Georges Simenon
L’UOMO CHE GUARDAVA PASSARE I TRENI
Adelphi
Settima edizione settembre 1995
brossurato - 220 pagine - lire 11.000
Georges Simenon, uno dei più grandi scrittori del XX secolo, non significa solo Maigret. Al contrario, i suoi romanzi migliori non hanno come protagonista il commissario parigino. Trovo straordinario questo "L'uomo che guardava passare i treni", la storia di Kees Popinga, grigio borghese che ha una linda casetta e una bella famigliola in Olanda, conduce una vita assolutamente monotona e rispettosa delle convenzioni. Fuma sempre i soliti sigari sulla solita bella poltrona, va sempre al solito circolo a giocare a scacchi facendo ritorno sempre alla solita ora, si veste sempre al solito modo, scambia poche parole con la moglie e con la figlia e con la donna di servizio, lavora in modo freddo e scrupoloso, non si lascia mai andare, è perfino moralista e guarda con disgusto i bar dove ci si ubriaca e i postriboli dove si scopa. Ha solo un vizio: guarda passare i treni, di notte, e si chiede chi siano e dove vadano i viaggiatori dietro le luci accese dei vagoni letto. Poi, una sera, tutto cambia. Da qui in poi, occhio allo spoiler (lo scrivo per pridenza, ma si tratta di un romanzo molto noto, scritto nel 1938).
Incontra il titolare della sua ditta che sta fuggendo con gli ultimi soldi rimasti, e scopre che per anni, sotto il suo naso, l'uomo ha truffato soci e dipendenti e ha portato la società alla bancarotta. L'uomo, prima di eclissarsi, gli rivela come il mondo non vada come lui creda. Lui è l'amante della moglie del farmacista e frequenta una prostituta ad Amsterdam. Tutti truffano tutti, tutti tradiscono tutti, e la stessa moglie di Kees potrebbe non essere fedele come lui crede: perchè se no sua figlia avrebbe i capelli e gli occhi scuri, lì in Olanda dove tutti, Kees compreso, sono biondi? Kees allora, come allucinato, fugge a Parigi. Smette di guardare passare i treni, ci sale sopra. A Parigi comincia a vivere fuori da ogni regola e convenzione, e finisce pure per uccidere una prostituta e viene braccato dalla polizia. A questo punto vale la pena di leggere la sua "confessione", scritta a un giornale parigino durante la latitanza, così come Simenon ce la presenta: "Pare che per sedici anni io sia stato un buon marito e un buon padre. Non è vero. Se non ho mai tradito mia moglie è perché si sarebbe subito saputo e la signora Popinga mi avrebbe reso la vita impossibile. Non avrebbe dato in escandescenze, avrebbe fatto quel che era solita fare quando, per avventura, compravo qualcosa che non era di suo gradimento oppure fumavo un sigaro di troppo. Passava due o tre giorni senza rivolgermi la parola, aggirandosi per casa con aria afflitta. Ho preferito evitare queste scene e ci sono riuscito, a patto di contentarmi, per sedici anni, di una sera la settimana dedicata agli scacchi e di una partita a biliardo di tanto in tanto. A casa mia, o per meglio dire a casa di mia moglie, per sedici anni ho invidiato quelli che escono la sera senza dire dove vanno, quelli che si vedono passare a braccetto di una bella donna, quelli che prendono un treno e vanno via. Quanto a essere stato un buon padre, non lo credo. Se si afferma che sono un buon padre solo perché invento per loro nuovi giochi, ci si inganna. Mi sono sempre annoiato. Ho continuato a lavorare per abitudine, marito di mia moglie e padre dei miei figli per abitudine, perché non so chi ha deciso che così doveva essere e non altrimenti. E se io, proprio io, avessi deciso altrimenti? Non si può immaginare fino a che punto, una volta presa questa decisione, tutto diventi semplice. Non occorre più occuparsi di quel che pensa il Tale o il Talaltro, di quel che è permesso, di quel che è proibito, dignitoso o meno, corretto o scorretto. Dicono che sono fuggito come un pazzo. Ma possibile che nessuno capisca come prima' qualcosa in me non funzionava? Non sono né pazzo né maniaco! Solo che a quarant'anni ho deciso di vivere come più mi garba senza curarmi delle convenzioni né delle leggi perché ho scoperto un po' tardi che nessuno le osserva e che finora sono stato gabbato. Per quarant'anni mi sono annoiato. Per quarant'anni ho guardato la vita come quel poverello che col naso appiccicato alla vetrina di una pasticceria guarda gli altri mangiare i dolci. Adesso so che i dolci sono di coloro che si danno da fare per prenderli. Dite pure che sono pazzo, se questo vi fa piacere. I pazzi siete voi, come lo ero io prima di fuggire". Kees Popinga, al termine del romanzo, viene arrestato e chiuso in manicomio. Dove la moglie lo va a trovare regolarmente tutti i primi martedì del mese.