martedì 30 ottobre 2018

IL DIAVOLO, CERTAMENTE




Andrea Camilleri
IL DIAVOLO, CERTAMENTE
Mondadori
2012, 170 pagine
brossurato, 8.50 euro


Di Camilleri penso tutto il bene possibile e lo ritengo autore di alcuni tra i romanzi meglio scritti, intelligenti e divertenti che abbia letto negli ultimi anni, per cui non sarà un appunto negativo né a compromettere la mia ammirazione verso di lui, nè, men che mai, a scalfire di un micron quella del suo vastissimo pubblico. Però, mi sarà consentito dire che, fra tanti suoi bei libri, questo mi vede soddisfatto soltanto a metà. Eppure, sono partito convintissimo della bella idea che c'è alla base della raccolta, e felicissimo di trovarmi fra le mani, una volta tanto, non un'unica, lunga storia, ma trentatré brevissimi "divertissiment" (perché di questo, alla fine, si tratta). Il titolo è preso parzialmente in prestito, con una modifica non priva di significato, da quello di un film di Bresson, noto in Italia come "Il diavolo, probabilmente...". Il fil rouge che lega fra di loro tutti i trentatrè raccontini (soltanto quattro o cinque pagine l'uno) è il fatto che il diavolo talvolta ci mette lo zampino e che comunque insegna a far le pentole ma non i coperchi. Per cui, gli amanti clandestini vengono scoperti, lo scrittore che cerca di stroncare il rivale con recensioni al vetriolo ottiene proprio grazie ad esse che l'altro vinca il Premio Nobel, l'infallibile killer che decide, per la prima volta un vita sua, di salvare la vita di una sua vittima predestinata, fa sopravvivere un crudele dittatore futuro responsabile di un genocidio, e così via. Talvolta i casi sono eclatanti, come in quest'ultimo esempio, molto più spesso sono minimali, comunque sia si tratta sempre di finali tragicomici perché si verificano eterogenesi dei fini, o imprevedibili incidenti, o combinazioni fortuite che mandano a monte le trame o i propositi dei protagonisti, buoni o cattivi che siano. Raccontato così, il libro sembra decisamente divertente: in effetti, ripeto, l'idea è ottima e l'allestimento (il tono ironico, la lunghezza dei racconti, la veste tipografica) è perfetto. Però qualcosa, opera del diavolo (certamente), non fa filare tutto per il verso giusto. La lingua di Camilleri è essenziale, il fraseggio armonico, il periodare pulito, l'aggettivazione perfetta. Sembra tuttavia di trovarsi di fronte a dei soggetti, a delle mini-trame di racconti più lunghi, da sviluppare. Non si riesce a essere coinvolti, come quando si leggono i riassunti dei film, che ci dicono quel che racconta la pellicola, ma non riescono a comunicarcene le emozioni. Inoltre, non tutti e trentatré i racconti sono efficaci allo stesso modo. Anzi, quelli davvero divertenti sono la minoranza. La maggior parte sono ripetitivi (i casi di relazioni extraconiugali scoperti da mogli ricche che poi cacciano il marito fedifrago, destinato a ridursi sul lastrico sono una sorta di tormentone). Alcuni sono assurdi o insulsi. Ricordo di aver sempre avuto un'autentica passione per i racconti dal "finale a sorpresa", per esempio i "racconti del terrore" a fumetti presentati da Stan Lee in una fortunata serie di Eureka Pocket, o i tanti scritti da Isaac Asimov o da maestri del genere (Roald Dahl, Fredric Brown). Io stesso, quando ho messo insieme un'antologia di brevi testi accumulati nel corso degli anni,  erano appunto così (il libro è "Dall'altra parte", edito da Cut-Up). Ecco, dal mio punto di vista di grande lettore di "finali a sorpresa", e piccolo scrittore di raccontini del genere, le trovate di Camilleri mi sono parse un po' deludenti. Mi azzardo a dire qualcosa di cui, lo so già, mi dovrei vergognare (ma mi si perdoni l'affermazione valutandola come tesa soltanto a spiegare meglio il senso del mio giudizio), ma, pulizia formale e stile perfetto a parte, qualche ideuzza un po' più brillante per dimostrare la perfidia del diavolo, persino io sarei riuscito ad averla.

