Jacopo Rauch
Moreno Burattini
Gallieno Ferri
Gianni Sedioli
Marco Verni
IL GIORNO DELL'INVASIONE
Sergio Bonelli Editore
brossura, 2022
544 pagine, 17 euro
Il sesto e penultimo volume della collana "Zagor contro Hellingen" raccoglie tre avventure dello Spirito con la Scure, uscite in edicola nel 2015, divise in cinque diversi albi della serie Zenith, ma collegate fra loro in stretta continuità. La prima "Il giorno dell'invasione" è stata scritta da Jacopo Rauch e illustrata da Gallieno Ferri, disegnatore anche della seconda storia, "L'eredità di Hellingen", sceneggiata da me. Io e la coppia formata da Gianni Sedioli (matite) e Marco Verni (chine) abbiamo invece firmato la terza parte, "Resurrezione".
I precedenti due volumi della collana dedicata
all’interminabile lotta di Zagor contro la sua nemesi per antonomasia, il
professor Hellingen, avevano proposto le “prove d’autore” di un paio di
sceneggiatori d’eccezione, Tiziano Sclavi e Mauro Boselli. Entrambi, chiamati a
confrontarsi con il mad doctor ne
hanno offerte versioni non soltanto molto personali, ma anche piuttosto diverse
dal modello originario, quello del creatore del personaggio, Guido Nolitta (lo
pseudonimo con cui l’editore Sergio Bonelli firmava i testi delle sue storie a
fumetti). L’intento era, evidentemente, duplice: da un lato realizzare un
prodotto autoriale, in cui fosse riconoscibile la “calligrafia” di scrittori
consci del proprio talento, dall’altro sorprendere e spiazzare i lettori
portando lo scienziato pazzo verso un’evoluzione che fosse la meno prevedibile
possibile. Questo volume, invece, presenta storie, di autori decisi a riportare Hellingen (pur
senza rinnegare nulla degli sviluppi precedenti) a una maggiore aderenza alla
nolittianità. Sia Jacopo Rauch che il sottoscritto abbiamo
infatti voluto ricollegarci alle vicende narrate da Sergio Bonelli nella sua
ultima storia zagoriana, “Magia senza tempo”, ripartendo esattamente dal punto
in cui si concludeva quell’avventura, recuperando l’Hellingen che avevano visto
scomparire in un lampo di luce all’interni di una cabina di teletrasporto. A
una sorta di vero e proprio “ritorno alle origini” assisteremo nel prossimo (settimo
e ultimo) appuntamento della nostra collana, ma di cui questo libro pone già tutte le premesse.
Il primo racconto di questa antologia, “Il giorno dell’invasione”,
uscì nel luglio del 2015 come numero speciale tutto a colori in quanto
destinato a festeggiare il seicentesimo albo di Zagor. Rauch propone il ritorno
sulla scena degli Akkroniani, gli extraterrestri che avevano stretto alleanza con
il professor Hellingen (come si è visto nel terzo volume di questa collana). Lo
sceneggiatore riteneva infatti, a ben ragione, non soltanto che gli alieni non avessero
digerito la sconfitta subita da parte di Zagor, e quindi fossero pronti a tentare
una nuova invasione, ma anche che volessero trovare delle spiegazioni a quanto
era accaduto durate la precedente: com’era possibile, infatti, che la loro
tecnologia avesse dovuto piegarsi di fronte alle armi magiche di un popolo
primitivo, ai loro occhi, come quello dei nativi americani? La risposta la
fornisce il giovane Akoto, custode del segreto del monte Naatani, quello dello
scudo e delle frecce, letali per gli Akkroniani, appartenute a Rakum, l’Eroe
Rosso: “Le armi sono niente, senza la mano che le impugna!”. Una frase che vale
l’intero senso del racconto. Servirà comunque un breve riassunto per inquadrare
meglio quanto state per leggere (o per rileggere).
Il pianeta
Akkron è il sesto in ordine di distanza dalla stella gigante Betelgeuse,
situata nella costellazione di Orione. Su quel lontanissimo mondo si è
sviluppata una civiltà aliena che ha raggiunto un livello tecnologico incredibilmente
più progredito di quello terrestre, tant’è vero che le astronavi degli
Akkroniani riescono a superare le distanze siderali e a raggiungere il sistema
solare. L’organismo degli esseri venuti dallo spazio ha una fisiologia del
tutto diversa da quella umana: non ci sono organi interni che possono venire
danneggiati dalle armi da fuoco o dalle lame, avendo i loro corpi una struttura
paragonabile a quella delle piante. Tuttavia, il sangue dei terrestri serve a
fornire una sorta di linfa vitale in grado di nutrire le loro cellule. E’ per
questo che intendono colonizzarci, con l’aiuto del professor Hellingen, pronto
a rinnegare il genere umano per il suo senso di rivalsa e la sua volontà di
potenza. Prima di stringere questa alleanza, gli alieni avevano già tentato una pima invasione, ma erano stati
respinti da un eroe rosso vissuto cento anni prima, uno sciamano chiamato Rakum.
