sabato 30 dicembre 2017

PETRA CHERIE

 

Attilio Micheluzzi
PETRA CHERIE
Milano Libri
1982, cartonato

Un libro cartonato dalla bellissima grafica di copertina, una rilegatura e una stampa come quelle che non si vedono più per i fumetti, una storia intrigante e ben raccontata. Tutti elementi che fanno di "Petra Chérie" un volume di pregio da conservare con cura.  L’edizione della Milano Libri, uscita nel 1982 in contemporanea con l’ultima avventura del personaggio, è la prima. Di recente Comma 22 ha riproposto una curatissima raccolta di tutte le puntate. Petra Cherie nasce nel 1977 sul settimanale “Il Giornalino”. Dal gennaio 1982 si trasferisce su “Alter Alter” dove chiude però improvvisamente la sua corsa con il racconto “Aurora! Aurora!”. Originariamente Petra avrebbe dovuto essere un personaggio maschile, Rupert de Karlowitz, soprannominato “il Vicario”. Alfredo Barberis, all’epoca direttore del “Corriere dei Ragazzi”, convinse però Micheluzzi a trasformarlo in una donna per evitare confronti con Corto Maltese, con cui qualcuno avrebbe potuto far notare delle somiglianze, anche solo per l’epoca storica (il 1917) se non per gli scenari o lo spirito avventuroso del protagonista. Micheluzzi si accorse delle potenzialità offerte da un personaggio femminile e accettò il consiglio. Anzi, anticipando i tempi, rese la sua eroina protagonista anche della narrazione in prima persona degli avvenimenti, sperimentando persino una forma di interazione di Petra con il suo stesso autore e i lettori. Il volto dell’eroina prende spunto da quello di Mary Louise Brooks, la stessa che ha ispirato la Valentina di Guido Crepax. I disegni, autoriali e caratterizzati da uno stile proprio e personale che però non perde mai il contatto con l’efficacia richiesta dalla narrazione avventurosa, sono strepitosi pur se realizzarti, com’era uso da parte dell’artefice, in tempi brevissimi. Come suo solito, l’autore ci narra una avventura nella Storia, e come sempre sceglie un periodo di guerra (del resto la sua storia di istriano di Umago dovuto fuggire dalla sua terra per trasferirsi prima a Napoli poi in Libia per dover tornare di nuovo in Italia in seguito alla rivoluzione di Gheddaffi, lo hanno messo spesso di fronte a fatti epocali del ventesimo secolo). Documentatissimo, interessante nelle sue ambientazioni a noi vicine ma insolite, l'autore ci racconta le avventure di una giovane donna austriaca, Petra De Karlowitz, che guida un aereo sugli scenari della Prima Guerra Mondiale e abbatte gli aerei del Kaiser meglio del Barone Rosso. Perché lo fa? Perché crede in ideali di libertà? Perché ha un indomabile spirito d'avventura? Perché è una delle due o tre donne con il brevetto di volo e vuole dimostrare agli uomini di non essere da meno? Chi lo sa, forse questo e altro. E' una donna libera, capace di pensare, padrona del suo destino, dotata di spessore. Il fatto è che non risulta inquadrata in un nessun corpo militare, è come Zorro: colpisce e fugge, da sola. A un certo punto, però, il suo aereo viene abbattuto in mare. La ripescano a Triste degli italiani, che la nascondono dalla caccia dei tedeschi, pagando però con la vita la loro generosità. Fuggendo per mare, Petra finisce per essere recuperata da un sommergibile crucco, e si spaccia per una di loro. Il sommergibile è diretto in Grecia, e il comandante non intende tornare indietro a riportare la passeggera a Trieste, Petra tornerà in nave. Ma lungo il viaggio il sommergibile viene attaccato dalle bombe di profondità di una fregata italiana. Petra rischia di morire sotto il cosiddetto "fuoco amico". Riesce a salvare il sommergibile, e si ritrova a terra in territorio Yugoslavo. Viene fatta salire su un treno che la riporti a nord, ma il convoglio è attaccato da dei ribelli serbi che la fanno prigioniera fra le montagne innevate dei Balcani. Finché non riesce a fuggire e si ritrova a Costantinopoli. Anche lì si va a impelagare in un tentativo di sabotaggio contro una nave da guerra tedesca, e fugge ancora in automobile attraverso la Turchia e poi il Medio Oriente fino alla Siria.  


venerdì 29 dicembre 2017

PLAYBOY TUTTI I PAGINONI CENTRALI



Hugh M. Hefner
PLAYBOY
TUTTI I PAGINONI CENTRALI
Rizzoli
2017, cartonato
850 pagine