lunedì 29 ottobre 2018

IL VOLO DELL'ELEFANTE



Stefano Bidetti
IL VOLO DELL'ELEFANTE
L'Erudita
2018, brossurato
265 pagine, 21 euro


Stefano Bidetti (romano, classe 1960, una laurea in Scienze Politiche) è un infaticabile organizzatore di eventi e di iniziative editoriali amatoriali in ambito fumettistico, appassionato di cinema, letteratura, illustrazione e ormai definitivamente votato a coltivare la sua vena artistica come sceneggiatore di storie a fumetti (finora tutte brevi e circostanziate) ma anche, come dimostra questo suo primo romanzo, di scrittore di narrativa, dopo essersi cimentato a lungo come saggista specializzato nella Nona Arte. A dispetto della sua preferenza per le tematiche avventurose (la sua principale passione fumettistica è Zagor), per "Il volo dell'elefante", la sua opera prima in ambito romanzesco, ha scelto il terreno dell'introspezione psicologica, indagando sui delicati temi dell'amicizia,, dell'amore, della crescita, della competizione fra amici. E' ben vero che il romanzo comincia subito dopo un omicidio e con la pistola che l'assassino, rientrato in casa dopo il delitto, getta sul letto. Però, tutto il resto è una dettagliata ricostruzione del percorso che ha condotto Roberto a uccidere l'amico Alex, a lui legato fin dai banchi di scuola. E chi immagina di scoprire un movente forte, clamoroso, eclatante (un violento litigio, soldi rubati, droga, gravi contrasti famigliari) dovrà ricredersi perché alla fine non c'è nemmeno un tradimento dovuto a una donna portata via da uno ai danni del'altro. O meglio: una donna di mezzo c'è: Francesca. E un tradimento avviene. Ma non è per quello (o solo per quello) che Roberto uccide (pur avendo forse, riguardo a Francesca, più motivi Alex). Oltre a raccontare la storia di un'amicizia durata un'intera fase della vita (l'adolescenza), Bidetti ricostruisce anche il clima di anni politicizzati (il decennio dei Settanta) con occupazioni di scuole, manifestazioni, manganellate poliziesche, senza però politicizzare il romanzo. Romanzo che ha il difetto di essere più scritto (e più scritto del necessario) che dialogato, ma di questa colpa il buon Bidetti si emenderà di sicuro con la sua opera seconda.

domenica 28 ottobre 2018

JESHUA E GESU'