Di fronte alle pistole a raggi degli alieni, nessuno dei pellerossa poteva
nulla. Lo stregone nascosto sul monte Naatani, però, ebbe una apparizione
mistica: “La visione di Manito mi diede alcuni suggerimenti che non esitai a
mettere in atto”. Lo sciamano riesce così a fabbricare uno scudo, delle frecce
e un arco magici in grado di uccidere gli alieni e di costringerli alla
fuga. Quando Zagor le ritrova grazie ad
Akoto e al suo maestro Keokuk, le armi incantate sono ancora strette nelle mani
della mummia di Rakum, custodita dai suoi successori, e attendono un altro eroe
degno di usarle per ripetere l’impresa e ricacciare gli extraterrestri verso il
mondo da cui sono venuti.
Nonostante gli spazi ristretti a sua disposizione (94
tavole sono poche, per gli standard zagoriani, e del resto l’avventura
nolittiana con gli Akkroniani è lunga più di 400), Rauch recupera tutti gli
elementi del precedente racconto, e congegnare un meccanismo narrativo perfetto
che serve persino a spiegare perché dal pianeta Akkron non giungerà mai più
alcuna minaccia. C’è soltanto un grande assente: Hellingen, che infatti, non è
fra i protagonisti de “Il giorno dell’invasione”. Questo, però, non per caso o
per dimenticanza: in realtà gli eventi narrati sul seicentesimo albo di Zagor servono
a preparare eventi futuri, quelli narrati nella seconda e nella terza storia proposte
in questa raccolta (il tutto, frutto di una serie di brainstorming fra Rauch e
il sottoscritto). Ecco perciò spiegato perché, nonostante l’assenza dello
scienziato pazzo, il racconto vi sia inserito.
Il mad doctor, in realtà, non compare in senso stretto
neppure nel secondo episodio, “L’eredità di Hellingen”, originariamente
pubblicato sull’albo di Zagor n° 601 datato agosto 2015, con un proseguo nel
successivo. Tuttavia la figura dello scienziato pazzo aleggia su tutta la
storia e quanto accade prelude al terzo episodio di questo volume. Per la prima volta, dopo quasi venticinque anni spesi al servizio
dello Spirito con la Scure (il mio esordio ai testi di Zagor è datato 1991), tocca
a me l’onere e l’onore di prendere in mano i fili delle vicende legate a
Hellingen. “L’eredità di Hellingen” è l’ultima storia disegnata da Gallieno
Ferri per la collana Zenith, ovvero per la serie regolare zagoriana. In seguito
ci sarebbero state solo poche decine di tavole da lui realizzate per un Color (il
n° 5, “L’antica maledizione”), pubblicato postumo nel 2017, grazie al
completamento del racconto da parte di Gianni Sedioli (matite) e Marco Verni
(chine). I due disegnatori romagnoli (Sedioli, classe 1966, è ravennate, Verni,
suo coetaneo, è forlivese) sono anche gli autori grafici del terzo episodio
contenuto in questo volume.
Nel momento in cui il maestro di Recco terminò “L’eredità di Hellingen” nessuno poteva immaginare che sarebbe stata
l’ultima storia da lui disegnata per la serie regolare di Zagor. La qualità dei
suoi disegni è sempre notevolissima nonostante la mano di un uomo di ottantaquattro
anni. L'ultima tavola dell’avventura,
quella con lo Spirito con la Scure a cavallo che galoppa verso il lettore, è un
capolavoro realizzato da un vero e proprio Maestro del fumetto italiano.
Dopo due episodi in cui Hellingen, pur continuamente evocato e ricordato per
tutta una serie di eventi che rimandano alla sua figura, è comunque assente dalle
scene, eccolo finalmente comparire in carne e ossa nel terzo racconto della
trilogia proposta da questo volume. Lo Spirito con la Scure si ritrova faccia a
faccia con lo scienziato pazzo contro cui ha combattuto più volte, e scopre
come ha fatto a tornare in vita. Le macchina degli Akkroniani lo hanno,
sostanzialmente, clonato: la parola "clonazione" nella prima metà
dell'Ottocento non esisteva ancora, ma la possiamo usare perché è lo stesso
Hellingen a rivelare di averla inventata partendo da un etimo greco. Dunque, fra
le tante invenzioni del creatore di Titan ce n'è anche qualcuna
lessicale. La vasca in cui il professore è stato rigenerato ha potuto
funzionare grazie alla cabina in cui il folle è entrato nel finale di
"Magia senza tempo", e che è stata da lui stesso programmata perché
eseguisse una scansione di tutti i suoi atomi, facendo una sorta di back up
destinato a rimanere nella memoria di una banca dati. Perciò, l'Hellingen che
viene ricreato è esattamente quello di Guido Nolitta, e nulla sa di quanto è accaduto
nelle storie di Tiziano Sclavi e di Mauro Boselli.