Un libro che comincia con la famosa foto di Marilyn Monroe scattata da Tom Kelley nel 1953 e prosegue con dodici playmate per ogni anno fino al 2016 non può che essere un oggetto e al tempo stesso un simbolo del desiderio. Il ponderoso volume pubblicato dalla Rizzoli in una elegante edizione grade formato raccoglie tutte le pagine centrali (i celebri miniposter apribili) ospitati dalla rivista "Playboy" fondata a Chicago da Hugh Marston Hefner (1926-2017). Proprio Hefner scrive una prefazione introduttiva in cui si legge: "Le donne meravigliose celebrate in queste pagine sono fatte della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Aspetto ancor più significativo, nella loro scelta semplice e perentoria di posare nude, queste donne di sono fatte portabandiera di una rivoluzione sociale cominciata più di cinquant'anni fa e che continua - sebbene con alti e bassi - ancora oggi. Il mondo ha fatto molta strada a partire dalle repressioni degli anni Cinquanta, ma agli americani capita ancora di avere sentimenti contrastanti nei confronti dei propri impulsi sessuali (forse è meglio dite: nei confronti degli impulsi sessuali dei propri vicini)". La scelta di spogliarsi è un atto di libertà della donna, per millenni costretta dagli usi e costumi e dalle religioni a coprire le proprie forme e celare il proprio aspetto, oppresse dagli uomini - liberi invece di denudarsi a piacere. Dispiace che dopo aver conquistato un sacrosanto diritto di mostrarsi per come sono, un malinteso femminismo oggi tenda di nuovo a negarlo alle donne vedendo in ogni nudo femminile uno sfruttamento del corpo invece che di una naturale esaltazione della bellezza, in questo assecondando quelle religioni che impongono cappe e mantelli. Dave Hickey, nella sua introduzione, riporta le parole ironiche con cui Mark Twain descrive la sua visita agli Uffizi, raccontando quando si venne a trovare davanti alla Venere di Tiziano. Dice lo scrittore americano: "Se tentassi di descriverla provocherei schiamazzi, ma eccola là a disposizione di chiunque voglia divorarla con gli occhi". E descrive, invece, da par suo, le espressioni dei visitatori del museo, uomini e donne. Il nudo viene contrabbandato dall'arte fin dall'antichità. Con la scusa di mostrare dee, eroine mitologiche e persino sante, pittori e scultori hanno soddisfatto il desiderio degli ammiratori delle loro opere, che potevano far scorrere gli occhi sulle forme e sulle curve femminili con l'alibi di aver di fronte un cimelio artistico. Le libere e gioiose modelle di "Playboy" (tutte con la loro firma a dedica della propria foto) liberano finalmente il mondo dall'obbligo di cercare degli alibi: si sono spogliate per loro, prima, e per noi, poi, siamo tutti d'accordi e non c'è bisogno di scuse. Peraltro, le posture sono tutto sommato caste e non inducono in eccessi: non ci sono genitali in mostra in pose ginecologiche, non si accennano masturbazioni o inviti con la lingua. Sono semplicemente belle donne, serene e sorridenti, che si concedono liberamente ai nostri occhi ossequiosi, non di rado velate, fotografate da artisti della macchina fotografica. La carrellata lungo gli anni e i decenni mostra anche l'evolversi del gusto estetico nel culto e nella raffigurazione della bellezza muliebre, di cui è indicatore persino la lunghezza del pelo pubico (non sempre mostrato). Ogni decennio è commentato da introduzioni di intellettuali, scrittori e giornalisti, a testimonianza di come "Playboy" abbia segnato in modo indelebile la cultura della nostra società.

mercoledì 27 dicembre 2017

L'ESTATE FREDDA



Gianrico Carofiglio
L'ESTATE FREDDA
Einaudi
2016, brossurato 
352pagine, 18.50 euro

L'estate fredda è quella del 1992,l'anno delle stragi di mafia in cui vennero uccisi Falcone prima e Borsellino poi. Ma la mafia di cui si racconta in questo romanzo non è quella siciliana ma quella barese. Del resto Gianrico Carofiglio è nato proprio a Bari (nel 1961) e a Bari si svolgono le indagini dell'avvocato Guido Guerrieri, protagonista di numerosi altri libri dello scrittore. A Bari, inoltre, Carofiglio ha prestato servizio come magistrato e da questi trascorsi deriva la competenza procedurale in campo giudiziario, legale e investigativo che l'autore dimostra. Ne "L'estate fredda" la dimostra in verità fin troppo, dato che quasi la metà del romanzo è occupata dal corpo estraneo, dal punto di vista letterario, dei verbali di interrogatorio di un pentito, Vito Lopez, riportati ricostruendo quasi fedelmente la prosa degli atti stilati dai magistrati. "Quasi fedelmente" perché, per fortuna, il giudice Gemma D'Angelo, protagonista con il maresciallo Pietro Fenoglio e l'appuntato Antonio Pellecchia della vicenda raccontata, scrive in modo tutto sommato gradevole seppur non discorsivo ma, appunto, formale e giuridico. Non voglio dire che i verbali di Lopez non siano interessanti: al contrario, offrono uno spaccato su un tipo di realtà quasi incredibile ma purtroppo credibilissima alla luce dei fatti, quella della affiliazione ai clan mafiosi (con riti e formule che sarebbero esilaranti se non avessero risvolti tragici, come quando si tirano in ballo Mazzini e Garibaldi) e delle dinamiche interne ai gruppi malavitosi. Il pentimento (senza rimorsi, solo per interesse) del collaboratore di giustizia interessato ai vantaggi che ne derivano rivela uno spaccato di una umanità cialtrona e spietata, repellente e assurda, in cui la dimensione criminale è assoluta normalità e in cui più si uccide più si sala di grado in una gerarchia grottesca, peraltro costruita, in Puglia, a imitazione di quella della mafia calabrese in uno squallido tentativo di recuperare considerazione, visto che in carcere i delinquenti pugliesi venivano presi in giro come di serie B da quelli campani o siciliani. Si parla di gente squallida dedita al malaffare imparentata con contrabbandieri montenegrini o in combutta con rom abruzzesi, che rubano macchine o spacciano droga o compiono estorsioni e rapine, ma anche ammazzano, come se nulla fosse. Una umanità disumana, balorda e spietata al tempo stesso, parassita e arrogante, senza vergogna, che entra ed esce dal carcere come se come se la dimensione criminale fosse non una degenerazione ma una condizione normale, anche in ragione di un controllo del territorio da parte dello Stato pari quasi a zero. I verbali di Lopez sono come un libro nel libro e poco c'entrano con la trama principale del romanzo, quella del rapimento a scopo di riscatto di un bambino, figlio di Nicola Grimaldi, boss della malavita barese, avvenuto nel mezzo di uno scontro fratricida fra i membri dello stesso clan. Il maresciallo dei Carabinieri Pietro Fenoglio comincia a indagare ma il ragazzo viene ritrovato morto. Tutto lascia pensare che l’autore del rapimento sia stato Vito Lopez, ex luogotenente del Grimaldi ed ora in guerra contro di lui. Ma Lopez si costituisce e nega ogni addebito riguardo al rapimento alla morte del bambino. Dopo molte false piste, una serie di circostanze fortuite portano a scoprire i veri responsabili tra le stesse forze dell'ordine, dove qualcuno ha pensato di approfittare della guerra intestina nel clan mafioso per far ricadere le colpa del rapimento (che avrebbe dovuto essere lampo) sui rivali di Grimaldi. Pietro Fenoglio, piemontese trapiantato a Bari, è un carabiniere integerrimo che però deve fare i conti con la "zona grigia" in cui anche le forze dell'ordine devono venire a patti con la realtà e accettare dei compromessi. Serviranno forse un altro paio di romanzi con lui protagonista per capire se potrà avere lo spessore di Guido Guerrieri. Carofiglio si dimostra una volta di più scrittore di razza (più che giallista), colto e in grado di scavare nell'animo dei suoi personaggi, anche se non riesce a mascherare quel non so che di spocchia da primo della classe per cui ci tiene a far capire che lui ascolta la musica classica, si bea dell'arte e legge i libri giusti.