Claudio Saporetti
JESHUA E GESU'
Sellerio
2000, brossurato

200 pagine, 15000 lire

L'autore è un orientalista, docente di Assirologia all'Università di Pisa, epigrafista e archeologo, e dunque conosce molto bene la realtà dell'Antico Medio Oriente e le lingue che vi si parlavano, a partire dall'ebraico e dall'aramaico, fino ad arrivare al greco. Conosce bene anche i testi biblici e i Vangeli, come dimostra nel saggio di cui stiamo parlando, in cui usa, volutamente, le grafie più giuste per i nomi dei personaggi (appunto Jeshûa al posto di Gesù, per dirne uno). Il sottotitolo del libro avverte: "Appunti interrotti sui Vangeli canonici", e fra poco spiegherò perché "interrotti". Il proposito dell'autore era di rileggere i Vangeli con l'occhio disincantato del laico "che non si fa deviare da pregiudizi fideistici". Ma anche, spiegare ai meno esperti delle fisime mediorientali tutto il substrato di tradizioni semite costrette a fare i conti con quelle indoeuropee. Perché il cristianesimo è su questo compromesso che si basa, pare. Dunque, l'ipotesi di lavoro era questa: esaminare ogni racconto evangelico, per lo più contraddittorio nelle diverse versioni date dai quattro evangelisti, cercando di dedurre come potessero essere andati storicamente e logicamente i fatti narrati, escludendo i miracoli. Si comincia con l'Annunciazione, spiegata in modo affascinante, e si procede in un crescendo di rivelazioni. Personalmente trovo plausibilissima, per esempio, l'ipotesi che l'episodio di Gesù dodicenne fra i dottori sia avvenuto quando Giuseppe e Maria sono andati a riprendere il ragazzo affidato, per la sua educazione, al parente Zaccaria, sacerdote del Tempio. La lettura è davvero accattivante, dotta e informata senza essere ostica e specialistica. Sennonché, arrivati al commento delle Beatitudini, e cioè a pagina 154, Saporetti interrompe bruscamente il suo libro così promettente. E cambia di colpo registro. "Mi è successa una disgrazia", spiega, "e questa disgrazia ha coinciso con la fine del mio tentativo. Non scriverò più niente sui Vangeli". All'autore è morta la moglie. Al che, distrutto, ha cominciato a interrogarsi sulla possibilità di una vita oltre la morte, sulla possibilità di un contatto. "All'idea dell'annichilimento totale di una persona adorata mi sono ribellato, e sono ricorso anch'io all'oppio dei popoli, alla speranza che, in qualche modo, la vita perduta in realtà non fosse perduta, ma da qualche parte vivesse". Pur senza abbracciare la fede cristiana, Saporetti comincia a disquisire sull'argomento, facendo le più varie (e anche ragionevoli) ipotesi. Però, il tema originale viene abbandonato. E questo squalifica il libro, che poteva essere pubblicato senza l'aggiunta finale; oppure le riflessioni sulla vita e sulla morte potevano essere ampliate e pubblicate a parte. Un libro interrotto, insomma. Come un giallo in cui l'autore non ci rivela chi è l'assassino.

sabato 27 ottobre 2018

ZANNA BIANCA



Jack London
Caterina Mognato
Walter Venturi
ZANNA BIANCA
Mondadori Comics
2018, cartonato
60 pagine, 7.90 euro


Dal romanzo di Jack London del 1906, ecco un adattamento a fumetti realizzato per la Francia da autori italiani e pubblicato infine anche nel nostro Paese nella collana "La grande letteratura a fumetti" di Mondadori Comics. In questo caso, e dal mio punto di vista, il principale motivo di interesse consiste nel fatto che i disegni sono di Walter Venturi, disegnatore di punta dello staff di Zagor. Abituato a disegnare foreste, pellerossa, Wild e scenari del Grande Nord, Venturi gioca in casa. Bravo, come al solito. Del film si dice che "era meglio il libro", in questo caso è ovvio che la prosa di London e gli spazzi del romanzo danno partita vinta all'opera letteraria. Resta però l'utilità di un adattamento di questo tipo sia per rinfrescare la memoria per chi ha letto "Zanna bianca" e ne recupera la trama e suggestioni grazie a un riassunto ben fatto , sia per chi non l'ha letto ma, per mezzo della più agile versione a fumetti, se ne fa un'idea (e magari decide di approfondire). Ottimo volume da mettere in mano a un ragazzo appena più curioso della media. Come sceneggiatore avrei dato un po' di spazio in più alla sequenza iniziale della slitta i cui cani e i cui occupanti uomini vengono uccisi dal branco dei lupi, una delle scene più drammatiche che io abbia mai letto, ma capisco che sia anche la più politicamente scorretta.