Tuttavia, proprio perché era lo scienziato pazzo nolittiano che mi
premeva riportare sulla scena, mi è sembrato inevitabile cercare di indagare su
alcuni elementi a cui Sergio Bonelli aveva chiaramente alluso senza mai, però,
aver voluto approfondire. Mi è parso interessante cercare di capire chi fosse
realmente Hellingen, quali fossero le teorie in base alle quali avrebbe voluto dominare
il mondo (se Zagor non lo avesse ogni volta fermato), perché fosse stato cacciato
dalla comunità scientifica, da dove provenissero le sue incredibili conoscenze.
Insomma, ho voluto raccontare almeno una parte del passato del mad doctor. Nel
terzo racconto di questa antologia troverete dunque rivelati
alcuni episodi dei trascorsi helligeniani e scoprirete anche il suo
nome di battesimo, e la nazione di provenienza della sua famiglia. In
particolare, veniamo a sapere quel che è accaduto prima che Hellingen
costruisse Titan (e vediamo un prototipo da lui chiamato Golem).
Soprattutto, vengono mostrate al lettore quali sono le idee che animano il
folle Garth: finora sapevamo che voleva conquistare e dominare il
mondo, ma non era ben chiaro perché, a quale scopo. Adesso la sua follia ha un
senso (sia pur delirante): precorre quella hitleriana ma, soprattutto, alla sua
base c'è una sorta di teoria dell'eugenetica ante-litteram. Idee razziste e
sulla purezza di sangue, tuttavia, non erano, storicamente, mai mancate neppure
prima che all'eugenetica venisse dato questo nome, per cui non c'è nessuna
particolare forzatura nel mettere in bocca a Hellingen discorsi come quelli che
gli sentiamo pronunciare in una consesso di scienziati da cui viene cacciato in
malo modo. Mi sembra degno di nota il fatto che il luminare che più di tutti si
oppone a Hellingen, quando lo sente parlare di una rupe Tarpea da cui gettare
gli storpi, sia uno zoppo di nome Hawking. Sono stato bene attento a dimostrare
ai lettori più diffidenti come le teorie propugnate dal mad doctor fossero
già leggibili fra le righe delle storie nolittiane: la prima volta che Zagor
viene catturato, infatti, il professore dalla tunica nera lo vorrebbe arruolare
fra i suoi uomini perché riconosce in lui una "superiorità" nel
fisico e nel carattere che è quello che ci vuole per dominare invece le razze
inferiori. Ho scelto di mostrare in flashback le esatte vignette e
le precise parole di Nolitta proprio per rassicurare tutti sul fatto che non ci
sia stata alcuna distorsione delle caratteristiche originarie del personaggio.
Quando il mad doctor parla per la prima volta con Zagor legato per
i polsi alla parete del suo laboratorio, non si scaglia contro di lui
promettendogli una morte fra mille tormenti ma, al contrario, apprezzandone le
doti fisiche e di combattente, gli propone di arruolarsi fra i suoi uomini! E
gli dice così: “Ho bisogno di uomini che sappiano imporsi, che sappiano
comandare e farsi rispettare… uomini come voi! In poche parole vi sto chiedendo
di unirvi a noi. Avrete il privilegio di essere uno dei miei uomini di fiducia
e di marciare alla testa del mio esercito di automi che, da questa piccola
isola, si propagheranno per tutta la nazione e poi per tutto il continente!”. Poco
prima, riferendosi alla tribù degli Ottawa, aveva definito i pellerossa “quel
branco di selvaggi che vive sulla riva del lago”.
Nonostante l’intento del sottoscritto fosse quello (come ho dichiarato) di
riportare Hellingen esattamente là dove Nolitta lo aveva lasciato, rinunciando
dunque agli elementi magici e fantastici che avevano caratterizzato la versione
del personaggio data da Mauro Boselli, con quella versione ho dovuto comunque fare
i conti e, dunque, anche nel mio racconto compare (pur se in una sola pagina)
il demone chiamato Wendigo, che ha imprigionato in una sorta di proprio “inferno”
(in una dimensione parallela) il professore originario. Il modo in cui il Wendigo
uscirà definitivamente di scena lo scopriremo nel settimo volume. Un altro elemento
ereditato dalla storia di Mauro Boselli è la Base di Altrove. Dopo l'avventura boselliana sarebbe
stato difficile non collegare il mad doctor con la base ideata da
Castelli. Infatti, ritroveremo Altrove anche nel prossimo volume.