martedì 26 dicembre 2017

I MIRACOLI DI PADREPIO




Federico Sardelli
I MIRACOLI DI PADREPIO
Mario Cardinali Editore
2002, brossurato
100 pagine, 10 euro

Partiamo dal presupposto che Federico Sardelli è un genio. Detto a ragion veduta, considerando che si tratta sia di un grande direttore d'orchestra specializzato in musica barocca (è uno dei massimi esperti di Vivaldi), sia di uno dei massimi autori de "Il Vernacoliere", celebre e irrispettosa rivista satirica livornese. "I miracoli di Padrepio" (scritto tutt'attaccato) fanno parte di questa secondo aspetto della sua personalità, e dimostrano il suo talento comico quale scrittore di testi comici quanto disegnatore umoristico. Di Sardelli abbiamo già parlato più volte recensendo altri libri pubblicati da Mario Cardinali (lo storico, appunto, direttore del "Vernacoliere"), ma anche commentando il romanzo "Il caso Vivaldi" edito da Sellerio. Fra i libri comici dell'autore ci sono l'esilarante parodia di Cuore, la raccolta delle sue "proesie", i falsi giornali della "Rassegna StaNpa", l'irresistibile carrellata de "Le più belle cartoline del mondo" ma anche questa antologia delle cronache dei miracoli di Padre Pio già apparse su rivista. Le cronache, tutte rigorosamente false (del resto l'autore considera falsi anche i miracoli considerati veri, dunque per lui, giustamente, non c'è molta differenza), sono raccontate in un dialetto toscano/campano/pugliese non ben identificabile (ma molto buffo), costruito, si direbbe, a imitazione del modo di parlare di Padre Pio o dei suoi confratelli d'una volta. Ne è esempio il sottotitolo, dove parlando dei miracoli si avverte "Che avventeremmo veramente, potesse stiantare chi non cui crede, Ame". Foto e disegni esemplificano il tipo di interventi miracolosi, come il prodigio per cui il povero Bulbesio Lupi che rimase schiacciato da un TIR non morì ma rimase soltanto con le gambe triturate, o quello grazie al quale un uomo che andava dal barbiere e stava per pestare una cacca venne avvisato per tempo da una apparizione e non la pestò. Una postfazione dello stesso Sardelli propone (in modo serio ma piuttosto critico nei confronti del santo) alcuni cenni storico-biografici di Francesco Forgione (appunto San Pio). Ovviamente un libro del genere può far accapponare la pelle ai devoti del Padre in questione, ma nello spirito trasgressivo e anticlericale del "Vernacoliere", che si rifà alla satira di storiche riviste come "L'asino" e a una tradizione di goliardia e di fiera mancanza di rispetto, è uso anche scherzare con i santi. Chi apprezza legga (e si divertirà), chi non apprezza non legga (e non si arrabbierà).

domenica 24 dicembre 2017

NERO DI MARE






Pasquale Ruju
NERO DI MARE
Edizioni e/o
2017, brossurato
210 pagine, 16 euro

"Nero", ovviamente, sta per "noir". Il mare è quello della Sardegna, anche se poi c'è forse più Barbagia. Il titolo, in pratica, è una dichiarazione di intenti, anche se poi si potrebbe disquisire su quanto Franco Zanna, nome d'arte di Francesco Livio Zannargiu, il protagonista del romanzo, sia piuttosto un personaggio hard boiled. Solitario, squattrinato, mezzo alcolizzato (o quantomeno forte bevitore), taciturno, con un passato tormentato e un presente inquieto, bisogno di complicità da parte delle bariste e alle prese con femme fatali e gangster: gli ingredienti cari a Dashliet Hammett ci sono tutti. Ci sono anche gli ingredienti per un buon racconto a fumetti, dato che non mancano le scene d'azione e l'autore è un celebre sceneggiatore di eroi bonelliani. Zanna è un fotografo, o meglio, un paparazzo. E' sempre a caccia di scatti rubati alle celebrità che frequentano la Costa Smeralda. Non che lui ne vada fiero, ma quello è il mestiere che si è ritrovato a fare. E benché sia sardo, in Sardegna ci è dovuto tornare dopo aver lavorato sul Continente in seguito alla brutta storia (davvero terribile) che lo ha costretto ad abbandonare una compagna e una figlia senza poter fornire loro spiegazioni. Un servizio fotografico realizzato nel giardino della villa di un noto personaggio del mondo dello spettacolo, a un certo punto, lo mette nei guai. Una concatenazione di eventi lo porta a mettersi in guerra con un boss della malavita internazionale, proprio mentre la figlia Valentina, ormai maggiorenne, è venuta in Sardegna per cercare di capire perché suo padre, tanti anni prima, se ne è andato di casa. Il finale è sorprendente perché non tutto ciò che Zanna crede di aver capito è davvero così com'è, ma non è esattamente un giallo quello quello che Ruju ha confezionato per noi. Resta un noir. O un nero, di mare.

sabato 23 dicembre 2017

L'ARTE DI GIOVANNI TICCI


Graziano Romani
Christian G. Marra

L'ARTE DI GIOVANNI TICCI
Sergio Bonelli Editore
2017, 160 pagine
brossura, 28 euro