venerdì 26 ottobre 2018

L'OMBRA DEL CAMPIONE




Luca Crovi
L'OMBRA DEL CAMPIONE
Rizzoli
2018, brossurato
210 pagine, 18 euro

Il massimo esperto di gialli e di noir italiani è sicuramente Luca Crovi, saggista specializzato sull'argomento e infaticabile curatore, organizzatore e conduttore di eventi a tema. Fino a poco tempo fa gestiva anche una trasmissione radiofonica RAI dedicata appunto al poliziesco e al mistery in tutte le sue coniugazioni. E' ferratissimo anche sul thriller internazionale, ovviamente, amico personale com'è dei più grandi scrittori del genere di tutto il mondo, da Joe Lansdale a Wolf Dorn, per citare due nomi. Quando ho saputo che stava scrivendo un libro con protagonista il commissario Carlo De Vincenzo, mi sono allertato per poterlo leggere appena fosse uscito: De Vincenzi è infatti un personaggio del giallista Augusto De Angelis (1888-1944), creato nel 1935 con il romanzo "Il banchiere assassinato" (in tutto sarebbero stato quindici i libri a lui dedicati). Uno dei primi investigatori del giallo italiano, insomma. Negli anni Settanta fu interpretato sul piccolo schermo da Paolo Stoppa. Non un detective alla Sherlock Holmes, ma piuttosto alla Maigret, abituato a raccogliere confidenze dalle portinaie e a frequentare i quartieri popolari di Milano, la città dove vive e opera. Ecco, è questo aspetto che Luca Crovi ha particolarmente sottolineato nel riportare in libreria il poliziotto di De Angelis, rendendolo non-protagonista di un non-giallo, perché (e in questo consiste la trovata alla base de "L'ombra del campione") non c'è un caso preciso su cui indagare, un solo inquietante mistero da risolvere, ma ci sono tante spaccati della realtà quotidiana, politica e sociale della Milano del 1928. Il campione a cui si riferisce il titolo è Giuseppe Meazza, il calciatore, che qui è agli esordi e si allena nei campetti di periferia nei pressi di San Vittore. Anche su di lui vengono raccontati alcuni aneddoti che Crovi ha saccheggiato qua e là. De Vincenzi è il fil rouge che unisce più storie, piccole e grandi, testimone più che protagonista, anche quando si trova coinvolto, suo malgrado, in un attentato al Re in visita alla Fiera. Fallito, ma che costò la vita a decine di persone. Le indagini vengono subito prese in mano da investigatori del regime (siamo nei primi abbi del fascismo), non è il commissario che deve indagare, e infatti non si giunge a scoprire quale sia la verità. Crovi mostra con abilità il clima da anni di piombo della Milano dell'epoca (attentati del genere si ripetevano con drammatica frequenza), ma soprattutto mostra la realtà sociale di una città dinamica e in rapido sviluppo dopo gli anni della Prima Guerra Mondiale, ma che accanto a meraviglie come l'idroscalo e il planetario faceva i conti anche con la povertà atavica di certi quartieri popolari e con una malavita diffusa, solidale però e ben diversa dalla brutalità dei criminali di oggi. Tanti racconti uniti in una unica rassegna, che pare continuerà in altri romanzi.

venerdì 19 ottobre 2018

VITA DI SALOMONE



Alberto Jori
VITA DI SALOMONE
Editrice Ave
1994, brossura,
80 pagine, 10.000 lire

