoscete, nonostante il fortunato film di Gabriele Salvatores del 2003, occhio allo spoiler): messi alle strette dalle forze dell’ordine, i rapitori decidono di sbarazzarsi dell’ostaggio e il padre di Michele, sfortunato come sempre, è sorteggiato per l’incarico. Michele corre al nascondiglio di Filippo per liberarlo, ci riesce ma all’arrivo del papà riceve la fucilata destinata all’altro. Il padre non lo ha riconosciuto. Quando lo fa, lo porta disperato all’elicottero dei carabinieri, per farlo curare. La narrazione in prima persona da parte di Michele di tutta la vicenda, ci garantisce che se l’è cavata. Il coraggio dimostrato, che nonostante tutto, il suo futuro sarà davvero migliore.

mercoledì 2 gennaio 2019

IN CAMPAGNA E’ UN’ALTRA COSA





Achille Campanile
IN CAMPAGNA E’ UN’ALTRA COSA
Rizzoli
Collana Biblioteca Universale Rizzoli
Seconda edizione BUR luglio 1995
brossurato - 308 pagine -  lire 15.000

Grande Campanile! Grande come scrittore, grande come umorista. Da leggere, da studiare, da ammirare, da scompisciarsi. Questo romanzo in realtà romanzo non è, vista l’assoluta inconsistenza della trama: il giovane Serenello, scrittore, giornalista, autore teatrale (chiara controfigura dell’autore) si reca in vacanza dagli zii, e qui s’innamora di una ragazza ma litiga con il di lei padre, di cui poi deve ricercare il perdono. Tutto ciò è un pretesto. In realtà il divertimento nasce dalle divagazioni stralunate in cui Campanile si esibisce a ogni piè sospinto, raccontando aneddoti e costruendo battute con una grazia incomparabile. In questo assomiglia un po’ a Jerome Kapkla Jerome, che con il suo “Tre uomini in barca” aveva preso a pretesto una gita lungo il Tamigi per divagare con levità verso ogni dove. Ma a differenza di Jerome, che resta pur sempre con i piedi per terra, o almeno sulla barca, Campanile si concede assai più libertà e costruisce giochi di parole (Serenello smarrisce la ciocca di capelli datagli dalla fidanzata e va in giro a dire che “ha perso i capelli” ricavandone consigli contro la calvizie), inventa aneddoti (esilaranti quelli sul cane Lampone), propone paradossi (uno scrittore che deve compilare trecento pagine di romanzo partendo dalla minuscola idea di una dichiarazione d’amore, lo fa rendendo lui balbuziente e lei sorda). La gag più divertente è quella del visitatore di una esposizione di quadri che per non trovarsi a corto di aggettivi di fronte alle ultime opere che gli verranno mostrate, parte da aggettivi di bassa considerazione proponendosi di arrivare ai superlativi; ma venendo informato i che le tele sono cento, parte da così lontano che comincia con “orripilante”, “vomitevole” e cose del genere, e viene gettato fuori prima di arrivare ai complimenti. Degna di memoria è anche la seguente definizione: “Lettori: personaggi immaginari nati dalla fantasia degli scrittori”. Il che fa capire che anche all’epoca di Campanile la carta stampata languiva in stato di crisi.

martedì 1 gennaio 2019

LA DONNA ETERNA






Henry Rider Haggard
LA DONNA ETERNA
Newton & Compton
Collana Il fantastico economico classico
Prima edizione 5 marzo 1994
Traduzione di Wanda Puggioni
brossurato - 128 pagine -  lire 1.000

Indubbiamente un classico della narrativa fantastica e avventurosa, che ha dato origine a decine di versioni letterarie, cinematografiche, fumettistiche e disseminato echi in ogni dove. E' alla base di storie di Topolino e di Cino e Franco, di un romanzo di Umberto Eco.  Lo stesso Rider Haggard (1856-1925), scrittore inglese di grande talento, ne ha scritto tre seguiti. Impossibile prescinderne, per i cultori della letteratura popolare. Ecco il riassunto così come lo si desume dalla quarta di copertina: "Nel cuore dell'Africa, lontano da ogni centro abitato e da ogni via di comunicazione, vive un popolo che obbedisce ad Ayesha, la Donna Eterna, la Regina che decide della vita e della morte di chiunque si trovi nei confini del suo regno. La donna ha un solo scopo cui tende con tutte le sue forze e che spera di vedere realizzato il più presto possibile: ricongiungersi con il suo amato, Callicrate, dal quale è ormai separata da millenni. L'arrivo di due esploratori bianchi nel suo territorio alimenta le sue speranze: in uno di loro ella ravvisa infatti l'uomo di cui è profondamente innamorata e decide di immergerlo nel fuoco che dona l'immortalità...". I due esploratori bianchi sono Orazio Holly e il suo giovane figlioccio Leo Vincey, affidatogli dal padre morente insieme a una misteriosa cassa che la sua famiglia si tramandano da generazioni. La cassa deriva direttamente dal capostipite della stirpe di Vincey, Callicrate, sacerdote di Iside, che nell'antichità per primo scoprì il regno della donna eterna, la regina Ayesha, mantenuta immortale da una magica fiamma. Attraverso molte avventure, Orazio e Leo raggiungono a loro volta il regno della sovrana millenaria, la quale vuole convincere il giovane Vincey a rendersi a sua volta immortale grazie al fuoco incantato. Lei stessa, per far coraggio all'amato, si immerge nella fiamma per prima, ma... Il racconto non è un capolavoro come "Le miniere di Re Salomone", ma il fascino c'è.