Un vero e proprio "art book", e non un saggio o una biografia, questo volume dedicato a Giovanni Ticci. I testi, infatti, sono ridotti al minimo. Le illustrazioni, invece, sono il massimo. Graziano Romani, già autore di un saggio su Ticci realizzato in coppia con il sottoscritto e Christian Marra hanno rintracciato, catalogato e quindi confezionato lungo un percorso affascinante, decine e decine di immagini ticciane rare o addirittura inedite: fotografie d'epoca, scansioni di originali di tavole a fumetti, acquerelli, matite, prove, schizzi, in bianco e nero o a colori. Il risultato è entusiasmante, sia per chi di Ticci è un cultore (magari per fede texiana) sia per chi ne scopre il magistrale talento che trascende la dimensione fumettistica. Che siano matite, chine o acquerelli i disegni del maestro senese sono fantastici.

sabato 16 dicembre 2017

COCO' DELL'ARTE IL DESIDERIO
















Nik Guerra
Cristina You-Bad-Girl
COCO'
DELL'ARTE IL DESIDERIO
Edizioni Di
2017, 114 pagine
brossura, 25 euro


"Se fai ciò che voglio, ottieni ciò che vuoi!", dice l'inquietante gallerista Desiderio Dell'Arte alla pittrice Cocò Von Sade, venuta a bussare alla porta della Galleria Vendilanima, con un pacco di quadri profumati (dato che lei mescola le sue essenze odorose preferite ai colori con cui dipinge). Desiderio è un diavolo (o IL diavolo) a cui bisogna prostituirsi per avere successo. Successo che ha un prezzo che bisogna essere disposti (se lo si è) a pagare. L'argomento è scottante e quanto mai d'attualità. L'arte necessita di un pubblico e dunque di un canale per contattarlo: bisogna venire a patti con chi lo fornisce, anche al punto di vendere l'anima. Oppure no? Forse l'arte è espressione pura, non destinata a dei fruitori esterni all'autore stesso? Fruitori, insomma, che ben vengano se ci sono ma che non importa che ci siano? Belle domande. Cristina You-Bad-Girl, l'affascinante sceneggiatrice delle affascinanti tavole del sempre più bravo Nik Guerra, spiega (dimostra) come si possa spazzar via ogni compromesso, annullando qualsiasi patto con il diavolo. "Nessun contratto venne stipulato". L'arte è la vita stessa, il desiderio di viverla e di esprimerla. Le gallerie che la espongono sono non-luoghi che suscitano disgusto quando diventano esibizione mondana e luogo di mercimonio. La scena in cui i frequentatori vomitano irritati dal profumo dei quadri di Cocò è paradigmatica da questo punto di vista. La sexy pittrice non è un personaggio caratterizzato in chiave erotica come l'altro character di Nik Guerra, Magenta, ma resta comunque un'icona intrigante.

venerdì 8 dicembre 2017

PIETR, IL LETTONE





PIETR, IL LETTONE
 di Georges Simenon
Adelphi
1993, brossurato,
160 pagine

E' il primo romanzo con protagonista il Commissario Maigret, scritto nel 1931, ma fu il terzo a venire pubblicato. Vale a dire che, per maneggi editoriali, due romanzi scritto dopo vennero pubblicati prima. In ogni caso, si tratta della preistoria maigrettiana visto che la serie sarebbe stata poi composta da 76 episodi. In questa avventura di esordio il commissario ha già i suoi atteggiamenti burberi, una moglie devota e paziente, una stufa di ghisa che borbotta nel suo ufficio e una freddolosità patologica, una mole colossale, una determinazione di ferro, una pazienza certosina e un fiuto psicologico a prova di bomba. Finisce anche gravemente ferito (gli tolgono tre costole) e vede finire ucciso un suo collaboratore, Torrence. Insomma, un noir duro, con i fiocchi e controfiocchi, anche se per certi versi basato su un susseguirsi di pedinamenti talvolta un po' stucchevoli. Una nota sgradevole è un vago antisemitismo che comunque faceva parte del periodo, quando non c'era il politicamente scorretto. Tuttavia leggere che "ogni razza ha un proprio odore, che le altre razze detestano", oggi dà un po' fastidio. Pietr il Lettone è un truffatore internazionale il cui arrivo è segnalato a Parigi dai dispacci della Commissione Internazionale di Polizia Criminale. Sul suo treno, però, viene trovato morto un uomo che corrisponde in tutto e per tutto alla descrizione del ricercato. Pietr però è vivo e vegeto in giro per Parigi. Le indagini conducono Maigret sulle tracce di almeno altri due individui: Olaf Swaan, Capitano di Lungo Corso, e Fédor Yourovitch, ubriaco cronico dagli atteggiamenti misteriosi. Sembra che ciascuno di costoro si trasformi nell'altro a seconda della convenienza o del momento. Alla fine, i lettoni si riveleranno due gemelli identici e indistinguibili nell'aspetto, ma diversissimi nel carattere. E Maigret farà in modo di far giustizia al di fuori della legge, come altre volte sarebbe capitato.

giovedì 7 dicembre 2017

IL RACCOMANDATO






IL RACCOMANDATO
di Wilkie Collins
Polillo Editore
2013, brossurato, 

60 pagine, 6.90 euro

La benemerita collana "I bassotti" della Polillo è una serie tutta dedicata al giallo classico angloamericano, soprattutto quello tra il 1920 e il 1940, e pubblica romanzi semisconosciuti in Italia, o difficili da trovare, accanto a quelli di autori molto noti. "Il raccomandato", centotrentasettesimo titolo della serie, è un testo assolutamente insolito. L'autore, Wilkie Collins, è uno fra i più popolari romanzieri inglesi dell'Ottocento (paragonato spesso, quanto a popolarità nel suo tempo, a Charles Dickens) ma anche uno fra i primi giallisti della storia: il suo "La pietra di luna" è considerata la prima "detective novel" perché inserisce la figura del poliziotto indagatore, il sergente Cuff. Ma c'è dell'altro a rendere particolare "Il raccomandato": innanzitutto la sua brevità (meno di cinquanta pagine); poi, il fatto che si tratti di un romanzo epistolare (la storia viene raccontata attraverso una serie di lettere fra mittenti e destinatari diversi); infine, colpisce l'umorismo, leggero e satirico, che pervade la vicenda, decisamente minimale (non c'è nessun delitto), e si prende gioco del protagonista, il giovane e presuntuoso poliziotto Matthew Sharpin. Costui è un "raccomandato", cioè fatto entrare in Polizia per le pressioni di altolocati. L'ispettore capo Theakstone gli affida, suo malgrado, le indagini relative a un furto. Sharpin affronta il caso con supponenza e arroganza, convinto di poterlo risolvere in quattro e quattr'otto. Invece, capisce fischi per fiaschi e finisce per imbastire un castello accusatorio ridicolo contro un innocente, basandosi su una sua grottesca ricostruzione dei fatti. Un poliziotto più anziano ed esperto chiarisce l'equivoco e scopre il vero colpevole: Sharpin viene allontanato fra le pernacchie.