Un testo agile, brillante, ben illustrato e non confessionale: si parla di Salomone come personaggio storico. Storico, ovviamente, sulla base soprattutto di quello che la Bibbia racconta, in special modo nel Primo Libro dei Re, anche se poi si parla di lui anche nel libro di Samuele e nel Siracide. Nella Bibbia sono anche contenuti oltre tremila proverbi a lui attribuiti, poi chissà se saranno davvero suoi: fatto sta che è diventata proverbiale anche la sua saggezza. Va detto che il nostro modo di dire "sentenza salomonica" intendendo un giudizio che viene incontro a entrambe le parti, accontentandole o scontentandole tutte e due, è sbagliato. La locuzione si riferisce al famoso episodio narrato nel terzo capitolo del Libro dei Re in cui si presentano a Salomone due prostitute in lite per un figlioletto: ciascuna diceva che era suo (convivevano, avevano un bambino ciascuna, ma a una era morto il proprio e aveva sostituito il morto con l'altro vivo). Le testimonianze erano discordi, così il Re deliberò di far tagliare il piccolo in due parti con la spada. La vera mamma proruppe in pianti dicendo che allora no, non era suo, era dell'altra: così Salomone seppe che quella era la madre, quella che piangeva, e le restituì il figlio. Come si vede non è un giudizio equidistante, è un giudizio che accontenta una delle parti, quella che ha ragione. A me colpisce il fatto che una questione del genere possa essere stata portata di fronte al Re, come se non ci fossero a Gerusalemme dei giudici per l'ordinaria amministrazione, ma tant'è, le leggende sono leggende. Del resto c'è molto di leggendario, riguardo a Salomone: non solo la sua saggezza, ma anche la sua ricchezza, il suo potere, la costruzione del Tempio, la visita della Regina di Saba (leggendaria a sua volta), il numero spropositato di amanti e concubine (il che dimostra che forse tanto saggio non era). Tutto sfuma nella leggenda perché stando ai fatti regnò per quarant'anni tra il 970 e il 930 avanti Cristo. Che sia stato un abile politico è fuor di discussione: seppe sgominare diversi complotti, mantenne il potere quasi senza guerre, dotò il suo popolo (un popolo di pastori, essenzialmente) di una flotta, di un esercito di carri, di una rete commerciale, di edifici pubblici. Arricchì immensamente Gerusalemme, grazie a una efficiente organizzazione carovaniera. Fu aperto alle altre culture e consentì il culto ad altri dei (le sue concubine, giunte da terre lontane, sembra che sacrificassero regolarmente alle loro divinità nel Palazzo reale stesso), il che sollevò  dei malumori. In vecchiaia perse il senno e pare che si sia lasciato andare. Il regno, dopo la sua morte, comunque si sfaldò per colpa del figlio: segno che anche l'uomo più saggio nulla può contro la stupidaggine altrui.

venerdì 12 ottobre 2018

LA SFINGE DORMIENTE



John Dickson Carr
LA SFINGE DORMIENTE
Giallo Mondadori
brossurato, 2018
252 pagine, 5.90

Confesso una volta di più la mia passione per il giallo classico e, fra gli autori del giallo classico, dopo l'inglese Agatha Christie per me viene subito lo statunitense John Dickson Carr (1906-1977). Più cervellotico e meno letterario, più superficiale nel tratteggio dei personaggi, ma intrigante e mefistofelico. Di solito i romanzi di Dickson Carr si basano su un delitto avvenuto nella cosiddetta "camera chiusa", sottogenere del giallo in cui lo scrittore americano è assoluto maestro. Spesso hanno come protagonista il corpulento criminologo Gideon Fell. Nel caso de "La sfinge dormiente" Fell c'è, ma la camera chiusa ha un ruolo di secondo piano in quanto si tratta di una cappella mortuaria, assolutamente inaccessibile e con i sigilli intatti, in cui comunque qualcuno sembra entrato a rovesciare le casse da morto e a lasciare una boccetta di veleno. Non è lì che è stato commesso il delitto. La spiegazione della violazione di questa cripta è, secondo me, il pezzo forte del romanzo (peraltro, una bella trovata del tutto plausibile), mentre il resto, pur gradevole, nulla aggiunge ai meriti di Dickson Carr. Non è il suo capolavoro, per intenderci (quello, a mio parere, è "Le tre bare"). Siamo nell'immediato secondo Dopoguerra, e Donald Holden, un militare tornato dalle missioni di intelligence al fronte scopre che Margot, a moglie di un suo caro amico è morta sei mesi prima e che Celia, la di lei sorella, di cui Holden è innamorato, pur avendo perso i contatti per gli eventi bellici, è impazzita. Vede i fantasmi, racconta strane storie e sostiene che Margot è stata uccisa dal marito violento, oppure da lui spinta al suicidio. Il medico che ha esaminato il cadavere sostiene che si tratti di morte naturale. Qual è la verità? Si legge tutto d'un fiato, e alla fine ci si raccapezza nonostante il gran numero di fatti misteriosi.