mercoledì 6 dicembre 2017

LE TRE BARE



LE TRE BARE
di John Dickson Carr
Oscar Mondadori
2013, 260 pagine, 9 euro


Chi mastichi un po' di letteratura gialla sa che l'americano John Dickon Carr (noto anche con altri pseudonimi, come Carter Dickson), nato nel 1897 e morto nel 1977, è l'indiscusso maestro dei delitti della camera chiusa. Nei suoi romanzi e racconti compaiono spesso e le soluzioni da lui escogitate sono tutte (o quasi) geniali. Si tratta evidentemente di gialli alla vecchia maniera, che poco o nulla concedono al noir di taglio più moderno, all'introspezione psicologica o ai sentimenti o al sesso, ma pieni di elementi gotici come sono, misteriosi, non di rado in costume, sempre estremamente arzigogolati, affascinano inevitabilmente gli amanti del genere. Io lo sono. Anzi, ho sempre sostenuto che se mai avessi potuto scrivere un giallo, lo avrei fatto imitando Dickson Carr (ho giusto in mente tre delitti della camera chiusa con tre soluzioni che non sapei dire se il buon John le abbia mai utilizzate). Nella vasta produzione dello scrittore, "Le tre bare" (1953) viene di solito piazzato nella top five, se non addirittura il migliore dei suoi lavori. Effettivamente, si resta sconcertati dall'inizio alla fine e la voglia di vedere come siano stati commessi non uno ma due delitti "impossibili" resta pressante per tutta la lettura. Ma il pezzo forte del romanzo è, a mio avviso, il secondo capitolo della parte terza, intitolato "La conferenza sulla camera chiusa", là dove l'investigatore Gideon Fell (uno dei personaggi ricorrenti nei romanzi del giallista) tiene una vera e propria lezione su tutti i metodi usati fino a quel momento dagli scrittori per risolvere il mistero di un omicidio commesso in una stanza chiusa dall'interno, da cui l'assassino non possa essere uscito (e che, ovviamente, sia comunque sparito). Il bello è che il dottor Fell dichiara di rivolgersi direttamente ai lettori: "Ci troviamo in una storia poliziesca e non dobbiamo ingannare chi legge fingendo che non sia così. Non dobbiamo inventare scuse, siamo personaggi di un libro". Dopodiché vengono messe in chiaro le idee dell'autore sul giallo: "A me piace che i miei delitti siano sanguinosi e grotteschi, che le mie trame sprizzino vividezza di colore e fantasia, poiché non riesco a trovare affascinante una storia che si basi soltanto sul fatto che possa sembrare realmente accaduta. Mi sembra ragionevole sottolineare che la parola 'improbabile' è l'ultima che dovrebbe essere usata per condannare il romanzo poliziesco. Tutta la questione sta nella domanda: può questa cosa essere fatta? Se sì, non importa che sia 'probabile'". In effetti, fa notare Dickson Carr, se il colpevole di un delitto fosse la persona più "probabile" i lettori si sentirebbero delusi. Un pezzo di assoluta bravura. E l'assassino de "Le tre bare" è in effetti il meno probabile che possa venire in mente, ma il meccanismo del giallo, una volta spiegato, è del tutto possibile, per quanto macchinoso. Non vi dirò nulla sulla trama se non ribadire che l'assassino viene visto entrare in una stanza la cui porta gli è aperta dalla vittima, prima di venire chiusa dall'interno: si ode uno sparo, la porta viene sfondata, la vittima è ferita mortalmente, dell'assassino nessuna traccia nonostante fuori ci fossero testimoni in attesa. Un secondo delitto, evidentemente collegato al primo, viene commesso in una strada vicina, al centro di una via che ha dei passanti ai lati. Tutti si voltano udendo uno sparo, un uomo crolla a terra colpito a bruciapelo, ma l'assassino non c'è e non ci sono le sue tracce sulla neve. Il tutto pare collegato con la storia di tre fratelli sepolti molti anni prima in Ungheria, uccisi da una epidemia che li aveva colpiti nel carcere dove erano stati rinchiusi...

martedì 5 dicembre 2017

ULTIMO CONFINE DEL MONDO



ULTIMO CONFINE DEL MONDO
di Lucas Bridge
Einaudi
2009, cartonato, 

590 pagine, 24 euro

Si tratta, sostanzialmente, di una autobiografia. "Ho cercato di reprimere con onestà tutte le idee romantiche che mi riguardavano, ma ho seri dubbi di essere riuscito nell'intento. In ogni altro aspetto, tuttavia, questo è un racconto veridico e senza orpelli, della mia vita nella Terra del Fuoco", scrive l'autore nella sua Premessa. I genitori di Lucas, Thomas e Mary Bridges, erano approdati là dove oggi sorge Ushuaia, la città più a Sud del pianeta, lungo il Canale del Beagle scoperto pochi decenni prima dal capitano Fitzroy, tre anni prima che nascesse il loro secondogenito, dopo una figlia femmina, Mary, nata alle Falkland. Era il 1° ottobre del 1871. Thomas era un pastore protestante inglese ed era stato inviato dalla sua congregazione per fondare una missione che servisse di supporto ai primi coloni e all'evangelizzazione degli indigeni. La città praticamente era limitata a poche baracche e i Bridges furono tra i primissimi abitanti. Addirittura, Lucas fu il terzo bambino bianco a nascere nella Terra del Fuoco, nel 1874, dopo suo fratello Despard che lo precedette di un anno (che fu il primo) e il figlio di altri coloni, chiamati Lawrence. Thomas Bridges, uomo illuminato, fu a sua volta il primo a studiare e imparare la lingua degli Yaghan, la popolazione indigena. In seguito Lucas avrebbe preso contatto e imparato l'idioma anche delle altre tribù, come i bellicosi Ona che vivevano nell'interno. Il racconto che inizia da queste premesse narra, con rigore e puntualità, la storia della colonizzazione bianca della parte più meridionale della Terra del Fuoco, compiuta in anni pionieristici e in scenari selvaggi, da uomini che avevano pochissimi contatti con la madrepatria. Lucas crebbe a contatto con la natura, considerando i fuegini i suoi naturali vicini di casa, rispettandoli e venendo rispettato non senza dover superare prove e difficoltà di ogni tipo. Si susseguono racconti di naufragi, di guerre tribali, di cercatori d'oro, di litigi e di riappacificazioni, di tentativi fatti per strappare terra per i pascoli o per curare malattie, di banditi e di evasioni, di lotte politiche e di vittorie insperate. Mille volte Lucas rischia la vita o si trova costretto a superare momenti di grande pericolo e grande tensione, dovendo dimostrare ai fuegini di essere forte e abile come loro, per ottenerne l'amicizia, ma dovendo subire anche agguati e tradimenti. Ogni pagina sembra pronta per essere romanzata, e invece è tutto vero e il racconto è, al contrario, freddo e puntuale, come se Bridges tenesse (come teneva) a fornire le prove e i riscontri di quanto andava dicendo. Il libro è stato scritto dall'autore nel 1948, un anno prima della sua morte. Lo consiglio a tutti.

domenica 3 dicembre 2017

FRANKENSTEIN - L'IMMORTALE






FRANKENSTEIN - L'IMMORTALE

di Dean Koontz 
Sperling & Kupfer
2012, 342 pagine, 12 euro

Il nome dell'autore è già di per sé una garanzia che dovrebbe bastare a giustificare l'acquisto a scatola chiusa. Il titolo e l'evidente indicazione dell'argomento (la rivisitazione del mito di Frankenstein) incuriosiscono ancora di più. Si tratta di una serie di romanzi (finora ne sono usciti tre, di cui questo è il primo), scritti sulla base di un progetto che Koontz aveva realizzato per una serie televisiva che poi non è mai stata realizzata. L'idea alla base è quella di immaginare che Victor Frankenstein, lo scienziato protagonista del romanzo di Mary Shelley (1818), fosse un personaggio reale. Che cosa sarebbe successo se lui e la sua creatura non fossero morti fra i ghiacci del polo, come racconta la scrittrice? Koontz ce li presenta come sono (o potrebbero essere) oggi, ai giorni nostri: Victor è riuscito, con i suoi esperimenti, a garantire a se stesso l'immortalità (essendo un genio e un precursore della genetica e della biologia), ha cambiato nome, si è trasferito a New Orleans e continua a realizzare uomini artificiali. Adesso però riesce a "fabbricarne" di perfetti, facendoli crescere in vasche da cui escono creature perfette programmate per essergli fedeli. Da decenni, Victor sta sostituendo i suoi cloni (la Nuova Razza) agli uomini veri e propri, soprattutto infiltrandoli nei ruoli chiave dell'amministrazione e dei centri del potere. Però, capitano due novità: cominciano a crearsi cloni malfunzionanti che non gli ubbidiscono e ritorna sulla scena la prima creatura, quella descritta da Mary Shelley, che intende aiutare l'umanità a difendersi dal suo stesso creatore, mettendola sull'avviso. La prima a credergli è una poliziotta, Carson O'Connor... avvincente e intrigante. D'obbligo voler saper sapere come va a finire. Dato che però lo so già, scrivendo dopo aver letto tutta la saga, anticipo subito che il seguito non è all'altezza della prima puntata.

venerdì 1 dicembre 2017

IL RAGAZZO CATTIVO




Kate Summerscale
IL RAGAZZO CATTIVO
Einaudi
2017, cartonato
360 pagine, 21 euro

Kate Summerscale, narratrice di grande talento, ha trovato un genere letterario che le calza a pennello: la ricostruzione, storica e giornalistica al tempo stesso, di fatti di cronaca nera dell'Inghilterra di fine Ottocento. Il suo primo libro tradotto in Italia (nel 2008), "Omicidio a Road Hill House", ha vinto il Johnson Prize per la saggistica: è strepitoso e, se vi interessa leggerla, trovate una mia recensione qui.
Nel 2013 ha pubblicato "La rovina di Mrs Robinson. Storia segreta di una donna vittoriana" e nel 2016 ecco "Il ragazzo cattivo". In realtà il tredicenne Robert Coombes non è affatto, o non sembra, un ragazzo cattivo, finché non compie un unico, inspiegabile ed efferatissimo gesto: uccide a coltellate la mamma. Poi, come se nulla fosse, chiuso il cadavere nella stanza da letto, per una decina di giorni inventa plausibili scuse per giustificarne l'assenza agli occhi del vicinato e si occupa del fratellino Nattie. Siamo a Londra, in un quartiere povero ma non malfamato, nel 1895. Il padre di Robert è un marinaio assente da casa per lunghe settimane e quando viene informato dei fatti si trova a New York. Una volta scoperto il delitto (il cadavere della madre è ormai preda delle larve e il fetore si diffonde anche all'esterno della casa), Robert viene imprigionato e processato ma, a causa della giovane età, non può essere giudicato pienamente colpevole e viene chiuso in un manicomio (fortunatamente, teso alla riabilitazione dei pazienti e dove i detenuti godono di un trattamento umano) con la formula "finché Sua Maestà lo riterrà opportuno". 
Il giovane Coombes mantiene un contegno impassibile e dignitoso durante tutto il dibattimento, non nega i fatti, non prova a giustificarli. Non si riesce a capire perché un ragazzo che non è mai stato né ribelle né violento e che ha sempre, anzi, dimostrato una intelligenza superiore al normale abbia potuto accoltellare la madre, una donna che non sembrava più severa di tante altre e contro la quale nessuno aveva potuto testimoniare niente. Robert leggeva molti "penny dreadful, ovvero i romanzetti di paura antesignani dei fumetti, ma l'idea che potesse esserne rimasto influenzato venne scartata dai giudici di allora (chissà, forse quelli di oggi l'avrebbero presa in considerazione). Kate Summerscale ricostruisce con dovizia di particolari i fatti, la realtà sociale, economica e culturale in cui avvennero, il meccanismo giudiziario, l'atteggiamento del collegio giudicante e della giuria popolare, la vita in manicomio del giovane assassino. Poi, l'autrice (abilissima nel setacciare i giornali del periodo e gli archivi storici e nel raccogliere testimonianze in ogni dove) segue il percorso di redenzione di Robert: fu un paziente modello durante la detenzione, lavorò come sarto, studiò, imparò a suonare, e nel 1912 (all'età di trent'anni) venne rimesso in libertà. Si trasferì in Australia e tornò in Europa durante la Prima Guerra Mondiale essendosi offerto volontario: fu un soldato coraggioso, protagonista di atti di eroismo, e ricevette encomi e premi. Si sposò e adotto un figlio in Australia, dove morì nel 1949 rispettato a amato da tutti. Una vera redenzione, la sua, un percorso esemplare. Kate Summerscale conclude la sua indagine tentando di capire, con l'aiuto di alcuni psicologi, come possa essere accaduto nella vita di un uomo del genere il folle scatto che all'età di tredici anni lo portò a uccidere la madre. Vengono fornite varie ipotesi, nessuna a mio parere del tutto convincente. Certe cose forse non si possono spiegare. "Il ragazzo cattivo" si legge come un romanzo, ma sono tutti fatti veri.