mercoledì 10 ottobre 2018

CINNAMON WELLS






Chuck Dixon
Mario Alberti
CINNAMON WELLS
Sergio Bonelli Editore
cartonato, 2018

52 pagine, 8.90 euro


Il principale motivo di interesse di questo cartonato (fermo restando che Tex è sempre interessante e che questa collana di volumi alla francese, ma da edicola, merita attenzione per ogni sua uscita) consiste nel nome dello sceneggiatore: Chuck Dixon. Ovvero, uno dei più prolifici scrittori di fumetti americani. Classe 1954, è noto soprattutto per aver gestito per anni personaggi come il Punitore e Batman. Abituato alla brevità dei comic book, Dixon se la cava egregiamente nel concentrare un bel po' di avvenimenti, trame e sottostare, nelle 46 tavole a sue disposizione. Si limita a usare il solo Tex, senza gli altri tre pards, forse per poter raccontare una storia western con la sola figura del cavaliere solitario senza impelagarsi in tutti gli annessi e connessi della mitologia texiana, e va benissimo così. Il Ranger giunge in un villaggio, Cinnamon Wells, dove è appena stata compiuta una rapina costata la vita allo sceriffo del luogo. Si unisce così alla posse guidata dal giovane e inesperto vice, che però si squaglia appena è chiaro che i banditi, guidati da un esperto apache, hanno preso la strada del deserto: nessuno se la sente di proseguire l'inseguimento, tranne Tex e il malcapitato uomo con la stella senza esperienza. Il problema consiste nel trovare l'acqua, visto che l'unico pozzo su cui si poteva fare affidamento è stato fatto saltare dai proprietari di un ranch per speculare sulla sorgente disponibile sui loro terreni. Anche i banditi hanno i loro problemi: a uno di loro muore il cavallo e il tipo viene abbandonato senza troppi complimenti dai soci di malaffare. Una lettura avvincente e gradevole.

sabato 6 ottobre 2018

BARBA E BARNABA



Ugo D'Orazio
BARBA E BARNABA
VITA DA CLOCHARD
Sbam!Libri
2017, brossurato

64 pagine, 8.90 euro

Di primo acchito mi è sembrato di ritrovare Brant Parker, il cartoonist americano (1920-2007) autore, con Johnny Hart, di Wizard of Id e, da solo, del legionario Crock. E' evidente che Ugo D'Orazio, animatore e videografico che pubblica le sue strisce sul sito "Globalist.it", ne ha assorbito la lezione al punto da poterne sembrare un allievo. O il fratello brutto, dato che Parker è inarrivabile. Un altro paragone che mi è venuto in mente è con una strip che pochi conoscono, "Gummer Street", di Phil Krohn (1946), un capolavoro pubblicato negli anni Settanta in Italia sugli "Eureka Pocket", con protagonista la povera gente di un povero quartiere di una metropoli americana. Anche Barba e Barnaba sono poveri, anzi, peggio, sono barboni. Passano le serate guardando un televisore rotto abbandonato in una discarica, mangiano "sbobba marrone" alla mensa dei senzatetto, vivono (sopravvivono) di espedienti. Francesco Artibani scrive nella sua introduzione che fare una striscia è difficile, serve una sintesi coordinata nei testi e nei disegni, occorrono i giusti tempi comici. Mi pare che D'Orazio queste doti le abbia, e se pecca di originalità grafica è brillante nelle battute. Insomma, fa ridere. Che è esattamente quello che si richiede a una strip. La cui arte è difficile, appunto, e meno male c'è ancora chi la coltiva. Meno male che c'è anche chi le strisce le stampa su carta, come Spam!Libri, così che ne resti traccia quando tutto ciò che c'è on line sparirà.