domenica 26 novembre 2017

I SOTTERRANEI DEL MAJESTIC





Georges Simenon
I SOTTERRANEI DEL MAJESTIC
Adelphi
1998, brossurato
150 pagine, 10 euro

Leggere i gialli con il Commissario Maigret è una sorta di droga come seguire le puntate di una serie TV particolarmente coinvolgente. Simenon è uno scrittore di razza, uno di quelli che non deludono mai perché sanno affabulare e leggendoli ci si accorge che i suoi personaggi prendono vita, sembra di vederli. Maigret, poi, è uno psicologo di prima categoria e riesce a leggere dentro i suoi interlocutori anche quando sembra che faccia domande senza importanza, mentre sa già dove andare a parare. Mi piace poi il suo essere abitudinario, comprensivo e partecipe del dolore e delle difficoltà, e anche delle piccolezze e meschinità altrui, ma quando serve anche burbero e decisionista se c'è da raggiungere un obiettivo (Maigret non si crogiola e non perde tempo). "Le caves du Majestic" è il ventesimo romanzo della saga del commissario parigino dall'eterna pipa in bocca. Fu scritto da Simenon nel dicembre del 1939 a Nieul-sur-Mer, ma pubblicato soltanto nel 1942 e rappresenta il ritorno dello scrittore al suo personaggio più famoso dopo che, come Arthur Conan Doyle con Sherlock Holmes, aveva deciso di abbandonarlo.
In Italia uscì in volume grazie a Mondadori nel 1960, con il titolo fuorviante di "Maigret e il sergente maggiore". Protagonista del giallo è Prosper Donge, che lavora nella caffetteria dell’albergo Majestic, sugli Champs-Elysées. E' lui che scopre, nello spogliatoio del personale, chiuso dentro un armadio, il corpo senza vita di una cliente dell'Hotel, Mrs Clark, moglie di un ricco industriale di Detroit. Si scoprirà che in realtà la donna era di origine francesi e che in passato aveva avuto una relazione proprio con Donge, quando era una entraîneuse a Cannes. Anzi, da Prosper aveva avuto un figlio che aveva però fatto credere figlio dell'americano con cui si era subito sposata. Donde diventa subito, pertanto, il principale sospetto. La verità si rivelerà essere un'altra.
Quasi tutto il racconto è ambientato nel vasto hotel Majestic, come nel primo romanzo con Maigret, "Pietr il Lettone" (del 1931). Belle le descrizioni del lavoro frenetico dietro le quinte di un grande albergo del genere, e interessante la ricostruzione della Parigi degli anni Trenta. Tuttavia colpisce questa frase: “Plebeo fino all’osso, anzi fino al midollo, Maigret provava ostilità verso tutto ciò che lo circondava lì al Majestic”.

sabato 25 novembre 2017

LETTERE A UN GIOVANE POETA



Rainer Maria Rilke
LETTERE A UN GIOVANE POETA
Mondadori 
1997, brossurato
100 pagine, 6.20 euro

"Le opere d'arte sono di una solitudine infinita, e nulla può raggiungerle meno della critica": uno dei più citati aforismi di Rilke è contenuto proprio in questo piccolo, ma aureo, libretto. Rainer Maria Rilke in realtà si chiamava René, ma si cambiò nome poco più che ventenne per dare un taglio con il passato vista l'infanzia infelice e solitaria che aveva condotto a Praga, dopo essersi trasferito nella più vivace Monaco. Fu solo l'inizio di un irrequieto spostarsi in giro per l'Europa (soggiornò anche in Italia e in Russia prima di stabilirsi in Svizzera) nonostante i pochi mezzi e la salute cagionevole: era deciso però a seguire la sua vocazione artistica e soltanto quella, perciò visse scrivendo nonostante in certi periodi della sua vita, come racconta egli stesso proprio in queste "Lettere a un giovane poeta", non avesse neanche i soldi per comprarsi i suoi libri. Tuttavia, prima l'aiuto di uno zio, poi uno stipendio corrisposto da un editore, gli permisero di essere ciò che voleva e soltanto quello: un poeta. A me è sempre stato simpatico fin da quando mi imbattei alle elementari in una sua poesia sul libro di lettura, "Il risveglio del vento":

Nel colmo della notte, a volte, accade
che si risvegli, come un bimbo, il vento.
Solo, pian piano, vien per il sentiero,
penetra nel villaggio addormentato.

Striscia, guardingo, sino alla fontana;
poi si sofferma, tacito, in ascolto.
Pallide stan tutte le case, intorno;
tutte le querce mute.

Le dieci lettere di Rilke raccolte in questo Oscar sono state tutte indirizzate, tra il 1903 e il 1908, a Franz Faber Kappus, che le ha pubblicate nel 1929 (tre anni dopo la morte del mittente, vittima della leucemia poco più che cinquantenne). Kappus, studente nella stessa accademia militare frequentata (suo malgrado) anche da Rilke, aveva scritto al poeta inviandogli in lettura alcune sue composizioni per averne un giudizio. Rilke gli rispose da Parigi con una garbata missiva che comincia così: "Non posso addentrarmi nella natura dei suoi versi, poiché ogni intenzione critica è troppo lungi da me. Nulla può toccare tanto poco un'opera d'arte quanto un commento critico: se ne ottengono sempre più o meno felici malintesi". Fra il giovane poeta e il più maturo autore nizia una corrispondenza che ha per tema proprio la poesia e che è bellissima da seguire. "Lei mi domanda se i suoi versi siano buoni. Lo domanda a me. Prima lo ha domandato ad altri. Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v'è che un mezzo. Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radivi nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere?".

lunedì 20 novembre 2017

ORIGIN





Dan Brown
ORIGIN
Mondadori
2017, cartonato
560 pagine, 25 euro

Se qualcuno mi chiedesse perché, dopo aver letto gli ultimi romanzi di entrambi, non comprerò il prossimo di Paolo Cognetti (Premio Strega 2017) mentre certamente divorerò quello che scriverà Dan Brown (che mai vincerà alcun premio letterario), risponderei così: perché Cognetti (che ho cito soltanto perché è il più recente illustre premiato con la medaglia d'oro) non mi fa venire voglia di andare avanti pagina dopo pagina, mentre Dan Brown sì. Mi rendo conto che il limite è tutto mio, se prima del bello stile viene l'interesse per una trama che avvince e coinvolge, però che ci devo fare? La storia dell'amicizia ritrovata fra due ex ragazzi che si sono conosciuti durante le vacanze estive mi fa sbadigliare, quella della scoperta dell'origine della vita che mette in discussione tutte le credenze religiose mi appassiona. Sarò strano, ma è così. Del resto Dan Brown ha il talento (dal mio punto di vista) di saper scegliere proprio gli argomenti che maggiormente mi intrigano: Dio, il destino dell'umanità, una diversa interpretazione dei Vangeli, l'eterno femminino, la sovrappopolazione, le religioni, le opere d'arte, l'entropia, gli sviluppi della tecnologia (ho messo nel calderone le tematiche dei romanzi più noti dello scrittore statunitense). Premesso tutto ciò, il nuovo titolo di Brown, "Origin", che riporta sulle scene il personaggio di Robert Langdon, insegnante di simbologia religiosa ad Harvard, non è il migliore della sua produzione, pur facendosi leggere tutto d'un fiato nonostante le oltre cinquecento pagine. Lascia tuttavia soddisfatti perché effettivamente, alla fine della storia, le ipotesi che si propongono sulll'origine della vita e sul destino dell'uomo sulla Terra sono non soltanto plausibili ma perfino probabili. Come nel caso di "Inferno" riguardo alla sovrappopolazione, Brown ha (secondo me) perfettamente ragione. Del resto le stesse idee, più o meno, sono state sostenute letterariamente da Isaac Asimov (certi suoi racconti come "L'ultima domanda" o "Biliardo darwiniano" sono del tutto in linea), e scientificamente da parecchi studiosi le cui ricerche sono alla base della documentazione che Brown ha poi rimaneggiato per trasformarle in romanzo. Dunque, lo scrittore dà piena soddisfazione alle curiosità iniziali da lui stesse solleticate. Il nome di Asimov risulta particolarmente significativo dal momento che in "Origin" compare un personaggio insolito: un programma (di computer) senziente chiamato Winston, che rende il romanzo a pieno titolo un giallo fantascientifico avvicinabile ai racconti asimoviani con Multivac o con il detective robot Daniel Olivaw. Quel che un pochino lascia perplesso è il fatto che di nuovo, sostanzialmente, la trama ricalchi il deja vu di altri romanzi: Robert Langdon è in fuga, braccato, con una donna al suo fianco (in questo caso una certa Ambra), seguendo il filo di una sorta di caccia al tesoro destinato a trovare la soluzione a un appassionante quiz. Magari questa volta si poteva sperare in qualcosa di diverso, ecco. Poi sa un po' di "americanata" (uso sempre malvolentieri questo termine, ma in questo caso ci vuole) lo show con cui uno scienziato, Edmond Kirsch, intende annunciare al mondo la scoperta che cambierà tutto, in una sorta di grande party in collegamento con tutti i canali multimediali e con i social. Ecco un punto chiave, in effetti: il romanzo mette in evidenza quanto sia diventata importante la comunicazione via Internet. Però, suvvia, gli scienziati le loro scoperte le presentano in un altro modo. Strano anche che Kirsch fosse uno studioso solitario e indipendente e che soltanto lui fosse a conoscenza dei risultati che vuole, a un certo punto, rendere pubblici tramite un evento in stile hollywoodiano. Poiché qualcuno lo uccide prima della rivelazione, la caccia al tesoro condotta da Langdon punta a scoprire la password che dà accesso alla memoria del suo computer. Nella realtà gli scienziati lavorano in equipe e non c'è computer che un buon tecnico non riesca a violare anche senza password. Stupisce infine l'ambientazione spagnola, e soprattutto il ricorso una famiglia reale (nel senso del Re) del tutto irreale. Dato che l'universo di Langdon dovrebbe essere il nostro, e non una realtà parallela (almeno, vista l'attenzione dell'autore nel ricostruire luoghi e figure storiche), o non si fa cenno ai monarchi madrileni (utilizzando figure fittizie del loro entourage) o li si mette in scena con i loro veri nomi e cognomi.